N.05
Settembre/Ottobre 1996

Ascolto attento della complessità del nostro tempo per servire le ragioni dell’uomo secondo il cuore di Dio

Ho partecipato con gioia ed interesse al seminario di studio. È stato un tempo forte di preghiera, di studio, di riflessione, ma soprattutto di attenzione, di ascolto della “storia” che, a dieci anni dalla pubblicazione del P.P.V., la Chiesa, nelle varie realtà vocazionali presenti in Essa, è andata facendo.

È stato come un leggere i segni dei tempi per capire, da una parte, l’iniziativa di Dio che chiama per far vivere un’esperienza di comunione con Lui nelle diverse realtà vocazionali, come dono gratuito suscitato dallo Spirito; e, dall’altra, quale deve essere il modo di dialogare della Chiesa con il mondo contemporaneo. È quanto mai necessario oggi, aiutare il giovane (inteso nella sua accezione di maschio e femmina) a prendere coscienza del progetto di “Dio che vuole che tutti gli uomini siano salvi e tutti arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm. 2,4). Ed è a lui oggi, come agli uomini di ogni tempo, che Dio fa in Cristo Gesù la sua proposta di salvezza e di verità.

Il giovane deve essere aiutato a leggere la sua storia come “storia sacra”, storia in cui una chiamata e una risposta diventano segno e patto d’Alleanza, dove l’uomo risponde liberamente e responsabilmente al progetto d’amore che Dio ha su di lui. Solo così ogni storia personale diventa storia vera, ogni vocazione, mistero di un amore infinito che richiede una risposta personale nella libertà, una risposta che non abbia il carattere di imposizione o di estraneità, ma che sia invece in sintonia con le richieste di fondo del suo vivere e del suo operare.

Dalla esperienza maturata in questi anni, traggo l’impressione che a volte questa “storia” venga strumentalizzata a fini prettamente pastorali e di proselitismo. Ecco perché vedo l’urgenza di celebrare un simposio per una riflessione teologica sulla gratuità della chiamata e sul segno profetico che essa deve assumere nel mondo contemporaneo.

Naturalmente, come consacrata secolare vedo il mondo come “luogo teologico” dove Dio si manifesta. E per “mondo” intendo l’uomo – nella sua componente maschile e femminile – e tutto quanto lo circonda: creazione e storia che assumo nel mio cuore per sentirlo, accoglierlo, interpretarlo, capirlo ed amarlo. Perché questo mondo divenga sempre più “regno di Dio” ogni uomo ed ogni donna devono vivere in esso con la propria originalità e con la propria peculiarità di persona libera che risponde ad un Amore che chiama nella libertà.

L’immagine che mi accompagnava durante i lavori del seminario e soprattutto nel laboratorio (il terzo) era quella dei discepoli sulla strada di Emmaus. Mi dicevo che è lungo la strada di questo mondo: che può essere la via di ogni quartiere, di ogni città, o simbolicamente la persona che il Signore ci fa incontrare, che si può fare l’esperienza del Risorto, del Cristo pellegrino che fa lo stesso cammino dell’uomo, ma per guidarlo verso “pascoli erbosi” dove il viandante trova, come Elia sull’Oreb, quel pane che lo conduce verso la meta desiderata. E la difficoltà di riconoscere Cristo sta nel fatto che si presenta nel nostro vivere ordinario senza, in apparenza, segni straordinari della sua potenza salvifica.

Da qui l’importanza del discernimento, di saper leggere nei fatti, negli avvenimenti, la presenza di quel Dio che da sempre, da tutta l’eternità ha pensato a me, ma ha pure pensato e guardato con sguardo d’amore quel giovane o quella giovane che sente “ardere il cuore” nell’incontro col Signore, e attende quel gesto di riconoscimento per seguirlo nella via dei suoi comandamenti.

È necessario, quindi, una proposta qualitativa delle parole che riguardano la realtà vocazionale. Emerge, allora, a mio parere, la necessità di una forte rilettura teologica della pastorale del P.P.V. Mi auguro che il simposio aiuti a spostare leggermente l’interesse dalla prassi, in cui ci si è soffermati maggiormente nel passato, a una riflessione teologica rinnovata che dia le motivazioni di una scelta vocazionale.

A volte si è fatta pastorale vocazionale per la necessità di avere preti e suore per la ministerialità e la pastorale ordinaria della Chiesa. Dovremmo, pertanto, essere sempre più e meglio aiutati a capire che ogni pastorale non può prescindere dall’essere vocazionale se vuole rispondere alla chiamata alla santità che Dio fa ad ogni uomo e ad ogni donna in ogni tempo. La Chiesa, nella pastorale vocazionale deve aiutare il giovane ad essere autentico e vero, perché trovi in sé e attorno a sé attese ed aperture verso il mondo della fede e scopra nella proposta di Dio un atto d’amore unico e irripetibile che lo conduca alla santità, per costruire con passione il Regno di Dio nei vari ambienti in cui è chiamato a vivere. Una passione che si fa impegno, radicalità, per vivere le Beatitudini.