N.03
Aprile/Maggio 1996

Catechesi e catechismo per una crescente consapevolezza vocazionale degli adulti

Mi si chiede come la catechesi e il catechismo degli adulti possa aiutare a riscoprire la vocazione cristiana nell’età adulta. E mi si chiede come il testo “La verità vi farà liberi” possa aiutare in questa direzione. Mi solleva un poco il fatto che mi si chieda tale contributo tra gli orientamenti perché di tale rapporto, per il momento, possiamo parlarne chi più chi meno, tutti in prospettiva. Siamo infatti ai primi passi nell’uso del nuovo catechismo.

Ho invece avuto la fortuna di lavorare a lungo con gli adulti della mia precedente parrocchia (S. Agostino in Siena) all’inizio degli anni ‘80 sul testo “Signore da chi andremo?”, uscito per la consultazione e la sperimentazione nella Pasqua dell’81 e tra le nostre mani per l’anno pastorale 81-82, anno durante il quale ho potuto percorrere, insieme ad una cinquantina di adulti, un itinerario catechistico fatto di appuntamenti settimanali che ci ha consentito in pratica di esaurire il testo con i suoi 43 capitoli.

Nello stendere queste note ho davanti quell’esperienza sia a livello di metodo che di contenuti e ho davanti il nuovo testo nel quale ho cercato immediatamente la ricchezza dei contenuti vocazionali che avevo scoperto nell’altro e che non si sono affatto persi per strada.

In questo periodo di ben 16 anni naturalmente non si è stati a guardare e circa la responsabilità dell’adulto come animatore vocazionale nella comunità cristiana c’è stato anche un convegno di studio del CNV (Gennaio ‘92), e un numero monografico della rivista (n. 6/1991). Ovvero: sono stati messi alcuni punti fermi dalla pastorale vocazionale e la domanda che possiamo legittimamente porci è se e quanto il Catechismo degli Adulti interpreti queste attese ed espliciti queste prospettive.

Vivere è rispondere. La reciprocità delle vocazioni. La responsabilità educativa. Questi tre mi sembrano i punti da affrontare e vedere come l’itinerario catechistico proposto da “La verità vi farà liberi” li propone e li approfondisce. La mia esperienza mi dice che passa per queste vie la consapevolezza necessaria per avere nell’adulto un credente che mette la sua vocazione a servizio della vocazione degli altri.

 

Vivere è rispondere

Il primo capitolo del testo precedente “Signore da chi andremo?” (= CdA 1) era consacrato alla vocazione al Regno. Il credente si trovava immediatamente di fronte all’orizzonte che una vita nella fede deve, può e vuol raggiungere. I capitoli successivi (2-5) della prima sezione dedicata all’incontro con Cristo maestro e profeta, insistevano nella prospettiva di una radicale conversione al Regno fino ad immaginare che la vita terrena altro non sia che un’accoglienza del Regno così totale da farla diventare via verità e vita della nostra vita. Vivere diventava rispondere a questa vocazione. Ricordo con simpatia il momento in cui un discorso del genere porta inevitabilmente a distinguere tra “esistere” e “vivere” con la lettura del libro del Deuteronomio che vede Dio presentare all’uomo la vita e la morte, il bene e il male invitandolo con infinita tenerezza a scegliere la vita… Il catechismo consentiva con rapidità e coerenza, accolta da tutti, il passaggio delicato e difficile dalla religiosità alla fede. Dall’essere religiosi perché si desidera comunque “avere un Dio” al quale rivolgersi ecc. all’essere un popolo di credenti che da Dio si lasciano “possedere” fare… perché per questo sono stati pensati, desiderati, creati!

Non ho fatto molta difficoltà a ritrovare nel testo definitivo del Catechismo per gli adulti: “La verità vi farà liberi” (= CdA 2) la stessa impostazione, arricchita con riferimenti immediatamente più espliciti alle “grandi domande” dell’uomo contemporaneo. È un segno di squisito rispetto, per la dignità della persona umana, far partire l’incontro con Cristo dall’uomo in cammino, con le sue domande, i suoi errori nella ricerca. L’icona della samaritana, il far centro sulle domande di senso, la percezione di una compagnia di Dio all’uomo in cammino introducono bene la tematica vocazionale. L’adulto si fa in qualche modo “adolescente” riponendosi le domande che dovrebbero conservare tutta l’esistenza terrena nell’ottica del già e non ancora. L’adulto riscopre l’infanzia spirituale di chi, nel momento in cui nasce la domanda sa anche a chi rivolgere la risposta.

D’altra parte l’adulto è nella condizione ideale per una forte percezione vocazionale di quella parte che il testo raccoglie nelle ultime pagine: “La speranza operosa”. Capisco bene – in proposito – che non si poteva fare diversamente che così quando si è deciso di portare la riflessione sulla morte nella sezione terza della terza parte. Ovvero: in conclusione. Ma una lettura attenta del catechismo fa subito risaltare con evidenza che il tema della “speranza” aprendo e chiudendo il catechismo è probabilmente ciò che rende il catechismo “per adulti”.

Si potrà allora leggere così: il cammino della speranza che rinnova di continuo nell’uomo la domanda di senso sul suo futuro, alla luce del quale dar corpo alle scelte presenti, in realtà guarda più lontano, oltre i limiti di questa avventura terrena. Ciò che rende in fin dei conti questa avventura terrena significativa e vivibile l’adulto sa che è il porsi di fronte al mistero della morte e del dopo. È stato così per Gesù. Lo sarà per ogni uomo. Mentre il fanciullo e l’adolescente si pongono di fronte a questa vita terrena con la sensazione naturale di una vita che non ha una fine e il loro futuro è e prende senso su questa terra, la caratteristica peculiare di chi è adulto nella vita è chi costruisce ogni giorno se stesso in funzione di una risposta alla vita che gli consenta di vedere le mani tese di Dio verso di lui. Un Dio che non aspetta altro che potergli dire: vieni servo buono e fedele, sei stato fedele nelle piccole cose… entra nella gioia del tuo Signore… Tutti gli altri elementi vocazionali disseminati nel CdA 2 esplicitano, sostengono, nutrono questa prospettiva.

Vivere è rispondere: alla chiamata di Cristo alla sua sequela perché egli è la via, la verità e la vita che permette di comprendere a quali condizioni questa vita terrena è davvero un ritorno verso la casa del Padre come lo è stato per lui (cap. 3-10).

Vivere è rispondere: nella Chiesa all’azione dello Spirito Santo che grida nei cuori dei credenti: Abbà, Padre (cap. 11-12).

Vivere è rispondere: alla domanda di costruzione del suo Regno che, nella Chiesa è affidata ad ogni credente perché il guardare verso la fine non sia né una fuga né una preoccupazione individualistica ed intimistica ma sia un percorso con e nella storia. Vivere è rispondere – in questo senso – alla domanda che Dio rivolge a Caino: “dov’è tuo fratello?”.

Vivere è rispondere: alla personale modalità con la quale la mia vita il Padre vuole che diventi espressione della sua. Vivere è – in tal senso – rispondere alla mia personale chiamata all’amore nelle vie diverse. Ma devo ricordare che c’è una vocazione a rispondere in maniera sempre più radicale e che proprio nella risposta sempre più coinvolgente, intima, profonda c’è la scoperta di quale sia la mia, personale irrepetibile vocazione.

E finalmente vivere è rispondere nella ferialità, nelle piccole cose di ogni giorno. È lì che si consuma in realtà la vocazione come risposta ovvero la vocazione alla risposta. Finché la risposta non attraversa con tenacia, perseveranza la mia piccola vicenda quotidiana non posso dire di essere storia di una chiamata, volto di una vita.

Dal cap. 13 al cap. 27 mi sembra che venga delineato questo panorama che attraversa tutti i contenuti proposti. I cap. 28-30 ci fanno cittadini del mondo e ci ricordano l’universalità della vocazione umana. Degli ultimi abbiamo già visto che in realtà vanno letti con l’introduzione. 

Vivere dunque è rispondere. E anche solo il saperlo dona all’adulto di oggi attraversato da mille incertezze – conseguenze di un’infinità di illusioni e delusioni alimentate dalla cultura secolarizzata e immanentista del nostro tempo – una grande pace. Simile a quella che Gesù augura ai suoi apparendo ad essi dopo la risurrezione. Una catechesi degli adulti, nelle nostre comunità cristiane ha principalmente questo compito: radunare per dire “pace a voi”. Ha il compito di farsi sull’esempio del Risorto sulla strada di Emmaus, compagna di un viaggio affaticato deluso amareggiato e dire: stolti e tardi di cuore. 

L’adulto di oggi ha un gran bisogno di ricomprendere che è una fede adulta a rendere adulta la fede. E tale fede è resa adulta proprio dalla riscoperta che rese adulta la fede di Agostino: “ci hai fatti per te Signore e il nostro cuore è inquieto…”. Fede adulta è infine la capacità di comprenderne così profondamente la ricchezza di non poter tacere in questo raccontare la vita. Dalla fede adulta nasce la coscienza missionaria.

 

La reciprocità delle vocazioni

Di fronte alla realtà delle vocazioni sacerdotali e consacrate i nostri adulti restano normalmente senza parole. Con difficoltà si spiegano come possa accadere che qualcuno scelga quella strada e comunque ne restano, pur se non di rado ammirati, distanti. È un segno che non perdona. La dice lunga sul modo con cui i nostri adulti, nella loro stragrande maggioranza, vivono il loro battesimo e la loro vita cristiana.

Il fatto che i nostri adulti “normali” non si sentano di casa dentro alla esperienza dei consacrati dice l’estremo bisogno che essi hanno di ricomprendere in pienezza e la dignità della loro vocazione e la complementarietà delle vocazioni. Per arrivare alla reciprocità che consente alle varie vocazioni di servire l’una la crescita dell’altra, di farsi l’una dono per l’altra.

Tutto nasce – ci ricorda il recente Direttorio di Pastorale Familiare della CEI – dalla consapevolezza della comune vocazione all’amore che prende, nella vita, la via della esperienza coniugale e la via della esperienza verginale. Solo la coscienza che la fede è vocazione a fare della propria vita – proprio come Gesù – una storia che quotidianamente interpreta le attese del Padre, facendosi trasparenza dell’amore, solo tale coscienza permette di creare la base per la complementarietà.

La normativa diventa allora vivere una vocazione all’amore che non ha paura di fermarsi troppo presto e che resta aperta a tutte le chiamate. È normalità lasciarsi provocare gli uni dalla vocazione degli altri: il vergine si lascerà dire dal coniugato che un amore è tale se è fecondo, il coniugato dovrà continuamente imparare dal vergine che la sua storia di amore da Dio deve nascere e verso Dio deve comunque andare. E così via.

Che la vita consacrata raccontasse a tutto il popolo di Dio questa esigenza di amore totale e radicale per, con, in Cristo e che la vita consacrata fosse un germe posto dallo Spirito nel cuore della Chiesa per, farla fecondare e crescere in un amore sempre più radicale, lo aveva proposto ai nostri adulti anche il catechismo precedente (cfr. CdA 1 pp. 134-135 e 186-187) ma tocca al nuovo prodursi in una riflessione precisa e vasta su questo tema come non era mai stato fatto in una catechesi per gli adulti.

Mi riferisco in particolare al cap. 12. Ricalca la struttura della Lumen Gentium. Alcuni passaggi sono di singolare precisione e intensità. Un bravo catechista non può passarli sotto silenzio. Riporto testualmente il par. 544: “Fin dal tempo degli apostoli l’intimità con il Cristo risorto trova un’espressione privilegiata nella verginità e nel celibato (cfr. At 21,9; 1 Cor 7,25-38). Certo, anche il matrimonio è una via alla santità cristiana. Ma la verginità e il celibato manifestano con più chiarezza la dedizione al Signore e la fede nella realtà nuova che sta iniziando. Costituiscono per tutti un appello deciso a non lasciarsi imprigionare dai beni terreni che passano”. Ed ancora al par. 547 il Catechismo continua: “Si tratta di una forma di vita non più santa o più facile, ma che manifesta più incisivamente i valori della vita cristiana: l’unione a Cristo, il primato di Dio, la chiamata alla perfezione della carità. Sopratutto testimonia il mondo futuro e l’umanità nuova, anticipa profeticamente la perfetta comunione e la festa eterna di coloro che ‘seguono l’agnello dovunque va’ (Ap 14,4)”.

Dopo una successiva carrellata il catechismo assume in pieno questo tema della reciprocità quando si sofferma a contemplare il dono che la vita consacrata è per la Chiesa e per l’umanità tutta. Afferma tra le altre cose al par. 555: “Esperienza esemplare delle beatitudini (cfr. LG 31) la vita consacrata costituisce per tutti i fedeli un segno luminoso della comune vocazione alla santità (Ivi 44), un modello da cui prendere ispirazione e coraggio (…). La Chiesa, consapevole della centralità di questo dono di Dio nella propria vita promuove la pastorale vocazionale per favorire l’accoglienza della chiamata divina alla vita consacrata nelle sue varie forme”. E lo stesso Catechismo conclude il par. 556 con questa precisa indicazione che ogni catechista deve saper comunicare agli adulti con grande energia:

“La vocazione dei fedeli consacrati è complementare a quella dei pastori e dei fedeli laici. Insieme, questi tre stati di vita, arricchiti ciascuno di una grande varietà di vocazioni particolari, di carismi e di ministeri, contribuiscono alla vita e alla missione della Chiesa (cfr. LG 4)”.

La consapevolezza della complementarietà e reciprocità farà maturare quella reciproca stima e quella attenzione anche affettuosa tra le varie vocazioni che è premessa indispensabile perché ciascuno di noi sappia mettersi a servizio della maturazione vocazionale delle nuove generazioni senza pregiudizi, senza atteggiamenti reclutativi: ogni vocazione è importante e comunque ogni vocazione viene da Dio e la vita è pienamente realizzata nel poter accedere alla e perseverare nella storia di amore che Lui ha pensato per ognuno di noi.

 

L’educazione alla vocazione

È molto probabile che la vera riprova della maturità della fede di un credente sia la sua passione per la vocazione degli altri. Quanto più cresce la capacità di ragionare secondo il cuore di Dio tanto più cresce la passione perché tutti i suoi figli – dicendogli di sì – realizzino la ragione stessa della loro vita. Nell’adulto si manifesta in modo singolare il “ruolo educatore” di Dio. Anzi, proprio nel farsi educatore l’adulto scopre la sua specifica vocazione nella comunità cristiana. Non accade quasi mai. La maggior parte delle vocazioni, per il momento, matura malgrado la testimonianza degli adulti, malgrado l’opposizione dei genitori, malgrado la scarsa competenza di catechisti, educatori, animatori circa le condizioni che permettono il fiorire e il portare frutto di una vocazione di speciale consacrazione. A dire il vero anche con le vocazioni alla vita coniugale non si sta meglio. Sono pochissimi i giovani fidanzati che si presentano per il matrimonio consapevoli che stanno vivendo una risposta ad una vocazione.

Deve preoccupare molto la comunità cristiana questa latitanza o incompetenza educativa largamente diffusa anche nella Chiesa rispetto a tutto il discorso vocazionale in genere e ai consacrati in specie. Mi sembra che il catechismo si proponga di rispondere a questa preoccupazione nella prima sezione della terza parte. Il più delle volte in maniera implicita ma non di rado in modo esplicito, pertinente, preciso. Una catechesi degli adulti può ben costruire un itinerario di crescente consapevolezza perché questo orizzonte che viene delineato in queste pagine finisca per essere l’orizzonte dentro il quale e verso il quale muovere i passi sicuri del progetto educativo cristiano.

Il cap. 21 “la vocazione del cristiano” riprende e puntualizza il primo aspetto che ho sottolineato nella prima parte. E va oltre. Ci offre uno spaccato di antropologia cristiana tutto imperniato sulla dimensione e tematica vocazionale.

Il par. 800 del CdA finisce così: “Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste infatti se non perché creato per amore da Dio, da lui sempre per amore conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore (GS 19)”. E continua al par. 801 con questa suggestiva affermazione che il resto del numero e dei numeri seguenti si preoccupa di approfondire ed esplicitare: “La chiamata di Dio si inscrive nelle fibre del nostro essere”. Tale chiamata diventerà la comune vocazione alla santità della 7a unità didattica. Tanto ci basta per offrirci uno spunto prezioso: l’adulto che ripercorre la propria fede qui ci trova la persona umana. Se stesso, certo. Ma principalmente impara a guardare con uno sguardo nuovo suo figlio, i suoi figli, i figli degli altri. Ripensa il suo modo di essere genitore, educatore, maestro. Riscopre – concretamente – che quel figlio che egli ha sempre considerato “suo” in realtà non lo è: perché prima di essere in qualche modo suo, è un figlio di Dio che gli è stato affidato. Papà e mamma si riscoprono padre e madre putativi. Con il compito di mettere il proprio figlio nella condizione di incontrare il vero ed unico Padre che lo ha pensato, desiderato, amato, creato, che lo sta aspettando e che attraverso l’itinerario vocazionale proprio e specifico di ciascuno lo chiama a percorrere la via che lo conduce alla meta definitiva del Paradiso, della vita senza morte, della luce senza tenebre.

Tutto ciò ridisegna il concetto di paternità, di magisterialità, di educazione. E a me pare che proprio qui ci sia la grande sfida del testo “La verità vi farà liberi”. Perché se è destinato a farci diventare adulti che credono, proprio questo è ciò che rende la fede adulta e l’impegno per la maturazione vocazionale degli altri un’impresa ardua ed affascinante ad un tempo.