N.02
Marzo/Aprile 1996

La formazione dei seminaristi alla pastorale delle vocazioni

Non so esattamente quanta fortuna abbia avuto nella Chiesa italiana (al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori) il documento pastorale dell’Episcopato italiano dell’11 Ottobre 1979, Seminari e vocazioni sacerdotali. La sua collocazione al termine del decennio segnato dal piano pastorale Evangelizzazione e Sacramenti e all’inizio dell’ormai largamente previsto piano decennale di rinnovamento pastorale Comunione e comunità, finisce per legare strettamente il documento e suoi contenuti all’Evangelizzazione e alla Comunione. Ne esce un volto di prete e specialmente una fisionomia di seminario che fornirà gli elementi ai quali attingeranno largamente i successivi documenti CEI: La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana (Maggio 1980) e Regolamento degli studi teologici dei seminari maggiori d’Italia (Giugno 1984). Alcuni numeri di quel documento sono stati “consacrati” dal S. Padre che li fa suoi nella Pastores dabo vobis e li estende come prospettiva formativa valida per tutte le comunità cristiane del mondo.

D’altra parte è pur vero che nel ‘79 i nostri vescovi potevano attingere a piene mani dalle sorgenti conciliari dell’Optatam totius, della Presbyterorum ordinis e dei primi, ma già decisi e sicuri, passi di Giovanni Paolo II[1].

Mi sembra importante partire da quelle riflessioni per entrare nel vivo di questo contributo che si articolerà in due parti: nella prima mi soffermerò sulla necessità che tutta la formazione seminaristica abbia questa caratura pastorale e, nella seconda, prenderò in considerazione alcuni aspetti su come in seminario i futuri sacerdoti possono e devono essere formati come primi animatori vocazionali delle comunità cristiane ad essi affidate.

 

La formazione pastorale

“Tutti gli aspetti della formazione sacerdotale – si diceva nel documento al n. 70, citando tra l’altro OT 4 e LG 28 – devono concorrere in modo unitario a formare veri pastori d’anime, sull’esempio di Cristo maestro, sacerdote e pastore. La vita del seminario – continua il documento – è educazione a questa crescita dei futuri presbiteri nella carità pastorale, che sarà il principio unificante e il costante criterio di verifica di tutta la loro vita e del loro ministero. Il problema fondamentale – così si conclude il n. 70 – dell’educazione seminaristica è appunto quello di mettere in evidenza, nella molteplicità degli interventi, dei richiami, delle sottolineature pedagogiche, l’unità profonda che fa convergere tutto verso la carità pastorale”.

Già, la “carità pastorale”. Giovanni Paolo II nella Pastores dabo vobis, ai nn. 57, 58, 59 riprenderà proprio questa tematica dalla Optatam totius affermando come “l’intera formazione dei candidati al sacerdozio è destinata a disporli in un modo più particolare a comunicare alla carità di Cristo, buon pastore. Questa formazione – prosegue il Papa – deve avere un carattere essenzialmente pastorale” e parla, il S. Padre, della “specifica finalizzazione pastorale” dei diversi aspetti formativi: umano, spirituale, intellettuale.

È dunque l’orizzonte stesso della formazione del futuro presbitero a creare le condizioni indispensabili di base perché ogni prete possa e sappia essere “pastore” anche nella dimensione vocazionale delle comunità e dei singoli membri di esse. Tale orizzonte finisce per delinearsi con chiarezza tutta particolare in ordine ai contenuti di tale formazione all’azione pastorale che sgorga dalla stessa carità pastorale.

Il Papa ne parla al n. 59 dove ci ricorda che un’azione pastorale è sempre destinata ad “animare” una Chiesa che è “mistero”, “comunione”, “missione”. Proprio da una lettura sinottica di queste dimensioni deriva l’essenziale dimensione vocazionale dell’orizzonte pastorale del futuro presbitero.

– L’universale vocazione degli uomini a vivere come Dio li vuole, che nella rivelazione di Gesù ha finito per identificarsi pienamente con il tema del “Regno di Dio” o “Regno dei cieli” metterà nel cuore del presbitero una crescente ansia missionaria indispensabile per animare la comunità cristiana come esperienza di comunione missionaria.

– La constatazione che tale universale vocazione al Regno ha avuto bisogno di donne e di uomini che fin dall’inizio ponessero tutti se stessi, con cuore indiviso e per tutta la vita, a servizio di tale storia di salvezza (Abramo, Mosé, I profeti, Giovanni, Maria Vergine, Gesù stesso…) non mancherà di sostenere nel futuro pastore la consapevolezza di dover animare una Chiesa che sappia comprendersi sempre di più come mistero, opera di Dio, frutto dello Spirito e renderà agevole per il seminarista maturare nelle sue profondità come ogni esperienza cristiana, nella Chiesa, deve essere vissuta nella disponibilità a lasciarsi chiamare e inviare nelle vie che vanno percorse con la varietà dei doni e dei carismi…

– Lo stesso studio della teologia pastorale e la stessa pratica pastorale, che il candidato al sacerdozio è chiamato a compiere come vero e proprio tirocinio, ricevono da tale dimensione vocazionale una singolare luce: essa definisce l’azione pastorale nella sua profonda vocazione. La pastorale come mediazione salvifica altro non è, infatti, che l’impegno della Chiesa per far giungere la chiamata e per educare la risposta dell’uomo a tale chiamata la quale parte da Dio e che finisce per rivelare all’uomo se stesso. La pastorale “legge” la chiamata nella Scrittura sacra, nella teologia dogmatica… educa la risposta attraverso la catechesi, la liturgia, la carità… attraverso la teologia morale ricerca di continuo quale debba essere tale risposta in una fedeltà sempre più personale e più radicale… s’incarna attraverso le scienze umane per essere capace di “dire” la Parola attraverso le parole…

 

Animatore Vocazionale

Si sa: il presbitero è animatore vocazionale innanzitutto proprio con il suo modo di essere prete. È animatore vocazionale, nella comunità cristiana di oggi e con i giovani di oggi in particolare, con il suo modo di essere prete nell’oggi della Chiesa e della società. Continuando a riflettere sul documento citato all’inizio troviamo al n. 75 un primo approccio alla tematica della formazione dei seminaristi perché sappiano crescere come “animatori vocazionali”.

Sotto un titolo accattivante: “strumenti e occasioni di crescita vocazionale nel seminario” il documento non disdegna di abbandonarsi un po’ alla poesia quando dice che “è facile intuire la fresca letizia di una vita giovanile, che si concede senza riserve all’assoluta purezza del regno, alla ricerca della perla inestimabile della sequela integrale di Cristo; ma è facile – qui siamo un po’ meno poetici – anche intravedere i tipici problemi educativi, che la formazione al ministero sacerdotale comporta”. Così il documento può affermare al n. 76 (e prosegue ai nn. 77 e 78) che sono indispensabili, nella crescita del seminarista, alcuni elementi che rendono – affermo io – la sua vita trasparenza vocazionale e, di conseguenza annuncio, appello, proposta vivente e visibile. Quali sono questi elementi che finiranno per consegnarci dei preti secondo il cuore di Dio e il bisogno dell’uomo del nostro tempo?

 

Il senso religioso

Ispirazione e misura della sua attività pastorale, suo interesse dominante che nasce dalla “familiarità con Gesù” e porta il prete ad interessarsi di ciò che sta nel profondo della vita dell’uomo. È proprio vero quanto dice il documento che in un mondo attraversato da forti spinte secolarizzanti e incline, per altro verso, a forme di superstizione è importante che il candidato al sacerdozio ministeriale scopra anzitutto per se stesso il valore della preghiera.

Un giorno, caro seminarista, la tua comunità potrà tornare ad essere terreno fecondo per la fioritura vocazionale se sarà una comunità che prega. Un giorno i tuoi ragazzi e le tue ragazze faranno con te come facevano gli apostoli con Gesù quando lo vedevano pregare: ti chiederanno di raccontargli il valore della preghiera perché hanno visto che la preghiera fa di te una vita di valore. Un giorno “quel” ragazzo chiamato da Dio al tuo stesso ministero, quella ragazza chiamata alla consacrazione, avranno bisogno di te e ti cercheranno se ti vedranno come prezioso battistrada sulla via che porta al cuore di Dio: la via della preghiera. La preghiera ti fa proprietà di Dio e i figli che Dio vorrà donare alla tua paternità verginale vedranno, attraverso di te, il volto di Dio e potranno raggiungerlo facendo di sé una risposta alla sua chiamata perché lo vedranno davanti a sé, in te e attraverso di te: se tu sei una vita fatta preghiera.

 

Dono di sé

La vita comunitaria del seminario è destinata ad educare il seminarista a vivere secondo la logica del dono sincero di sé. La paternità del prete è manifestazione dell’amore verginale. Il celibato non è isolamento, irrigidimento: è amore ancora più grande. Figuriamoci se dice qualcosa al mondo di oggi e ai giovani in particolare una storia di prete senza cuore e senza amore! Per poterti sentire accessibile, devono sentirsi amati. Per poterti considerare significativo, devono poterti vedere come loro vorrebbero diventare. Pensi che ci sia qualcuno che voglia diventare persona senza amore, senza cuore?

 

Consapevolezza della fede

Non si deve aver paura di studiare in seminario. Non ha mai fatto male a nessuno se lo studio è stato parte del cammino di santità che aspetta ogni credente ed ogni prete. Conoscere bene Dio che chiama e conoscere bene l’uomo che è chiamato a rispondere, è importante per un animatore vocazionale. Lo studio ti fa crescere nella duplice fedeltà a Dio e all’uomo, caratteristica peculiare del tuo ministero pastorale. Di fronte ad una nuova stagione della pastorale vocazionale non è sufficiente essere attrezzati secondo la logica del “si è sempre fatto così”. Non c’è più “un così” ma ci sono tanti “così” quanti sono i volti umani ai quali Dio si rivolge. Ci sono ragazzi e ragazze. Ci sono famiglie tanto diverse, con ricadute psicologiche e spirituali profondamente diverse. Ci sono domande che vengono fatte a Dio attraverso di te: e Dio attraverso di te che risposta pensi voglia dare a questo ragazzo, a questa ragazza, in questa situazione…?

 

Sentire con la chiesa

Citando la Presbyterorum ordinis, nella Pastores dabo vobis, il Santo Padre porta ancora più avanti la nostra riflessione quando – nel capitolo IV consacrato alla pastorale vocazionale e precisamente al n. 41 – afferma: “È questa (la promozione delle vocazioni presbiterali) una funzione che fa parte della stessa missione sacerdotale in virtù della quale il presbitero partecipa della sollecitudine per la Chiesa intera, affinché nel popolo di Dio, qui sulla terra non manchino mai gli operai”.

Il sentire con la Chiesa è – secondo la mia esperienza – la dimensione più specifica e peculiare che “fa” il ministro ordinato. È la sua passione profonda. Modellato come è su Gesù non può non tendere ad amare la Chiesa come l’ha amata lui: dandosi a lei, consegnandosi a lei. E non può il futuro prete non sentire la passione della Chiesa e la sua preoccupazione per le vocazioni.

Preoccupazione che la Chiesa nutre per i figli di Dio di cui è stata fatta madre e maestra: non potranno mai realizzare appieno la loro vita, anche terrena, se non scoprendo e vivendo la propria personale vocazione, ivi compresa quella consacrata.

Preoccupazione per la sua capacità di onorare quanto da lei si aspetta il Redentore: come può la Chiesa essere sacramento di Cristo se verranno a mancare, in lei, quelle figure vocazionali che questa ripresentazione ecclesiale di Cristo al mondo hanno proprio il compito di assicurare? Chi presenterà al mondo “l’immagine” di Cristo casto, povero, obbediente al Padre; chi presenterà il volto del buon pastore; chi l’itineranza missionaria verso le genti?

 

Padri putativi

Non è uno scherzo. È ministero di paternità. La vocazione del prete è quella di essere costituito da Dio, padre dei suoi figli. Riconoscerli, amarli, educarli, accompagnarli, trepidare per essi. Coltivare nel profondo del nostro cuore sacerdotale la capacità di riconoscere e di amare in ogni uomo e in ogni donna le fattezze del volto di Dio. Servire la loro esplicitazione esistenziale. È un’avventura straordinaria, capace di dare vita alla tua vita e di dare senso alla tua paternità più di ogni altra cosa al mondo. Ma in seminario bisogna diventare padri. Facendo concreta mente ogni giorno l’esperienza di prendersi cura della fede del fratello e della vita della comunità. Vi vendo nella “giustizia” si può tentare di assomigliare a S. Giuseppe: straordinaria figura nella vita del prete che non ha bisogno che di fede per riconoscere un figlio di Dio in ogni figlio di uomo.

 

 

 

 

Note

[1] Cfr. in particolare: le due lettere ai Vescovi e ai Sacerdoti scritte dal Papa in occasione del Giovedì Santo del ‘79; il Messaggio per la 16a GMPV del 6/1/79 e, naturalmente, la prima Enciclica Redemptor Hominis (4 Marzo 1979).