N.02
Marzo/Aprile 1996

La presenza dei seminaristi nelle attività pastorali

“Il Seminario diocesano parla a tutti di vocazione, di questa particolare chiamata divina, che non è necessariamente chiamata a diventare seminarista e poi sacerdote, ma chiamata ad essere cristiano e, come cristiano, ad essere, per esempio, buon artista, buon cantante, buon ingegnere, buon medico…”.

Queste parole di Giovanni Paolo II, pronunciate durante una visita al Seminario di Roma nel 1990, sintetizzano una realtà che si è venuta delineando in questi ultimi anni: il seminario è sempre più un luogo “che parla” alla diocesi con la sua stessa esistenza; e parla soprattutto ai giovani. È un luogo che parla della Vocazione, ricordando che ogni uomo è un “chiamato”, un “invitato” a partecipare all’opera della salvezza.

Chi si accosta al Seminario o, più concretamente, ai seminaristi che svolgono l’attività pastorale, si accorge di esser anch’egli interpellato sulla domanda, fondamentale, tra tutte: “Che cosa vuoi che io faccia, Signore?”.

Occorre innanzitutto fare una premessa sull’identità del Seminario che, come afferma la Pastores dabo vobis è una “comunità promossa dal vescovo,… una continuazione nella Chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesù”[1]. È la comunità dei credenti configurata – secondo il Pontificale Romano – come “una Chiesa tutta ministeriale che sotto l’azione dello Spirito nasce dalla Parola, si edifica nella celebrazione dell’Eucaristia e, attenta ai segni dei tempi, si protende all’evangelizzazione del mondo mediante l’annuncio missionario del Vangelo e la testimonianza della carità”[2]. Il Seminario dunque è chiamato ad esprimere nel suo progetto educativo la Chiesa stessa – intesa come comunione – che si esplica in una ministerialità articolata e armonica.

Nell’itinerario formativo dei candidati al sacerdozio concorrono diversi elementi che servono per la crescita della persona in ricerca. Questi elementi si possono sintetizzare in quattro grandi dimensioni, strettamente unite e armonizzate tra loro: la dimensione spirituale, comunitaria, intellettuale e pastorale.

Una Chiesa “tutta ministeriale” è soggetto dell’attività pastorale anche in ordine allo specifico della pastorale vocazionale. In questo quadro il Seminario rappresenta una espressione concreta fondamentale di annuncio del Vangelo della vocazione: un “luogo” appunto che, facendo maturare alcune vocazioni specifiche, “può parlare” a tutti della vocazione e delle vocazioni.

 

I “tempi” e i “luoghi” del tirocinio pastorale

Tutti i candidati, compresi coloro che sono al primo anno, iniziano, con il tirocinio pastorale, a verificare concretamente il loro desiderio di donarsi alle persone che sono loro affidate, in spirito di umiltà e di sacrificio.

Nell’arco della settimana, dunque, sono opportunamente previste alcune ore (un giorno feriale, dal primo pomeriggio alla sera dopo cena, e la domenica mattina) in cui si esce dal seminario per entrare in altre realtà dove si può dare un contributo e ricevere un aiuto per la crescita personale.

Queste realtà o “luoghi del tirocinio” sono chiaramente differenziati, perché si cerca di tenere conto delle personalità e, soprattutto, dello stato del cammino dei singoli candidati. Il criterio è stabilito in ordine all’anno di Seminario o al ministero che si è ricevuto (ammissione agli ordini, lettorato, accolitato), cercando, per quanto è possibile, di unire strettamente lo specifico del ministero a ciò che è richiesto come attività pastorale (es. lettorato-annuncio; accolitato-servizio).

Coloro che sono ai primi anni, allora, vengono inseriti in parrocchie in cui i sacerdoti si rendono disponibili per un accompagnamento reale dei seminaristi che, da parte loro, danno un contributo alla comunità, soprattutto nell’ambito della catechesi e dell’oratorio per bambini e ragazzi.

Chi è più avanti nel cammino (come gli ammessi agli ordini e i lettori) assume altre responsabilità, impegnandosi più direttamente, ad esempio, nella pastorale giovanile o familiare. Alcuni seminaristi del terzo o del quarto anno svolgono il loro servizio nelle scuole cattoliche, incontrando, nella mattinata, i giovani delle classi delle superiori con i quali poter affrontare diverse tematiche a partire dalla ricerca personale della Fede.

Gli accoliti, invece, essendo più avanti nel cammino e avendo un ministero che lega l’Eucaristia ai poveri, sono impegnati in diversi luoghi in cui è richiesto un servizio più particolare e delicato (ospedali, case di accoglienza per malati di aids, carceri, case del Cottolengo). Infine i diaconi, già inseriti nel ministero, esercitano pienamente il loro servizio, a cominciare dalla comunità del Seminario, per poi impegnarsi più direttamente nelle realtà a cui sono stati mandati.

 

La testimonianza della vocazione

Pur cambiando i luoghi e le caratteristiche del tirocinio pastorale, si possono trovare alcune linee che uniscono la diversità delle esperienze. La prima cosa da sottolineare è che il seminarista sente sempre più uno stretto legame tra ciò che vive e sperimenta all’interno della comunità formativa e ciò che è chiamato a trasmettere fuori.

La scoperta che egli fa nella sua vita personale di preghiera e di ascolto della Parola, lo porta spontaneamente ad offrire anche agli altri la possibilità di accogliere il “Vangelo della vocazione”. Sentendosi accompagnato dai suoi superiori e dai suoi fratelli, cresce anche in lui il desiderio di farsi compagno di altri, soprattutto dei giovani, che incontra nelle parrocchie, nei licei, o in diverse realtà. Ciò che colpisce infatti, nella maggior parte dei casi, è proprio questa semplicità con cui il candidato al sacerdozio vuole presentare agli altri la sua vocazione: una scoperta, piena di stupore, della Grazia, un dono non meritato, una consapevolezza di non essere “arrivato” ma pronto sempre a rinnovare le sue attese e le sue capacità.

Facciamo alcuni esempi: da tanti anni il Seminario offre ai giovani di Roma la possibilità della Scuola di Preghiera. I ragazzi e le ragazze che frequentano questi incontri sono “attirati” sì dal desiderio di trovare un luogo e un tempo favorevole per l’incontro con Dio, ma sono altrettanto spinti a venire in Seminario perché qui incontrano altri giovani che hanno risposto ad una Vocazione, giovani che, come loro, desiderano trovare sempre più nella preghiera un momento di discernimento, di crescita, di aiuto. I seminaristi, allora, che grazie al direttore spirituale e ai tempi dedicati alla vita spirituale, imparano a pregare, si fanno “piccoli maestri” di preghiera, e compagni, in un’amicizia sincera, di altri loro coetanei che sono ancora in ricerca.

Un altro esempio ci viene dall’esperienza dei centri di ascolto nelle famiglie, nelle parrocchie, dove, oltre ai giovani in ricerca, partecipano anche adulti che hanno già scoperto la vocazione nel matrimonio e nel lavoro. Il cammino che il seminarista propone, quasi sempre incentrato sulla Parola di Dio, offre in ogni caso a tutti la possibilità di una riscoperta della vocazione battesimale che ci fa figli di Dio, ma che ci rende anche fratelli, comunità, chiesa. Imparando in Seminario a vivere la fraternità e la comunione, si è maggiormente spinti a fare riscoprire anche agli altri la vocazione di ciascuno come una con-vocazione. I partecipanti al Centro di ascolto, allora, iniziano un reale itinerario di sequela e sentono che i seminaristi possono offrire loro una testimonianza coerente.

Un ultimo breve esempio è quello della catechesi ai gruppi giovanili, che vede i seminaristi impegnati in alcune parrocchie e nelle scuole. Anche qui il seminarista, educato non solo alla vita spirituale, ma anche ad un approfondimento intellettuale dei Misteri, si pone nei confronti dei giovani, spesso critici e influenzabili, proponendo il cammino che lui stesso ha fatto: una riscoperta cioè dello studio teologico come fonte di arricchimento e di verità in cui la fede è alimentata dalla ricerca della ragione. La dimensione vocazionale dunque non è un’opzionale aggiunta a quanto già viene fatto, ma è l’anima stessa, dal tratto pastorale, di chi, per dono di Dio, vive in prima persona una particolare vocazione.

 

L’esperienza delle Missioni Popolari

Tra tutte le attività che il Seminario svolge durante un anno ce n’è una, in particolare, che risalta per l’opportunità data agli alunni di crescere nella dimensione vocazionale dell’annuncio: si tratta delle Missioni Popolari, che si vivono nella prima metà del mese di ottobre, prima che inizino le lezioni universitarie. In questo periodo la comunità “si scioglie” e ci si trasferisce a tempo pieno in una decina di parrocchie romane (con una presenza, in media, di venti seminaristi per parrocchia), dove i candidati al sacerdozio vivono un’esperienza formativa molto forte. Essi diventano missionari, con la passione e l’entusiasmo propri dei giovani. Passando di casa in casa, incontrando tante persone per i Centri di ascolto nelle famiglie, parlando e facendosi conoscere da tutti, dai bambini agli anziani, essi portano una “ventata di giovinezza” che sorprende la maggior parte dei parrocchiani, non abituata a vedere “tanti seminaristi insieme” felici di essere tali e di condividere questo dono con altri.

Se l’intento primario della missione è dare un aiuto al presbiterio della parrocchia per un annuncio straordinario del Vangelo, di fatto si verifica anche un “concentrato” di pastorale vocazionale non a parole, ma frutto della testimonianza di tanti ragazzi che, insieme, si sentono innamorati di Cristo.

I seminaristi imparano allora che l’unica forza della vita pastorale è Gesù Cristo, perché si rendono conto che da soli, anche con le migliori intenzioni, non potrebbero operare quei piccoli o grandi “miracoli” che avvengono nel periodo delle Missioni. Imparano anche a collaborare tra loro, ma soprattutto a mettersi alla scuola del parroco e dei sacerdoti che diventano per loro educatori nella vocazione, maestri nella scoperta del dono che è il ministero pastorale.

I giovani della parrocchia si sentono poi interpellati da questi loro coetanei e, nella maggior parte dei casi, riprendono entusiasmo per impegnarsi in un cammino più serio a livello comunitario e a livello personale. È successo allora che tra questi giovani, alcuni si siano interrogati sulla vocazione specifica al sacerdozio. L’incontro con un seminarista o con un sacerdote del seminario ha “causato” a volte, un’attenzione alla vocazione e una risposta. Un dato significativo è che in questi ultimi anni sono una quindicina i seminaristi “frutto” delle Missioni Popolari.

 

L’esperienza del discernimento

Il seminarista che svolge la sua attività pastorale (alla Scuola di Preghiera, in parrocchia, nei licei, etc.) impara anche ad indirizzare le persone incontrate ad un discernimento personale. Collaborando con i sacerdoti del Seminario, ma soprattutto con i parroci, i religiosi e le religiose delle parrocchie, il candidato al sacerdozio riconosce, con umiltà, di non essere l’unico testimone della vocazione, ma soprattutto si rende conto di non essere capace di discernere le vocazioni altrui, trovandosi lui stesso in un perfido di “scoperta”. Partendo dunque dalla sua esperienza personale, sa che anche gli altri, come è successo a lui, debbono trovare nella comunità ecclesiale il luogo del discernimento e nei sacerdoti le guide per la vita spirituale.

È poi infatti la comunità del Seminario a proporre, attraverso i sacerdoti educatori, varie forme di discernimento e di aiuto nel cammino di ricerca: oltre al gruppo vocazionale maschile, con un ritiro mensile e un accompagnamento personale, da alcuni anni si è formato un gruppo vocazionale femminile, per aiutare anche le ragazze che desiderano orientarsi verso una possibile consacrazione.

Da anni poi, grazie all’iniziativa della Scuola di preghiera, molte coppie di fidanzati e di giovani sposi trovano nel Seminario un luogo di unità e di comunione per poter intraprendere un cammino più specifico di vita spirituale “a due”. Ecco allora che viene offerto anche alle coppie la possibilità della direzione spirituale, di ritiri mensili, per approfondire la spiritualità coniugale.

 

Conclusione

I seminaristi vengono dunque a contatto, durante l’intero periodo del cammino formativo, con diverse e svariate realtà in cui è possibile incontrare persone alle quali proporre una riscoperta di Dio. La comunità del Seminario cerca allora di aiutare gli alunni ad accostarsi a queste realtà mostrando sempre ciò che è più specifico della comunità stessa: la vocazione. Facendo questo si intende portare a riscoprire in primo luogo la vocazione battesimale, propria di tutti e poi, all’interno di questa, la vocazione specifica che Dio rivolge in modi diversi a ciascuno.

 

 

 

 

 

Note

[1] GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, n. 60.

[2] CEI, Pontificale Romano, n. 1.