I preti anziani: per una proposta vocazionale ai giovani
Don Nicola: due parole di presentazione
Sono un vecchio sacerdote salesiano di 73 anni. Nato in Piemonte, entrai nel seminario missionario della Congregazione Salesiana a Bagnolo Piemonte nel 1934. Dopo i 4 anni di ginnasio fui inviato a fare il noviziato a Santiago del Cile in Sudamerica. Nel 1940 con i voti religiosi entrai come membro effettivo nella Congregazione di S. G. Bosco. Percorsa la normale trafila di studi e degli anni di formazione, fui ordinato sacerdote il 27 novembre 1949 ed esercitai il mio apostolato tra i giovani dei nostri collegi fino al 1964, anno in cui fui destinato ad essere parroco in un sobborgo di Santiago, privilegiando sempre l’apostolato tra i giovani. Nel 1975 ritornai in Italia a lavorare nella Casa Generalizia dei Salesiani in via della Pisana. Dal 1977 i Superiori mi chiesero di svolgere un servizio pastorale (Messa, confessioni, predicazione, animazione, gruppi giovanili…) di fine settimana nella parrocchia S. Marco di Latina, retta dai Salesiani. E finalmente nel 1994, il 13 maggio, fui destinato quale personale della comunità salesiana di Latina. I vecchi, si sa, parlano sempre dei loro acciacchi. Ebbene, chi vi parla ha avuto un infarto, è un costante iperteso arteriale con fibrillazione atriale cronica. Affetto da reumatismo poliarticolare acuto, ha pure sviluppato una artrosi alle anche, probabilmente dovuta al fatto di avere una situazione di coxalgia congenita. Tutto ciò mi obbliga ad usare le grucce canadesi e a rimanere praticamente relegato in camera tutto il giorno.
Come vede i giovani di oggi?
A mio parere, il cosiddetto “continente giovani”, nel senso di una massa giovanile omogenea, non esiste. Preferisco immaginare il mondo giovanile come un insieme di arcipelaghi. Un arcipelago non molto grande ma con isole di ogni tipo è quello marginale, che ogni tanto i mass-media evidenziano per i fatti delinquenziali che lì avvengono.
All’altro estremo c’è un altro arcipelago abbastanza numeroso ma la cui presenza è piuttosto silenziosa, i cui fatti raramente sono evidenziati e solo nei casi più salienti. È quello della gioventù impegnata nel volontariato, servizi vari, e che ha fatto scelte impegnative, che danno senso alle loro vite.
E nel bel mezzo c’è lo sterminato arcipelago di tutti gli altri giovani, ragazzi e ragazze che sopravvivono, vegetano alla ricerca di qualcosa che li aiuti a superare la noia (droga, sesso, discoteca, svaghi…). Ragazzi che si muovono sotto l’impulso delle loro pulsioni; che studiano molto o poco, che danno esami in continuazione, che si innamorano, si prendono, si lasciano, ecc. È l’insieme che tutti denominano “i Giovani” e sui quali si danno dei giudizi più o meno azzeccati.
Però vorrei ricordare qui ciò che Baden Powell, fondatore dello Scoutismo, e D. Bosco, una vita dedicata ai giovani, hanno detto riferendosi ai giovani. B.P., come familiarmente è chiamato dai suoi scout, disse che in ogni ragazzo c’è un 5% di bontà da scoprire. D. Bosco ricordava che in ogni giovane vi è un punto su cui fare leva per ottenere il meglio di lui.
Un giornalista ultimamente ha affermato: “I giovani di oggi sono ragazzi senza vocazione e vite senza progetto; una generazione orfana senza punti di riferimento!”. Lei cosa risponderebbe a questa provocazione?
In parte ho già risposto. Dire: “I giovani di oggi” è una generalizzazione che non considera la frangia degli impegnati, che stanno dando un senso alle loro vite. Però questa affermazione è vera in quanto constatazione di un fatto concreto. Ad ogni modo come uomo di fede credo alla Parola di Dio che afferma che Dio “li ha inseriti nel suo progetto di salvezza. Da sempre li ha conosciuti, da sempre li ha amati, da sempre li ha destinati ad essere suoi figli adottivi nel suo Figlio, affinché Cristo sia il primogenito tra tanti fratelli” (Rm 8,28ss.). Ecco la vocazione, chiamata che Dio fa ad ogni uomo, anche ad ogni giovane, perché “Dio vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla pienezza della verità” (1Tm 2,4).
Siamo noi genitori ed educatori della fede che dobbiamo scoprire con intelligenza pedagogica quel 5% di cui parlava Baden Powell e quel misterioso punto su cui fare leva, che diceva D. Bosco, affinché i giovani liberamente aderiscano allo specifico progetto al quale Dio li chiama e così orientare le loro vite. Siamo noi i “punti di riferimento” che mancano per loro. Dovremmo essere noi le stelle polari mediante le quali i giovani possono tracciare la loro rotta. Ma vi sono troppe nubi!
In base alla sua esperienza, come può un prete anziano avere ancora qualcosa di significativo da dire ai giovani di oggi?
La prima cosa che mi viene in mente, riandando indietro con il pensiero agli anni in cui la mia malattia cominciò a bloccarmi, è l’impressione che faceva ai giovani il vedermi sempre allegro. I giovani non sopportano un cristianesimo musone. Hanno bisogno di vedere, nonostante tutto, la nostra gioia di vivere, il nostro affrontare con decisione e serenità tutte le difficoltà proprie dell’anziano.
C’è poi un altro aspetto, che mi fu espresso da una studentessa di psicologia. Un giorno le chiesi: “Ma perché vieni a chiedere a me, vecchio handicappato, questi consigli, avendo a tua disposizione parecchi preti più giovani e più vicini alle situazioni che voi vivete?”. Ella mi rispose: “Perché sei sempre disponibile!”. Questo me lo legai al dito. Questo loro vogliono da noi: la disponibilità all’accoglienza e tanto meno la nostra scontrosità, che li fa allontanare, ma vogliono la nostra pazienza illimitata e sorridente, che sempre ha le braccia aperte per perdonarli nel sacramento della Riconciliazione e la nostra stima che crede nelle loro capacità di ricupero.
E in tema di proposta vocazionale ai giovani qual’è il contributo specifico che un prete anziano può offrire?
Un prete anziano è un battezzato chiamato da Dio a vivere il proprio sacerdozio battesimale in una dimensione nuovissima e differente: quella del sacerdozio di servizio (ministeriale). E per mia esperienza posso dire che tutti, ma specialmente i giovani, vogliono vedere il prete contento e pienamente realizzato nella propria vocazione.
In quanto a “proposta vocazionale” ai giovani ho sperimentato che è necessario superare definitivamente (ma sarà duro e lungo poterlo ottenere!) il concetto di “vocazione” riferito al fatto di “farsi prete” o “farsi suora”. Bisogna presentare “la vocazione” come chiamata di Dio alla felicità, alla salvezza, che significa la piena realizzazione della propria personalità, sviluppando totalmente le capacità potenziali, delle quali Dio ha dotato ognuno di noi (cfr. Rm 8,28ss; 1Tm 2,4).
Per arrivare a quella meta Dio offre ad ognuno un proprio cammino, che è quello che ci conviene e nel quale riusciremo a camminare e ad arrivare alla cima. Un sentiero offertoci e che liberamente ci conviene accettare: vita cristiana laicale impegnata, sacerdotale, religiosa di consacrati in vita comune o nel mondo, di vita attiva o contemplativa nelle nostre terre scristianizzate o in terre pagane, in questo o in quel campo di spiritualità.
Il dovere, per necessità fisica, essere tagliato fuori dall’attività diretta sul campo dell’animazione e delle iniziative – a causa dell’anzianità e della malattia -, secondo lei, è un handicap oppure una ulteriore opportunità?
Penso che ogni fascia di età della vita umana ha una sua missione storica da svolgere per il bene comune della società in quel determinato periodo. Così il bimbo, il ragazzo, l’adolescente, il giovane, l’uomo nella maturità e l’anziano con l’accumulo della sua esperienza hanno ognuno un ruolo da svolgere ma in sintonia con tutte le altre fasce di età. Perciò non è un handicap passare da una fascia di età ad un’altra e svolgere in questa nuova fase il ruolo che le compete, diverso da quelli precedenti.
Che suggerimenti darebbe ai suoi “colleghi” preti anziani per essere e fare ancora proposte vocazionali ai giovani?
Mi guardo bene dal farlo, poiché non ne ho né la competenza né l’autorità. Posso solamente comunicare ciò che mi ha aiutato, nonostante tutto, a vivere in serenità i miei ultimi anni:
– una costante preghiera di unione con Cristo, approfondendo e scoprendo aspetti nuovi della spiritualità propria;
– un ricordo costante dei giovani in questa preghiera, nel rispetto dei “tempi dello Spirito Santo”, che li fa maturare nella risposta alla chiamata di Dio;
– aprirmi all’aspetto di vittima, come Cristo in croce, per la salvezza e crescita nella vocazione cristiana dei giovani, secondo i vari “sentieri di Dio”.