La Consacrata Guida Spirituale a servizio del progetto-creatura
Questa comunicazione esce nella rubrica “Esperienze”.
Il parlare “dall’esperienza” mi sembra sempre più “un’audacia”, una “responsabilità”, ma nello stesso tempo penso che sia una categoria necessaria per collocarvi delle considerazioni stabilendo l’ottica, l’ambito entro il quale leggere e valutare quanto in esse può darsi di soggettivo e di parziale. Preciso semplicemente che siamo monache agostiniane di “stretta” clausura; viviamo in un eremo lontano dalla città – Siena – ma aperto all’accoglienza di ogni tipo di persona e dove molto frequente ci giunge la richiesta a farci “guida spirituale”; soprattutto ad aiutare nel cammino di discernimento vocazionale. L’“eremo”, forse, predispone chi viene qui a un certo tipo di ricerca e di incontro.
Quale dunque “l’esperienza”? La considerazione che mi viene da porre prima di ogni altra è questa: ogni volta che vogliamo costruire qualcosa è certo che dobbiamo “liberare” il terreno, e scavare…; e si gettano allora le fondamenta. Dicendo ciò, noi pensiamo subito al giovane che chiede luce orientatrice e orizzonti di vita. E, invece, proprio l’esperienza mi ha detto un’altra cosa. Questo lavoro riguarda prima di tutto la stessa “guida spirituale” e “poi” la persona che dobbiamo cercar di “orientare”. Perché un certo tipo di responsabilità, così grave e delicato, quale l’orientamento vocazionale, suppone un certo tipo di persona, che vive in stato permanente di “ri-orientamento” verso la “propria” vocazione, il che equivale a dire – e così direbbe Agostino – in atteggiamento permanente di conversione personale, ossia in un fare e vivere permanentemente la verità di sé.
“Poiché Tu, Signore, sei il mio Re e il mio Dio,
possa essere al tuo servizio tutto…:
sia al tuo servizio il mio parlare, lo scrivere,
il leggere, il far di conto…” (Conf. 1,15).
Dove vanno infatti cercate “le radici” dell’“orientamento vocazionale” se non nelle profondità dell’io, lì dove si delinea una identità irrepetibile, col “suo personale” progetto di vita, che sarà il suo “compito” esistenziale, ma in proiezione di eternità?
Orientare vocazionalmente significa infatti entrare in quel “mistero” dell’uomo nel quale l’uomo si incontra col Dio che chiama. E aiutare ad ascoltare, a decifrare, a intendere quella misteriosissima quanto realissima Voce. Quanto meno, bisogna essere allenati alla “vita nello Spirito” che rende trasparenti e perciò reciprocamente trasparenti; ogni spessore riduce la verità e la profondità del rapporto interpersonale ed è sofferenza.
E chi ha il diritto a penetrare fino a questo punto l’intimità di un altro se non chi, a sua volta, ha lasciato allo Spirito di scavare le sue profondità per poi consegnarsi all’opera di Dio, del Padre, che lo ha chiamato? Bisogna aver sofferto, fatto esperienza della “fatica necessaria” per cercar di vivere fedele al progetto di Dio su di sé. Dunque il “servizio dell’orientamento vocazionale” ha una dura ricaduta sulla “guida spirituale”. Ed è giusto che sia così.
È un fatto – dicevo – di trasparenza reciproca nella fede, prima di tutto. È credere in Dio. È credere nel progetto di Dio sull’uomo. È credere in questo uomo concreto. Significa che la guida deve saper stare in verticale, perché solo nella verticale si allineano i due estremi: il mistero trascendente di Dio e il mistero abissale del cuore dell’uomo dove il Padre ha scritto il Suo Progetto eterno. Dice Paolo: “Ci ha scelti prima della creazione del mondo”. E Agostino con umano realismo commenta:
“Siamo creati in questo mondo, ma il mondo non c’era quando siamo stati scelti.
Meraviglie ineffabili, miei fratelli! Chi sarà in grado di spiegare tutto questo?
Chi riuscirà almeno a pensare ciò che dovrebbe spiegare?
Sono scelti esseri che non esistono, né sbaglia Chi sceglie, né sceglie invano.
Ed Egli sceglie ed ha degli eletti, mente deve ancora crearli per eleggerli.
Egli li ha presso di sé… nella sua prescienza”(Disc. 26.4).
Ecco in quale profondità mi sembra debbano affondare gli occhi della guida spirituale. Fissiamo appena un attimo lo sguardo sul pianeta giovani – altri hanno approfondito più adeguatamente – cioè: Quale giovane viene a interpellarci? Cosa gli manca? Cosa cerca? Cosa vuole?
Intanto gli mancano “orizzonti vitali” entro i quali “respirare vita”. Ossia, valori chiari, sicuri, assoluti per i quali valga la pena di vivere e morire. Unica possibile sorgente e radice di pienezza esistenziale e di gioia. Ogni tanto una meteora, una cometa, che solca rapidamente il loro cielo – una figura d’uomo o di donna – che i giovani contemplano nostalgicamente “da lontano”. Nostalgia, fascino, ma che non li calamita: troppo solitaria, troppo “ideale”!
Di Dio dunque non si parla nella società… e neppure dell’uomo; tanto meno dell’uomo microcosmo di bellezza perché immagine e somiglianza di un Dio Creatore e Padre… ! Figurarsi! E il giovane?
Il giovane è un impantanato entro i livelli orizzontali, spesso con una precoce esperienza di peccato che lo avvilisce e gli crea sensi di colpa e incompatibilità con una esigenza di bellezza, di bontà, di verità, che pur si affaccia ostinata dalle profondità del suo cuore; e vorrebbe dettargli un ideale, e si fa sentire come una “chiamata”.. ; ma lui non lo sa, non può riconoscerla. Oppure ci sono giovani che si vergognano d’essere troppo “per bene” e giungono altrettanto disorientati: Forse sono strano; forse sono anormale!
In entrambi i casi poi c’è da rivedere tutto il sistema e la qualità delle relazioni. Il pianeta giovani è pieno di Diogeni che col lanternino cercano, cercano: “Cerco l’uomo!”
Tre grandi “restituzioni” la Chiesa che è Madre, nella persona della guida spirituale soprattutto femminile, mi sembra potrebbe fare ai giovani:
1. la pace della propria identità: umano-divina, la pace antropologica;
2. la fede: la luce teologica che parli loro del Dio inabitante, del Cristo via, verità e vita;
3. l’amore: l’“esperienza”, starei per dire: “l’affettività” ecclesiologica.
Solo la sintesi armonica di questi tre aspetti della realtà cristiana libereranno, genereranno – perché di generazione e di nascita nuova si tratta – quel tipo di uomo che – pur nella sua fragile defettibilità – potrà gettarsi nel forte impegno della “sequela totale”. Figure esemplari? Gesù, Maria, i Santi, come personalità vibranti, integrate, trasparenti.
Quanto è importante allora che la guida spirituale possa offrire ai giovani un modulo di donna, di uomo maturo, realizzato, serenamente riconciliato col limite della sua creaturalità, “tutto” vocazionalmente orientato, che sia leggibile, credibile, trainante. Una personalità di credente, con una fede sapientemente incarnata, che detti amore, vita, che scriva storia, soprattutto storia quotidiana. Su questi piani poi, prendere per mano il giovane perché scopra il magnifico progetto di Dio su di lui. Farglielo amare, desiderare, come libertà di sé e storia d’amore per tutti, fratelli e sorelle.
L’esperienza ci dice continuamente che è necessario ridestare entusiasmo – non certo il “facile” entusiasmo – perché un uomo, una donna possano aprirsi a rispondere alle esigenze di una chiamata. E se non si accompagnano operando a certi livelli di profondità, resta la paura, perché percepiscono l’esser chiamati non come una felice pienezza d’amore che nel dono di sé trova senso, realizzazione e fecondità di vita, ma come qualcosa che cade loro addosso dall’esterno, estranea alla loro persona, subita. Quindi tutt’altro che liberante. Quando invece comprendono che “vocazione” è pienezza di identità, libertà liberante, fertile spazio di amore…, allora sono disposti a tutto.
Ultimo rilievo: i giovani vengono ma – lo constatiamo sempre con rinnovato stupore – da una società che vive il dramma del sentirsi “inutili”, abbracciano con gioia il cammino, la fatica della coerenza cristiana quando apprendono che nella vita del cristiano non esiste neppure un istante che non sia “utile”, se speso nella verità e nell’amore. Le loro irrequietezze e intolleranze si riappacificano con la dura fatica di essere “costanti”. Anzi bisogna far loro assaporare il gusto della conquista di una vita più motivata e “crocifissa” senza stancarsi di stimolare in essi la categoria dello stupore di fronte all’Amore Infinito, Paterno, Tenerissimo, che li ha fatti esistere, li accompagna nel quotidiano darsi da fare per formarsi all’ardua impresa della vita “spesa”.
Quanto recupero di luminosità abbiamo visto nel giovane che si scopre persona, persona amata, persona chiamata, persona attesa. È così che scatta la risposta: eccomi! Un’ultima riflessione. Tre elementi ci sembrano sostenere il ministero dell’orientamento vocazionale da parte della persona consacrata:
1. la sua esperienza umile e sincera di comunione fraterna: l’essere lei stessa persona di comunione, quindi rassicurante rivelazione della Personalità divina che è Amore e desidera Reciprocità d’amore;
2. la sua testimonianza di gioia: gioia profonda, adulta, amante della croce perché fonte di gioia;
3. essere davvero afferrata e motivata dalla passione per Cristo e la sua Chiesa, dunque per l’uomo.
E non sono queste le piste appassionanti di ogni autentico orientamento vocazionale?