Per una proposta vocazionale ai giovani “popolo della strada”
La prima ricchezza propria di ogni persona è la vita. Riuscire a far amare quell’umanità di cui Cristo si è servito per realizzare il mistero dell’Incarnazione, è il primo difficile compito che si trova ad affrontare un prete che la provvidenza a messo sulla strada.La strada che percorre la città di Roma, è una strada dove si incontrano tutte le povertà possibili ed immaginabili: violenza, prostituzione, sfruttamento dei minori, barbonismo, tossicodipendenza…
La storia del mio essere prete ad un certo punto della mia vita ha incontrato il problema della tossicodipendenza. Mi è sembrato tutto logico: un prete giovane come me, con una facilità di rapporto con i giovani, con una buona preparazione, poteva sicuramente far posto nella sua esperienza pastorale a questo grosso problema. Sono giovani quelli della mia Parrocchia, sono giovani quelli che incontro per la strada buttati su delle panchine euforici e nervosi in attesa della dose quotidiana o tranquilli perché già sazi del proprio vizio. Avrei potuto anche lì dire la mia.
Ho provato, ho cercato di trovare le parole migliori, quelle della mia esperienza a contatto con i gruppi giovanili della mia Parrocchia, ma ho collezionato solo fallimenti. Non c’era posto per Gesù nella vita di questi giovani. Non c’era posto per il semplice motivo che questi ragazzi non erano protagonisti della loro vita, non amavano il loro essere vivi, non avevano un buon rapporto con la loro umanità che ogni giorno, e più volte al giorno flagellavano con ogni sorta di violenza.
Non potevo parlare di Cristo fatto uomo a chi aveva dimenticato di essere uomo; non potevo parlare del corpo di Cristo a chi violentava così duramente il proprio corpo. Allora ho capito che per fare entrare Gesù nella vita di questi ragazzi era prima necessario restituirli alla vita. Allora ho scelto come prima via da seguire, in questa avventura che la Provvidenza mi aveva donato, quella dell’umanità. La prima proposta vocazionale per questi ragazzi è quella dell’amore, l’amore per la vita, l’amore per la propria carne ferita.
È indispensabile farsi compagni di cammino, con poche parole e tanto rispetto per quelle povertà che troppo spesso sono il segno evidente di disagi che durano da anni. È necessario aiutare questi ragazzi a recuperare la speranza, bisogna mostrare che ogni uomo è portatore di una ricchezza grande che niente e nessuno può annullare, e tutto questo è possibile solo scendendo nella strada, sporcandosi le mani, piangendo quando loro piangono, entusiasmandosi quando riescono a sorridere dopo anni durante i quali il loro volto non ha avuto nessuna espressione. Così, con tanta fatica, lentamente si comincia a demolire tutto quello che ha coperto ed immobilizzato il cuore e la carne di questi ragazzi.
Ogni sorriso è una conquista, ogni loro iniziativa è un risultato esaltante e così lentamente si comincia a restituire a questi ragazzi la loro umanità che sarà poi il terreno fertile per accogliere quel Gesù che in fondo non hanno mai smesso di cercare.
Adesso, dopo alcuni anni di presenza tra i ragazzi tossicodipendenti che hanno iniziato il loro cammino di recupero, vedo con chiarezza che il loro cuore è tornato ad essere tenero, che pulsa per amore, e allora è possibile proporre il Vangelo.
Nei centri della Comunità Incontro dove questi nostri ragazzi vivono, si celebra ogni domenica la Messa, si fa l’esperienza del silenzio e della meditazione, ci si prepara ai Sacramenti del Battesimo, dell’Eucaristia e della Cresima, si celebrano i Matrimoni, si prega quando uno dei nostri ragazzi muore e ci si dà l’appuntamento “nella grande prateria celeste” dove tutti un giorno ci ritroveremo.
È un’avventura entusiasmante; costruendo l’uomo si costruisce anche il cristiano, ma non si può mai pensare di costruire il cristiano se prima non si è cercato l’uomo che si era smarrito.