N.05
Settembre/Ottobre 1996

Le diverse fasi della pastorale vocazionale della Chiesa italiana con particolare riferimento agli ultimi quindici anni (1980-1995)

 

 

ALCUNE PREMESSE

 

Il titolo dell’intervento allude a delle fasi, a diverse fasi della pastorale vocazionale. È importante cercare subito di intendere il concetto di fase connotandolo in senso propriamente storico-cronologico. Fase corrisponde infatti a ciò che viene normalmente inteso come periodo, cioè lo stato di una cosa diverso dai precedenti o le varie condizioni successive di una cosa, di una situazione. Queste diverse fasi andranno poi rinvenute – considerato il contesto nel quale si collocano anche le altre relazioni di questo seminario di studio – a partire dal Concilio Vaticano II, affrontando così un arco di tempo che abbraccia circa una trentina di anni della Chiesa italiana.

C’è un altro aspetto preliminare che va individuato e implica un interrogativo: alla luce di quale criterio, di quale categoria, sarà possibile tentare una ricognizione delle diverse fasi dell’azione pastorale della Chiesa italiana nei confronti delle vocazioni? La domanda è pretenziosa, ma ne ripropone anche un’altra: in che senso infatti è possibile ritenere l’espressione pastorale vocazionale una categoria valida, un criterio di natura pastorale in grado di sostenere con obiettività un’analisi di questo genere? E ancora: come distinguere un versante cronologico-descrittivo del dato vocazionale (una sorta di generica attenzione o cura delle vocazioni) da un versante più propriamente storico-categoriale (cioè di specifica pastorale vocazionale)?

Un dato è davvero sotto gli occhi di coloro che, con modalità diverse, si affaticano attorno alle vocazioni. È innegabile constatare il fatto che si sia parlato – e ancora molto si parli – di pastorale vocazionale nella Chiesa italiana, ma poi andrebbe anche registrata la fatica a far decollare un’organica e diffusa cura delle vocazioni in senso propriamente pastorale. Si da piuttosto un paradossale contrasto tra l’abbondanza delle parole sulle vocazioni e i risultati vocazionali che ne dovrebbero derivare.

Non si sta affatto pretendendo di assistere ad una proporzione produttiva tra parole e risultati vocazionali. Il Vangelo ci metterebbe subito in guardia da queste pretese. Piuttosto, sulla scorta di tale contrasto tra parole e risultati, dovremmo essere indotti a riflettere più che sulla sproporzione quantitativa dei risultati, sulla effettiva proposta qualitativa della comunicazione pastorale circa la realtà vocazionale stessa. È possibile affermare che nelle comunità cristiane non è di fatto ancora presente un senso della pastorale vocazionale univoco?

Mentre, infatti, il versante immediato dell’agire a favore delle vocazioni (prassi) non sembra fare problema proprio a nessuno, anzi, viene sempre guardato con simpatia e attesa da parte dei più; il versante che invece pretenderebbe una sorta di dignità propria nell’ambito delle considerazioni riflesse di carattere pastorale finisce per essere sempre più debole e affaticato, se non addirittura insostenibile da parte magari dei pastoralisti più accreditati.

Sarà possibile dunque, alla luce della ricognizione del lavoro svolto in questi trent’anni, pretendere una più convinta connotazione teologica della prassi vocazionale, così che come la pastorale vocazionale, come categoria avente una propria dignità, possa avvalorare e sostenere i grandi pronunciamenti magisteriali sulle vocazioni?[1]

In rapporto pertanto ad un’analisi propriamente storica delle diverse fasi della pastorale delle vocazioni nella Chiesa italiana (tra teologia e prassi) sarà importante riuscire a verificare attraverso quali e quante fasi una certa teologia della vocazione ha di fatto favorito una determinata prassi o anche a quale teologia una determinata prassi vocazionale si è volutamente riferita e giustificata[2].

 

 

 

I. LA COMPLESSA RICOGNIZIONE STORICA 

DELLA PASTORALE DELLE VOCAZIONI

 

La domanda che attraversa questa prima parte della ricerca è questa: la pastorale vocazionale è una categoria capace di avviare una sintesi ricognitiva obiettiva nei confronti della complessa azione pastorale a favore delle vocazioni nella Chiesa italiana?

Si è dunque alla ricerca di una prospettiva di lavoro, di una possibile analisi di carattere storico, tentando – e la pretesa è davvero alta – una storia della pastorale vocazionale nella Chiesa italiana nel post-Concilio.

Materiale a questo riguardo se ne può trovare in abbondanza, anche se non è mai stato riordinato e organizzato con una certa completezza. Lo si ritrova piuttosto come affastellato in senso più descrittivo e pratico. In questo senso è forse impossibile pretendere di enumerare le iniziative di pastorale vocazionale messe in atto negli ultimi trent’anni nella Chiesa italiana. Proprio per questo dunque è necessario individuare il dinamismo, la categoria (o le categorie) in grado di dare significato, senso ad una molteplicità di dati e di elementi pastorali. Da questo punto di vista non sono riuscito a trovare studi di carattere pastorale particolarmente significativi[3].

 

1) Approcci interpretativi della cura delle vocazioni

Mancando, dunque, da un punto di vista della riflessione pastorale, dei riferimenti categoriali precisi alla luce dei quali interpretare il complesso dell’azione nei confronti delle vocazioni nella Chiesa italiana, ci si potrebbe rifare in termini di avvio anche ad altri approcci categoriali ed interpretativi del dato vocazionale teso.

Sono utili ad esempio alcune note di carattere ecclesiologico circa una possibile interpretazione dell’animazione vocazionale di P.Grieger, scritte una quindicina di anni fa. Schematicamente si riferisce come a tre concezioni ecclesiologiche che interpretano altrettanti approcci tra Chiesa e mondo: in senso monista, dualista e pluralista, che a loro volta finiscono per segnare profondamente la stessa pastorale delle vocazioni[4]. In un recente studio di carattere teologico-descrittivo[5] C. Rocchetta annota ben sei modelli di teologia della vocazione operanti dinamicamente nel periodo post-conciliare della Chiesa italiana: il modello personale-esistenziale; quello trinitario-ecclesiale; quello comunitario-ministeriale; il modello della vocazione universale alla santità; quello storico-salvifico; e infine quello mariologico. Egli conclude che “dall’insieme dell’esame svolto, oltre alla disomogeneità del concetto di vocazione e alla debolezza del quadro teologico di riferimento, un dato sembra emergere con evidenza: la prospettiva di fondo che determina i diversi modelli vocazionali è primariamente e prevalentemente ecclesiologica. Certo, il modulo ecclesiologico ha determinato in misura predominante la teologia e la pastorale vocazionale della Chiesa post-conciliare. Ci si può tuttavia domandare se questa accentuazione abbia tenuto in sufficiente conto la dimensione cristologica della teologia della vocazione e se non debba essere opportunamente integrata da essa, specie nel nuovo clima culturale e con le istanze che si impongono oggi alle nostre comunità”.

Infine il riferimento potrebbe essere alla dinamica propriamente culturale, pure essa intesa come possibile categoria capace di interpretare l’azione o l’animazione a favore delle vocazioni. Ci si può riferire ad uno studio abbastanza recente di Juan E. Vecchi[6]. La convinzione di fondo che guida il lavoro è che, volendo individuare dei modelli vocazionali possibili e convincenti, un ruolo singolare lo gioca il rapporto che si può intravedere e stabilire tra comunità cristiana e società, tra contributo dei credenti e movimenti socioculturali, tra gli atteggiamenti della Chiesa e l’emergere di nuovi problemi e soggetti sociali.

Concretamente nei contesti propriamente cattolici, di fronte alla secolarizzazione e alla post-modernità, sono state formulate quattro principali forme di rapporto tra comunità cristiana e società. Si tratta della forma della mediazione della presenza secolare propria dei cristiani; della forma che assume il carattere della rottura; e di quella della diaspora[7]. Alla luce di queste quattro forme di rapporto che il credente stabilisce con la società nella quale si trova a vivere è possibile di conseguenza intravedere cinque possibili modelli vocazionali conseguenti: quello che ripensa la vocazione in termini di realizzazione “umana”; quello che individua nella vocazione l’attesa di un’esperienza spirituale singolare; quello che intende la vocazione come presenza e radicamento nella storia; quello che la interpreta come capacità di unità e riconciliazione; e da ultimo la vocazionalità cristiana intesa come figura profetica[8].

Senza la pretesa di un ordine particolare, si è così cercato di vedere come, in assenza di una considerazione propriamente categoriale della pastorale, sia possibile riferirsi a prospettive che possono pretendere di interpretare l’azione a favore delle vocazioni in quanto tale. Perché dunque non tentare di accedere all’ipotesi della validità categoriale interpretativa della pastorale vocazionale stessa?

 

2) La pastorale vocazionale come possibile categoria interpretativa

Va riproposta dunque la domanda: la dinamica pastorale può pretendere di raggiungere un livello, una dignità, propriamente “categoriale” e interpretativo nei confronti della cura delle vocazioni nelle comunità cristiane? Sono stati fatti dei tentativi in questo senso? Già si è avuto modo di rilevare nell’introduzione che in questi ultimi decenni sul piano della teologia, come anche della stessa riflessione pastorale più specialistica, l’espressione pastorale vocazionale o pastorale delle vocazioni raramente ha trovato uno spazio di trattazione o di considerazione propria e specifica[9].

Resta piuttosto lo spazio per riferirci a qualche tentativo, non sempre specificamente esigente sul piano della riflessione pastorale in quanto tale. Una griglia di lettura pastorale della cura delle vocazioni, che ha trovato subito divulgazione e consenso, è quella di A. Cencini, sul finire degli anni ‘80, proposta per sé in rapporto ad una rilettura delle diverse fasi dell’azione a favore delle vocazioni espressa nel contesto della vita religiosa[10].

 

Vengono delineate quattro grandi fasi o stagioni della pastorale vocazionale: 

1. la stagione dell’abbondanza preconciliare, quando la pastorale vocazionale era praticamente assente; 

2. quella degli anni dell’indigenza, propria dell’immediato post-Concilio, che ha espresso un’animazione vocazionale d’emergenza; 

3. la stagione del discernimento, tipica degli anni ‘70, che ha fortemente insistito su un’animazione vocazionale intesa come impulso al cambiamento; 

4. e infine la stagione della profezia, che ha ormai avviato un’animazione vocazionale di esplicito rinnovamento[11]

 

Andrebbero ricordati anche altri tentativi. Ci si potrebbe rifare ad una rilettura di carattere storico-pastorale della cura delle vocazioni avviata da C. Quaranta[12]. Da questo punto di vista egli afferma che la svolta conciliare consistette fondamentalmente nel fatto che per la prima volta nella storia della Chiesa un Concilio ecumenico si è occupato del problema vocazionale, finendo per evidenziare quattro fasi storico-pastorali:

1. gli anni dell’immediato post-Concilio, dal 1965 al 1970, caratterizzati dalla celebrazione per conto della S. Sede di quattro Congressi internazionali sulle Vocazioni per i direttori dei centri nazionali vocazioni; 

2. gli anni della programmazione a livello nazionale, gli anni ‘70, nei quali la pastorale delle vocazioni entra in una fase più sistematica e organizzata; 

3. per giungere poi ad un decennio ricco di iniziative, che va dal 1982 al 1992, con la celebrazione del II Congresso internazionale di vescovi e di altri responsabili delle vocazioni ecclesiastiche (Roma, 10-15 maggio 1981), il cui Documento conclusivo può considerarsi la magna charta della più recente pastorale vocazionale a livello di Chiesa universale, e la pubblicazione del Documento Informativo (1992), con il titolo Sviluppi della pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari; 

4. per giungere così alla fase vocazionale che si caratterizza per appartenere ormai al clima della cosiddetta nuova evangelizzazione.

 

Nella stessa linea, e con la preoccupazione di rifarsi ad un orizzonte storico ancora più ampio, va pure ricordata la rilettura del dato vocazionale espressa in un breve intervento dal pastoralista C. Bonicelli[13] e dal giornalista V. Magno[14]. Quest’ultimo tenta di delineare le prospettive di una vera e propria storia della moderna pastorale vocazionale, individuando tre grandi momenti: 

1. quello che va dal 1935 all’immediato dopoguerra, con la Ad catholici sacerdotii di Pio XI del 1935 e l’istituzione da parte di Pio XII della Pontificia Opera per le vocazioni sacerdotali nel 1941; 

2. quello che va dalla Menti nostræ di Pio XII nel 1950 al Vaticano II (1965), con tutti i prodromi della crisi e della cosiddetta svolta conciliare; 

3. sino al periodo che va dal 1965 al 1992 con la preparazione dei Piani nazionali per le vocazioni, il Documento conclusivo del Congresso Internazionale della Pastorale vocazionale del 1982 e un primo Bilancio del lavoro svolto del 1992. In questo senso così conclude: “la parabola dello sviluppo della moderna pastorale vocazionale ha tre fondamentali caratteristiche: in primo luogo, nell’arco di poco più di cinquant’anni (1935-1985) la pastorale vocazionale ha assunto una precisa fisionomia; in secondo luogo, il tratto più evidente di questa fisionomia è quello che si potrebbe chiamare l’interiorizzazione o spiritualizzazione della pastorale vocazionale, compiutasi con il graduale e pieno recupero della preghiera quale sorgente delle vocazioni; infine, si avvia a scomparire ogni particolarismo promozionale nel campo delle vocazioni e ci si muove decisamente verso una pastorale vocazionale unitaria, strettamente legata al concetto e alla prassi della ‘nuova’ evangelizzazione”[15].

A questo punto però il discorso si fa più complesso e problematico, nel senso che, anche alla luce di queste diverse letture storico-pastorali, lo stesso termine pastorale finisce per essere inteso in senso molto ampio, risultando talvolta addirittura non chiaro e anche generico proprio in rapporto al dato vocazionale che vorrebbe indicare, favorire o curare. Questa dispersione generica di significato della pastorale rimane anche nel caso che volutamente si specifichi con l’aggettivazione vocazionale, al punto che l’espressione pastorale vocazionale o pastorale delle vocazioni finisce per raccogliere e per esprimere – anche e proprio nel periodo post-conciliare della stessa Chiesa italiana – un insieme vario di preoccupazioni e di accentuazioni che per altri aspetti invece si vorrebbe cercare di distinguere e coniugare con un ordine maggiore.

Addirittura si potrebbe meglio evidenziare una forte caratterizzazione che qualifica costantemente qualsiasi certe riletture della pastorale vocazionale stessa: la forte connotazione magisteriale, quasi una sorta di legame imprescindibile tra pastorale vocazionale e indicazione magisteriale. Del resto questo stesso rischio di genericismo della pastorale vocazionale potrebbe essere rilevato come caratterizzante lo stesso linguaggio della pastorale magisteriale più ufficiale. Facilmente si potrà notare nelle stesse indicazioni pastorali a riguardo delle preoccupazioni per le vocazioni degli stessi vescovi una sorta di ridondanza e di genericismo volontaristico. Per un verso non ci si può non preoccupare delle vocazioni che tendono chiaramente a diminuire numericamente su molti fronti, ma per un altro, usando proprio il termine vocazione e vocazioni si vorrebbero sempre tenere presenti ad un tempo un fronte specifico e un fronte molto aperto a nuovi orizzonti e prospettive[16].

 

3) La prospettiva emergente: una pastorale vocazionale progressiva e includente

Siamo dunque sempre alla ricerca di una formulazione categoriale della pastorale vocazionale. Un dato, tuttavia, potrebbe essere inteso come emergente in questo senso: il fatto che, a partire dalle indicazioni del Vaticano II, l’azione a favore delle vocazioni venga costantemente intesa come progressiva e includente. Progressiva nel senso che si percepisce ormai che non ci si può fermare ad una rigida assolutizzazione della vocazione sacerdotale, considerando in senso analogico tutte le altre vocazioni. Includente in quanto si va ormai verso una considerazione a pieno titolo, nel contesto dell’azione a favore delle vocazioni, cioè della pastorale vocazionale, di tante altre forme vocazionali cristiane.

È questo forse il dato più interessante, da un punto di vista propriamente teorico-categoriale, della pastorale vocazionale e del dopo-concilio, che si codificherà nei primi anni ‘80 con la considerazione della categoria più ampia e includente della cosiddetta speciale consacrazione. Le fasi che si potrebbero considerare in vista di una corretta documentazione di questo passaggio sono diverse.

C’è sicuramente una fase iniziale, chiaramente introduttiva, la quale tenderebbe costantemente ad identificare la pastorale vocazionale con la cura esplicita delle sole vocazioni sacerdotali; ad essa segue nella Chiesa italiana la fase che si delinea a partire dal Piano pastorale delle vocazioni del 1973, nel quale si parla esplicitamente di animazione di tutte le vocazioni e che verrà a delinearsi nella espressione della speciale consacrazione; connessa a questa c’è la fase che tende a giustificare la cura delle vocazioni come pastorale vocazionale unitaria nel duplice senso di unità dell’azione pastorale a favore di alcune vocazioni, cioè le cosiddette vocazioni di speciale consacrazione, e di unità a partire propriamente dall’unica radice fontale, cioè l’unità o comunione propria della comunità ecclesiale; a questa infine seguirebbe un’ultima fase più difficile da sintetizzare e che corrisponderebbe propriamente ai nostri giorni. Forse, come del resto si avrà modo di affermare più avanti, è l’orizzonte della cosiddetta nuova evangelizzazione, che chiede una rinnovata cultura vocazionale, e dunque una riconsiderazione delle linee di una pastorale vocazionale rispondente alla missione della Chiesa oggi.

È bene comunque notare che si tratta di fasi percorse dalla Chiesa italiana con una concretezza che risponde alla logica della linearità e della schematizzazione semplificante. Le fasi sopra descritte non si susseguono necessariamente l’una all’altra. Piuttosto tendono a intersecarsi, ad intrecciarsi, sin anche a confondersi. In un certo senso, a distanza di trent’anni dalla fine del Vaticano II, si può anche affermare che queste prospettive tendono ancora a coesistere nella coscienza della Chiesa italiana, nelle sue comunità e nei suoi stessi pastori. Resta tuttavia vera e significativa la sequenza di fondo, nel senso cioè che ad un iniziale accaparramento di carattere clericale della pastorale vocazionale, subentrerà sin dagli inizi degli anni ‘70 l’esigenza di un’animazione di tutte le vocazioni, con un particolare riguardo nei confronti delle vocazioni di speciale consacrazione; su questa poi, a partire propriamente dalla seconda metà degli anni ‘80, si innesterà decisamente un approfondimento ecclesiologico della cosiddetta azione di pastorale vocazionale unitaria a favore delle vocazioni di speciale consacrazione, fase nella quale vocazionalmente si trova la Chiesa italiana a metà degli anni ‘90.

Si è parlato, a riguardo dell’ultima fase, di una sorta di approfondimento ecclesiologico dell’azione unitaria a favore delle vocazioni. Non è difficile infatti intuire che da una sorta di cura pastorale esclusivamente attenta alla cura delle vocazioni sacerdotali, si è poi passati ad un primo allargamento della categoria di riferimento con le vocazioni di speciale consacrazione, includente naturalmente la vocazione al sacerdozio ministeriale, per giungere, attraverso la connotazione propria della unitarietà, ad un aggancio di altre prospettive vocazionali, ma che ancora meriterebbero d’essere evidenziate. Si pensi in questo senso, ad esempio, alla stessa vocazionalità matrimoniale cristiana o alla varia vocazionalità che scaturisce inevitabilmente dall’intensificazione della pastorale giovanile negli anni ‘90 nella Chiesa italiana, come pure dalle dinamiche pastorali singolari e proprie della carità alla luce dell’ultimo Piano pastorale CEI (Evangelizzazione e testimonianza della carità).

Non si può certo affermare che la caratteristica dell’unitarietà applicata alla pastorale vocazionale sia riuscita a raggiungere tutte le vocazioni presenti nella comunità cristiana. Tuttavia, forse proprio lavorando ulteriormente su questo aspetto, sarà dato alla pastorale vocazionale della Chiesa italiana di esprimere delle interessanti potenzialità vocazionali, ma per certi aspetti ancora nascoste e che attendono d’essere pastoralmente esplicitate. In questo senso potrebbe essere interessante, in vista di ulteriori inclusioni vocazionali nella categoria della pastorale vocazionale, riuscire a riflettere ulteriormente e in maniera più decisa sulla tematica propria della missione che scaturisce dalla comunione.

Una pastorale vocazionale veramente unitaria si trova forse oggi di fronte alla straordinaria opportunità di poter andare oltre certi schemi pastorali che si sono come irrigiditi e assestati su posizioni che vocazionalmente finiscono per rispondere più a delle esigenze immediate e di corto respiro ecclesiale, che non alle grandi prospettive di una Chiesa che è continuamente chiamata ad andare oltre se stessa per rispondere alla verità più profonda di sé.

 

4) Come interpretare la costante attenzione alle vocazioni sacerdotali

Il dato potrebbe forse destare anche qualche meraviglia. Tuttavia è bene rilevarlo con onestà e chiarezza: all’indomani del Vaticano II, sulla scorta del Concilio stesso, nella Chiesa italiana, l’espressione pastorale vocazionale era immediatamente colta come specifica attenzione alla cura delle vocazioni al sacerdozio ministeriale. Per un verso va riconosciuto il fatto che per la prima volta un Concilio ecumenico si sia esplicitamente occupato del problema vocazionale[17], ma nello stesso tempo è innegabile rilevare che ad occuparsene sono stati due documenti come Optatam totius 2[18], e Presbiterorum ordinis 11 che sono particolarmente diretti ad una attenzione al sacerdozio ministeriale, pur ricordando che alcuni accenni alla questione vocazionale sono rinvenibili anche in altri documenti conciliari[19].

All’inizio del 1970 viene dunque pubblicata, per conto della Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica la Ratio fundamentalis, che pure dedica una intera sezione all’attenzione per le vocazioni[20].

Tuttavia si deve arrivare al Documento normativo CEI su La preparazione al sacerdozio ministeriale – Orientamenti e norme (1972) per trovare una significativa e determinante definizione di pastorale vocazionale. Essa infatti “consiste nell’azione della comunità cristiana, gerarchicamente organizzata, mirante a far sì che ogni cristiano, fin dai primi anni della fanciullezza, sviluppando la fondamentale vocazione alla santità e all’apostolato, che scaturisce dal battesimo, scopra la propria vocazione personale e trovi le condizioni necessarie per la maturazione e la perseveranza” (RaF 6)[21]. Per l’ampiezza di prospettive e per gli agganci teologici ed esistenziali questa potrebbe essere considerata a buon diritto la prima definizione della pastorale vocazionale della Chiesa italiana.

Nel 1977 verrà pubblicato poi il Documento pastorale Evangelizzazione e ministeri che, a riguardo della pastorale vocazionale, afferma che è “necessaria una intensificazione e una specializzazione della pastorale vocazionale, con l’impegno di tutti (…). In particolare – affermano i vescovi italiani – sentiamo il bisogno di insistere per la pastorale delle vocazioni di speciale consacrazione, le sacerdotali anzitutto”[22].

Potrebbe forse sembrare un rilievo eccessivo, ma è giusto constatare ancora una volta una sorta di “restrizione clericale” della pastorale vocazionale post-conciliare nei suoi inizi. L’anzitutto infatti viene detto a riguardo delle vocazioni al ministero ordinato, sacerdotali.

Nel 1979 viene promulgato a cura della CEI Seminari e vocazioni sacerdotali e ancora una volta l’espressione pastorale vocazionale continua ad essere usata come a un duplice livello: per un verso non viene dimenticato il fatto che la pastorale vocazionale riguarda davvero tutte le vocazioni, ma per un altro tale espressione rimane esplicitamente intesa come tipica per indicare la cura delle vocazioni sacerdotali[23].

Infine si potrebbe rileggere in questa prospettiva anche la più recente Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (1992) che dedica appunto l’intero capitolo IV alla pastorale vocazionale: Venite e vedrete – La vocazione sacerdotale nella pastorale della Chiesa.

L’intero capitolo IV è costruito su due fronti, come preso da due principali tensioni: quello più ampio della considerazione pastorale delle vocazioni in generale: 

1) Cercare, seguire, rimanere; 

2) La Chiesa e il dono della vocazione; 

e quello più specifico – attinente del resto all’oggetto dell’Esortazione stessa – della pastorale vocazionale in senso propriamente sacerdotale; 

3) Il dialogo vocazionale: l’iniziativa di Dio e la risposta dell’uomo; 

4) Contenuti e mezzi della pastorale vocazionale; 

5) Tutti siamo responsabili delle vocazioni sacerdotali.

Resta vero che tale Esortazione Apostolica rimane indiscutibilmente decisiva in vista di una definizione categoriale della pastorale vocazionale, tuttavia è inevitabile constatare che l’orizzonte entro il quale tale definizione viene consegnata alla Chiesa universale, e dunque anche alla Chiesa italiana, è pur sempre quello del sacerdozio ministeriale[24].

L’aver colto questa costante insistenza nei confronti delle vocazioni sacerdotali nella pastorale vocazionale nella Chiesa italiana non ha significato affatto nella pastorale vocazionale concreta di questi tre decenni, poter alludere anche ad altre figure vocazionali. Tuttavia il dato che con una certa chiarezza sembra risultare è una sorta di complessità non ben compaginata nella ricezione immediata del messaggio vocazionale, nella misura in cui ad un tempo la cura delle vocazioni della Chiesa italiana ha voluto alludere, in determinati contesti, alle vocazioni al sacerdozio ministeriale e in altri a tutte le altre o ad alcune altre vocazioni[25].

Ci si trova in un certo senso davanti alla fatica pastorale di assumere in termini chiari e netti l’orizzonte conciliare, aperto per sé alla cura specifica di alcune vocazioni, ma al tempo stesso di tutte le vocazioni. Non si dimentichi comunque che quando si parla di pastorale si allude in prima istanza propriamente alla cura specifica del vescovo nei confronti della sua Chiesa. È in questo senso innegabile constatare che non può non essere primaria preoccupazione di un vescovo per la cura della sua diocesi l’attenzione prioritaria alle vocazioni sacerdotali. Infatti nel Documento pastorale CEI Evangelizzazione e ministeri (1977) già si affermava che “nella Chiesa, mentre alcuni ministeri sono necessari, per la volontà di Cristo, all’essere stesso della Chiesa, altri invece sono complementari e per il suo benessere” (n. 92), nell’espressione citata poi in Vocazioni nella Chiesa italiana (1985) al n. 7 (Speciali vocazioni).

Ma si potrebbe notare anche una ragione più immediata e urgente per giustificare una tale insistenza: quella inerente la sensibile diminuzione numerica delle vocazioni al sacerdozio a partire dagli anni ‘70 nella Chiesa italiana[26].

Resterebbe tuttavia ancora un’osservazione che in un certo senso scaturisce da quanto si è detto sin qui: l’esigenza, anche all’interno della cosiddetta pastorale vocazionale unitaria, di riuscire ad evidenziare, in senso propriamente teologico, la necessità delle vocazioni al sacerdozio ministeriale rispetto alla originalità delle altre vocazioni cristiane, come pure delle vocazioni di speciale consacrazione[27]. Si potrebbe in questo senso ipotizzare che la vocazione al sacerdozio ministeriale comporta di fatto, oltre che di diritto, una sorta di strutturale capacità allusiva e preordinante dal punto di vista propriamente vocazionale cristiano?

 

 

 

II. GLI ANNI ‘70: ANIMAZIONE DI TUTTE LE VOCAZIONI 

E VOCAZIONI DI SPECIALE CONSACRAZIONE

 

La fase che si prospetta ora all’analisi è particolarmente ricca di dati, complessa in rapporto al materiale. Corrisponde grosso modo agli anni ‘70. Già il titolo mette in evidenza alcuni termini – animazione di tutte le vocazioni e vocazioni di speciale consacrazione – che delineano e definiscono il percorso e il cammino della riflessione.

Da un punto di vista propriamente descrittivo si possono prospettare questi passaggi: anzitutto, da un punto di vista propriamente istituzionale, la nascita dell’idea di un Centro per l’animazione delle vocazioni per la Chiesa italiana (1967) e la pubblicazione del primo Piano pastorale per le vocazioni (1973); segue l’attenzione a quello che potrebbe essere considerato un interessante orizzonte vocazionale: il tema teologico della ministerialità, che copre buona parte degli anni ‘70, avviando e prospettando l’attenzione a tutte le espressioni vocazionali presenti nella comunità cristiana, mentre contemporaneamente si viene a delineare sempre più esplicitamente l’esigenza di una più organica attenzione ad alcune vocazioni specifiche, le cosiddette vocazioni di speciale consacrazione; infine l’emergere della preoccupazione di stabilire delle Mutuae relationes (1978) tra due fronti compatti e precisi dell’arco vocazionale, ministero ordinato e vita religiosa.

 

1) Centro Nazionale Vocazioni e “primo” Piano per le vocazioni (1973)

L’intenzione di dare l’avvio ad un centro per le vocazioni ecclesiastiche era già emersa in occasione della I Assemblea generale della CEI nel 196628, così che l’anno seguente comincia a prendere corpo l’idea di costituire un centro nazionale per le vocazioni ecclesiastiche e religiose[29]. In pochi mesi viene approvato ad experimentum (1002), e quindi promulgato, il Regolamento del Centro Nazionale Vocazioni[30]

All’inizio degli anni ‘70 viene pubblicato, per conto della Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica, la Ratio fundamentalis nella quale si afferma: “si favoriscano le vocazioni con animo generoso (…). Per raggiungere più facilmente tale scopo è vivamente auspicabile che si dia vita in ogni diocesi a centri unici, che siano come l’espressione della cooperazione e dell’unità di ambedue i cleri: il diocesano e il religioso, a favore di tutte le vocazioni”[31].

L’espressione Centro Nazionale Vocazioni (CNV) è riportata per sé per la prima volta in una Nota del Consiglio di Presidenza CEI circa la Collaborazione tra clero diocesano e religiosi del 1970, nella quale si ricorda che “come a livello nazionale si attua la collaborazione nella Commissione mista di vescovi e dei religiosi nel Centro Nazionale Vocazioni, così si auspica che anche sul piano regionale sorgano simili commissioni e centri”[32].

Nel 1973, a cura del CNV, viene dunque pubblicato il primo Piano pastorale per le vocazioni in Italia[33], che si ispira agli apporti dottrinali maturati con il Vaticano II e alla conseguente riflessione fatta nello sforzo di presentare una concreta proposta operativa nei confronti delle vocazioni[34]. Vi si afferma anzitutto che “nella Chiesa è oggi chiaramente avvertita l’esigenza di un’azione pastorale unitaria e programmata, anche a motivo della grande varietà di membri e di carismi in essa esistenti. L’animazione vocazionale[35] è qui intesa come il servizio che il vescovo, guida, propulsore e discernitore delle vocazioni, offre alla comunità locale, perché prenda coscienza della propria corresponsabilità per far maturare nell’animo dei cristiani il senso della vocazione generale e specifica”[36].

L’aspetto interessante presentato da questo documento è in un certo senso duplice. Da un lato è seriamente preoccupato di prendere atto con profondità particolare e dettagliata della cosiddetta crisi vocazionale, ma dall’altro l’animazione vocazionale è sempre intesa in maniera ampia, addirittura tesa a cogliere, in una sorta di feconda interazione, lo stesso tema della vocazionalità alla famiglia e alla speciale consacrazione, con interessanti accenni alla unitarietà dell’azione vocazionale.

 

2) Ministerialità vocazionale e pastorale specifica per le vocazioni

La domanda alla quale si vorrebbe rispondere è questa: il tema teologico della ministerialità cosa ha prodotto nell’ambito dell’azione vocazionale a favore delle vocazioni nella Chiesa italiana degli anni ‘70? La risposta a questo interrogativo sarà la constatazione di una sorta di dialettica tra l’apertura vocazionale che scaturisce dalla tematica della ministerialità e l’esigenza propriamente ecclesiastico-istituzionale di fissare un orizzonte vocazionale più specifico attraverso la categoria della speciale consacrazione.

Già il primo Piano pastorale (1973) conteneva una significativa allusione a quella che si potrebbe intendere qui come ministerialità vocazionale quando affermava che il dono del ministero ai vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi, è dato per l’edificazione del Corpo di Cristo. A questi ministeri poi si aggiungono altri ministeri (lettori, accoliti, salmisti, catechisti, ecc.) che possono essere esercitati anche dai laici[37].

Con Evangelizzazione e ministeri (1977)[38] il raccordo tra ministerialità e vocazionalità[39] diventa in un certo senso l’opportunità per la Chiesa italiana di una sorta di allargamento nella considerazione della vocazionalità stessa, alla luce propriamente della teologia dei ministeri. Resta comunque che se il modello di una Chiesa tutta ministeriale ha conosciuto ancora nei primi anni ‘80 una favorevole accoglienza, tuttavia tale figura di teologia vocazionale ben presto entrerà in crisi[40].

Ma è proprio all’interno di questa sorta di allargamento che, in rapporto alla pastorale vocazionale di questi anni, si evidenzia e si precisa sempre più nella coscienza della azione ecclesiale l’attenzione alle vocazioni di speciale consacrazione[41]. Rispetto al Piano pastorale del 1973, decisamente preoccupato di rimanere aperto ad un’animazione di tutte le vocazioni[42], il Documento finale del Congresso internazionale dei vescovi delegati dagli episcopati su I piani pastorali per le vocazioni (1973) sembra voler chiarire cosa significa insistere sulla necessità di una attenzione pastorale specifica per alcune vocazioni. In questo senso infatti ci si premura di distinguere all’interno della pastorale generale l’importanza di una pastorale vocazionale specifica: “La pastorale delle vocazioni – sembra utile ripeterlo – non può svolgersi se non all’interno di una pastorale generale, della quale è una dimensione essenziale (…). Nel quadro della chiamata fondamentale e comune alla fedeltà battesimale, la pastorale specifica delle vocazioni deve riguardare tutte le vocazioni di speciale consacrazione, cioè vocazioni ai ministeri presbiterale e diaconale, alla professione dei consigli evangelici negli istituti religiosi di vita contemplativa e attiva, alla vita apostolica negli istituti secolari. Aggiungiamo: vocazione ai nuovi ministeri e alle nuove forme di vita consacrata che lo Spirito potrebbe suscitare. Coloro che vivono una vocazione particolare hanno il dovere di far conoscere anche le altre vocazioni” (n. 5)[43].

Nel 1979 viene approvato lo Statuto del Centro Nazionale Vocazioni da parte del Consiglio permanente della CEI con l’intenzione di sostituire il precedente (1975), affermando che finalità primaria del CNV è di essere “specifico strumento di servizio per l’animazione della pastorale delle vocazioni di speciale consacrazione”[44]. Ormai la categoria delle vocazioni di speciale consacrazione sembra in questo senso aver raggiunto una definizione “specificante” e imprescindibile per l’animazione delle vocazioni nella Chiesa italiana[45]. Siamo a metà degli anni ‘70.

 

3) “Mutuae relationes” tra vocazioni religiose e vocazioni proprie della Chiesa locale (1978)

Il titolo delle Mutuae relationes: Notæ directivæ pro mutuis relationibus inter episcopos et religiosos in Ecclesia (S. Sede, 1978) dice già l’orizzonte che intende affrontare, anche da un punto di vista propriamente vocazionale[46].

Un chiaro accenno vocazionale lo troviamo già all’inizio della sezione dottrinale del documento, dove si afferma che per tutti gli appartenenti alla comunità ecclesiale “duplice è l’aspetto della vocazione: la vocazione alla santità: ‘tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che da essa siano diretti, sono chiamati alla santità’ (LG 39) e la vocazione all’apostolato” (594-595).

Ampio spazio viene dato poi alla considerazione del ruolo vocazionale primario del vescovo nella Chiesa locale, e quindi anche nei confronti della vita consacrata, e questo “in virtù del suo stesso ministero” (600-603). Ma indicazioni in questo senso vengono date anche ai religiosi e alle religiose quando si afferma che essi, pur appartenendo “ad un istituto di diritto pontificio, devono sentirsi veramente partecipi della ‘famiglia diocesana’ (CD 34), assumendosi l’impegno del necessario adattamento, sapendo a loro volta favorire le vocazioni locali, sia per il clero diocesano sia per la vita consacrata” (630).

In un certo senso si potrebbe affermare che proprio l’ambito della pastorale vocazionale finisce per rivelarsi l’ambito più concreto e disponibile per iniziare ad attuare una reale azione unitaria, cioè di concrete mutue, reciproche relazioni, tra Chiesa locale e vita consacrata. È quanto viene detto in maniera ampia ed esplicita proprio al n. 39: “Campo privilegiato di collaborazione tra i vescovi e i religiosi deve essere considerato l’impegno pastorale per seguire le vocazioni (PO 11; PC 24; OT 2). Tale impegno pastorale consiste in un’azione concorde della comunità cristiana per tutte le vocazioni, così che la Chiesa venga edificata secondo la pienezza di Cristo e secondo la varietà dei carismi del suo Spirito (…). Pertanto sarà opportuno che le molteplici iniziative siano sapientemente coordinate sotto la guida dei vescovi…” (669-671)[47].

Alla luce anche delle indicazioni che scaturiscono da questo documento le mutue relazioni tra Chiesa locale e vita consacrata, anche e soprattutto in ordine al problema delle vocazioni, hanno concretamente bisogno di persone capaci di fare comunione più che di pensare a grandi progetti. Sono cioè necessari gesti e segni, anche modesti, ma posti con pazienza nella stessa direzione. Il documento insomma non si preoccupa solo di enunciare dei principi di alta ecclesiologia, ma dei criteri possibili di sana e reale collaborazione nella prospettiva della comunione. In questo senso l’azione a favore della vocazione si dimostra un terreno particolarmente disponibile e fecondo in prospettiva.

 

4) Verso una considerazione unitaria della pastorale vocazionale

Si potrebbe a questo punto tentare una ricognizione del senso di unitarietà nella Chiesa italiana del dopo-Concilio nella prospettiva della pastorale vocazionale. È nell’arco degli anni ‘70, infatti, che viene maturando l’esigenza di una visione d’insieme delle diverse vocazioni – intese naturalmente nell’orizzonte delle vocazioni di speciale consacrazione – che si verrà a caratterizzare e a codificare poi come pastorale vocazionale unitaria, soprattutto nei documenti più significativi della pastorale vocazionale degli anni ‘80.

Già nel 1968 la Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica faceva pervenire a tutti i vescovi ordinari una lettera nella quale si domandava: “A che punto è, nell’insieme della Chiesa, l’unità di impegno al servizio delle vocazioni? In qual misura abbiamo superato la tappa degli sforzi paralleli, cioè concorrenti: diocesi, religiosi, congregazioni religiose tra loro, missionari? Il carattere anormale e talvolta apertamente scandaloso di certe attività in questo ambito lascia sconcertati, quando si pensa alla gravità della posta in gioco”[48].

Si tratta dunque di prendere atto di una preoccupazione di maggior coordinamento nel servizio alle vocazioni parlando appunto di unità di impegno e di un più preciso sforzo unitario. Nella Ratio fundamentalis (1970) si invitano i vescovi a favorire le vocazioni secondo un piano organico della pastorale d’insieme[49].

In Orientamenti e norme (CEI, 1972), nella sezione dedicata alla pastorale vocazionale, si afferma che “appare evidente che il problema delle vocazioni deve essere affrontato dalla Chiesa locale come momento dell’unica azione pastorale (…). Questa responsabilità di tutta la comunità cristiana si esprime con funzioni distinte, ma in una azione unitaria e concorde”. E poco più avanti si dice che “i centri diocesani, che rimangono l’espressione piena della preoccupazione ecclesiale per le vocazioni, ricevono un valido aiuto di studio, di stimolo e di coordinamento dal Centro Nazionale per le Vocazioni. Questo centro, collegato ad eventuali strutture intermedie, quali possono essere i centri regionali, offre una testimonianza di comunione ecclesiale nel settore delle vocazioni” (4609)[50].

L’espressione non è codificata, ma l’intenzione è dichiarata: si tratta di favorire, in rapporto alle diverse esigenze vocazionali presenti nella comunità cristiana, una azione di coordinamento, unitaria e concorde. Infine il tema della unitarietà viene toccato anche nel primo Piano vocazionale (1973), laddove si afferma che: “nella Chiesa è oggi chiaramente avvertita l’esigenza di un’azione pastorale unitaria e programmata, anche a motivo della grande varietà di membri e di carismi in essa esistenti”[51].

Pertanto, con il primo Piano per le vocazioni, idealmente si può ritenere raggiunta e consolidata la categoria della pastorale vocazionale unitaria non solo nei termini di un coordinamento che supplisca ad un certo disordine nell’azione a favore delle vocazioni, ma come categoria esplicitamente propulsiva a favore di tutte le vocazioni presenti in genere nella comunità cristiana[52]. Piuttosto l’aspetto della unitarietà non sembrerebbe ancora raccordato in profondità alla questione della speciale consacrazione.

 

 

III. GLI ANNI ‘80: IL “SECONDO” PIANO PER LE VOCAZIONI 

E LA PASTORALE VOCAZIONALE UNITARIA (1985)

 

Volendo introdurre quest’altra fase dell’azione pastorale a favore delle vocazioni nella Chiesa italiana, è utile fare riferimento ad una comunicazione di E. Masseroni al CNV del 1981 nella quale si dichiarava di voler dare una sorta di sistemazione alla pastorale vocazionale all’interno di una “assodata ecclesiologia”: questa è l’espressione usata.

Da una parte si trattava di mettere a fuoco l’orizzonte Chiesa così come storicamente andava emergendo sul versante del post-Concilio, dall’altra si evidenziavano alcuni elementi nuovi in vista di un ripensamento della pastorale vocazionale.

Un dato era chiaro a 15 anni ormai dalla celebrazione del Vaticano II: “l’impressione che siamo solo alla soglia di un futuro appena iniziato. Abbiamo l’impressione che questa Chiesa appartenga ancora troppo al futuro (…). Qual è il volto nuovo generato dal Concilio Vaticano II? (…). La Chiesa sacramento, la Chiesa comunione e la Chiesa missione costituiscono la ricchissima, stupenda struttura della Chiesa come ‘cuore’ di Dio che batte nella storia”. E queste tre caratteristiche diventano pertanto tre condizioni ineludibili di una pastorale vocazionale. Così dunque si concludeva l’intervento: “come fare pastorale vocazionale nella Chiesa locale?” Tre sono i criteri per una risposta: la sacramentalità come segno, come modalità, propria della vita religiosa, di partecipare alla natura sacramentale del popolo di Dio, della Chiesa locale, che chiede visibilità, significala, memoria e profezia; il criterio della comunionalità, in quanto la vocazionalità si esprime nella tensione verso la comunione cristocentrica della comunità ecclesiale, percependo la propria relatività a Cristo: ciò significherebbe il superamento di una prassi ‘autonomistica’ di ogni azione pastorale; infine il criterio della missionarietà, in quanto la vocazionalità della comunità ecclesiale si esprime nella tensione verso il mondo. “Operari sequitur esse: l’operatività, l’azione vocazionale che lo Spirito ci propone nell’oggi della storia è, dunque, ‘radicata’ in questa stupenda realtà di una Chiesa che stiamo costruendo insieme con la sua memoria e con la sua profezia”[53]

È possibile fare qualche considerazione, tenendo conto dell’intervento di Masseroni, confrontando la proposta pastorale della CEI nella sua globalità con le dinamiche proprie della pastorale vocazionale di questi trent’anni.

Si potrebbe in questo senso pensare anzitutto all’immagine della Chiesa intesa come sacramento, riferendoci subito a Evangelizzazione e sacramenti (CEI, 1973); a Comunione e comunità (CEI, 1981); e a Evangelizzazione e testimonianza della carità (CEI, 1990). In rapporto poi agli ultimi 15 anni di pastorale vocazionale della Chiesa italiana, sarebbe importante riuscire a verificare in che misura si è davvero passati dalla dinamica della comunione-comunità alla testimonianza della carità-missione. Qui si radica propriamente la questione seria della vocazionalità degli ultimi 15 anni della Chiesa italiana. Può essere utile ricordare alcuni eventi specifici che hanno caratterizzato questo periodo e che hanno certamente avuto risonanza nella pastorale vocazionale: la lettera di Giovanni Paolo II ai giovani per l’Anno Internazionale della Gioventù del 1985, sino all’incontro del Papa con i giovani d’Europa a Loreto nel 1995[54].

È innegabile constatare che il passaggio da una sorta di tendenziale esclusiva attenzione della pastorale vocazionale al sacerdozio ministeriale ad una più ampia animazione delle vocazioni è stato avviato e accolto nell’arco degli anni ‘70. Tuttavia proprio l’esigenza espressa dalle stesse Mutue relationes alla fine di quel decennio e l’esigenza di codificare la categoria delle vocazioni di speciale consacrazione attestava una sorta di stallo. L’esigenza, cioè, di riuscire a precisare degli orizzonti vocazionali specifici, pur rimanendo sempre sullo sfondo la convinzione – talvolta anche un poco retorica, se si considera la stessa prassi – che tutti comunque sono chiamati nella Chiesa.

Si tratta di prendere atto di una sottile dialettica che lo stesso linguaggio pastorale per un verso non può che registrare e per un altro cerca di giustificare anche con ampi rimandi di carattere teologico. Proprio in questo senso andrebbe compresa, in questa fase, l’espressione pastorale vocazionale unitaria, molto usata e “sfruttata” a partire soprattutto dagli anni ‘80. Perdura il tema della animazione vocazionale messa in atto concretamente dagli animatori vocazionali e si definisce ulteriormente anche la categoria delle vocazioni di speciale consacrazione, attraverso una sorta di “assunzione” in essa delle vocazioni proprie degli istituti secolari, intese appunto come vocazioni alla vita consacrata. In questo modo si dovranno intendere come vocazioni di speciale consacrazione: e quelle alla vita religiosa e quelle alla consacrazione secolare. Fondamentalmente i documenti magisteriali ai quali ci si riferisce per descrivere questa fase della pastorale vocazionale sono: il Documento conclusivo del 1981 e Vocazioni nella Chiesa italiana del 1985.

 

1) L’esigenza comunionale: “Pastorale d’insieme” e “Pastorale vocazionale unitaria” (1982-1985)

Il Documento conclusivo espresso al termine del Congresso internazionale dei vescovi sulla cura pastorale delle vocazioni del 1982[55] per sé non aveva mai usato in senso specifico l’espressione pastorale vocazionale unitaria. La coglieva piuttosto nell’orizzonte più ampio della pastorale d’insieme, dedicando ad essa un intero paragrafo dal titolo Pastorale delle vocazioni nella pastorale d’insieme (n. 18): “La comunità cristiana, vivente in una Chiesa particolare, è formata da singole persone e comunità minori, ognuna delle quali ha responsabilità nell’attuare il Piano di azione per le vocazioni, nel quadro della pastorale d’insieme. La pastorale d’insieme ha il compito di creare nel Popolo di Dio un clima in cui le vocazioni possano crescere”. In questo senso “la pastorale delle vocazioni: si inserisce in modo organico nella pastorale d’insieme, non è quindi attività separata; si occupa in forma specifica delle vocazioni consacrate: non è quindi attività generica; si interessa di tutte le vocazioni consacrate: non è quindi attività unilaterale; si dedica al ‘problema fondamentale della Chiesa’: non è quindi attività marginale”[56].

Il dato interessante che questo documento sembra voler segnalare è l’affermazione che prima di parlare di pastorale vocazionale unitaria, intendendola come sforzo di coordinamento e di sostegno alle vocazioni in generale, è necessario fare riferimento ad una sorta di unitarietà più profonda che interpreterebbe la stessa comunità cristiana nella prospettiva della pastorale d’insieme. Sulla base della pastorale d’insieme della comunità cristiana si giustificherebbe poi il valore anche di una pastorale vocazionale unitaria.

Al Documento conclusivo seguirà qualche anno dopo, a cura della CEI, il Piano pastorale per le vocazioni (1985)[57]. Si tratta di un passo decisivo per comprendere l’azione pastorale in ordine alle vocazioni da parte della Chiesa italiana negli anni ‘80, anche se non va dimenticata una comprensibile dipendenza dal Documento conclusivo (1982), sul fronte soprattutto dell’impianto teologico ed ecclesiologico.

Da un punto di vista propriamente pastorale, invece, il Piano pastorale della CEI farà delle scelte specifiche e caratterizzanti. Si pensi ancora una volta, ad esempio, alla forte insistenza sulla tematica delle vocazioni di speciale consacrazione. Ciò che va sottolineato è che a questo punto l’espressione pastorale vocazionale unitaria soggiace come ad una sorta di duplice tensione. Nell’uso ordinario che viene fatto di questa espressione si vengono come ad evidenziare due poli: quello vocazionale, che coglie l’unitarietà in rapporto primariamente alle vocazioni di specialconsacrazione, e quello ecclesiologico-pastorale, che ravvisa anzitutto l’unitarietà come esigenza caratterizzante l’essere della Chiesa locale stessa[58].

Si tratta di una polarizzazione interessante e complessa ad un tempo. Per un verso la speciale consacrazione sembrerebbe volersi costituire come una sorta di unitarietà singolare e ben individualizzata, distinta e caratterizzata rispetto alle molte vocazioni della Chiesa locale; per un altro poi si tratta di riuscire ad inserire in termini pastoralmente plausibili questa specifica attenzione vocazionale nella complessa e articolata realtà della Chiesa locale, che pure a sua volta desidera e mira ad una sorta di unità d’intenti, ad una pastorale d’insieme, nel contesto della frammentazione culturale e sociale tipica di quest’ultima fase della Chiesa italiana.

La posta in gioco per la pastorale vocazionale di questi anni non è indifferente, anche se un ruolo determinante in questo senso era già stato espresso nel documento Mutuae relationes circa il rapporto tra vocazioni di speciale consacrazione e Chiesa locale.

Tuttavia a questo punto la polarizzazione si fa più precisa e marcata. Se è vero, infatti, che tutti nella Chiesa sono chiamati, tuttavia le vocazioni di speciale consacrazione chiedono una attenzione urgente e non rinviabile. Ormai, se si vuole parlare di comunità cristiana, il riferimento primo e immediato non può che essere la Chiesa locale e la parrocchia che ne è la sua concretizzazione territoriale esplicita. Qui propriamente si esprime, si realizza ed è possibile verificare la validità di una autentica pastorale d’insieme.

 

2) Unitarietà complessa e non scontata delle vocazioni consacrate

Il fronte di riferimento è, da un lato, l’impulso all’unitarietà espresso dal Piano Pastorale CEI dell’85 e, dall’altro, l’esigenza unitaria in rapporto alle vocazioni alla vita consacrata. Il Piano per le vocazioni dell’85 può essere inteso anzitutto come un documento seriamente preoccupato di evidenziare l’unitarietà tra e per, cioè a favore delle vocazioni consacrate o di speciale consacrazione.

Già nell’Introduzione infatti si afferma: “la pastorale vocazionale unitaria scaturisce dalla vita di comunione della Chiesa e rivela il suo volto vocazionale: costituita nel mondo come comunità di chiamati è, a sua volta, strumento della chiamata di Dio. Tale azione unitaria costituisce altresì il frutto di uno sforzo armonicamente coordinato di tutte le componenti della comunità ecclesiale impegnata a favorire, nella diversità delle responsabilità, tutte le vocazioni consacrate. S’impone dunque un comune impegno perché nelle Chiese particolari la pastorale vocazionale coinvolga e promuova tutte le responsabilità in un servizio efficace alla Chiesa” (2439). È interessante cercare di comprendere cosa sottintende l’uso del termine tutte, “tutte le vocazioni consacrate”.

È importante, in rapporto a questo documento, sottolineare una sorta di voluta identificazione tra pastorale vocazionale unitaria – anche se non in senso esclusivo – e tematica delle speciali vocazioni o vocazioni di speciale consacrazione (2246-2247). Del resto si dice anche che, “consapevole della fondamentale importanza che la promozione delle vocazioni consacrate riveste anche nelle prospettive di rinnovamento pastorale, l’episcopato italiano ha invitato a più riprese organismi e persone responsabili di questo settore a promuovere con urgenza una pastorale specifica per le medesime” (2464).

Che questa poi sia la prospettiva alla luce della quale interpretare il senso immediato dell’unitarietà lo si evince dal n. 51 (I centri unitari per l’animazione vocazionale) dove si afferma: “anche la pastorale delle vocazioni ha bisogno di alcuni organismi e strutture. I centri per l’animazione della pastorale vocazionale devono essere ‘unitari’ a tutti i livelli (diocesani, regionali, nazionale), come precisano i documenti ecclesiali, e devono essere a servizio della pastorale unitaria. In essi devono essere assicurati la presenza e l’apporto di tutte le categorie vocazionali: sacerdoti diocesani, religiosi, religiose, missionari, consacrati secolari, laici. Questi organismi devono favorire la proposta chiara, efficace ed aperta a tutte le vocazioni di speciale consacrazione, evitando di ridurre la pastorale unitaria ad essere ‘unica’, cioè proposta ad es. solo della vocazione sacerdotale, o ‘generica’, proponendo solo la vocazione battesimale” (2506).

La speciale consacrazione è in fondo una sorta di categoria sintetica, e in questo senso dunque unitaria, ma ad un tempo pure “equidistante” dal pericolo della eccessiva polarizzazione vocazionale rappresentata dal sacerdozio ministeriale o dal genericismo vocazionale del solo riferimento battesimale.

Tuttavia a questo punto, in riferimento proprio alle vocazioni di speciale consacrazione, è bene ricordare una sorta di ulteriore processo di chiarificazione. Si tratta del passaggio, nell’uso pastorale, dall’espressione “vocazioni religiose, in riferimento quindi alle vocazioni proprie e in genere degli istituti religiosi maschili e femminili, alla codificazione dell’espressione, certamente più ampia e comprensiva, di “vocazioni consacrate”. con l’esplicita intenzione di includere in questo modo anche le vocazioni proprie degli istituti secolari.

Per sé il documento sulle Mutuae relationes (1978) si serviva semplicemente dell’espressione vita religiosa, non intendendo affatto includere gli istituti secolari. È stato piuttosto il nuovo Codice di diritto canonico, edito nel 1983, ad “esigere” la codificazione di una categoria vocazionale nuova, quella propriamente di vita consacrata, intesa come più comprensiva e comunque non escludente.

Stando al diritto canonico, infatti, la Vita consacrata può realizzarsi in due modi profondamente differenti: uno caratterizzato dal distacco dal mondo, rappresentato propriamente dai religiosi; l’altro caratterizzato invece dal rimanere nel mondo, rappresentato dunque dai consacrati secolari. Certo, consacrati ambedue, ma nettamente differenziati soprattutto nell’indole[59].

Non è competenza di questo intervento entrare nel merito di questo problema di carattere propriamente teologico-ecclesiologico. La questione in un certo senso è ancora aperta, soprattutto sul fronte di una più corretta collocazione degli istituti secolari all’interno della categoria della cosiddetta speciale consacrazione, anche se è poi la stessa speciale consacrazione che potrebbe essere ripensata come categoria descrittiva della vita religiosa in quanto tale. Rimane piuttosto da verificare quali conseguenze questo specifico passaggio può aver comportato sul versante della pastorale vocazionale unitaria.

Di fatto proprio questa formulazione segnala concretamente l’avvio di un ulteriore tentativo di unitarietà in rapporto alle vocazioni di speciale consacrazione. Tuttavia l’acquisizione della categoria nell’uso ordinario non può essere ritenuta assodata. Lo stesso Piano pastorale (1985) continuerà a distinguere tra istituti religiosi e istituti secolari[60]. Ma anche il documento Sviluppi della pastorale… già ricordato, del 1992, in una nota chiarificatrice dirà: “Quando questo dossier parla di vocazioni ai ministeri ordinati e ad altre forme di vita consacrata, oppure di vocazioni consacrate, di vocazioni di speciale consacrazione, o semplicemente di vocazioni, se il contesto lo consente, intende adeguarsi a quanto prescritto nel ‘Codice di diritto canonico’ e alla Nota redazionale del ‘Documento conclusivo’ (1982). Vuole quindi comprendere le vocazioni: ai ministeri ordinati; alla vita religiosa in tutte le sue forme; alle società di vita apostolica, nella specifica configurazione delineata dal Codice di diritto canonico (c. 731); agli istituti secolari nella varietà delle loro funzioni; alla vita missionaria, nel senso preciso di missione ad gentes. Quando si parla semplicemente di ‘vita religiosa’, si intende fare riferimento anche alle ‘società di vita apostolica’, tuttavia nel rispetto della natura specifica di ogni vocazione”[61].

 

3) La pastorale vocazionale: “prospettiva unificante di tutta la pastorale nativamente vocazionale”

C’è tuttavia anche un altro aspetto dell’unitarietà che va tenuto in considerazione e che, soprattutto negli ultimi anni della fase che si sta considerando (1980-1995), sembra conoscere un particolare sviluppo. Già era esplicita l’esigenza di “vocazionalizzare tutta la pastorale”[62]. Per meglio comprendere poi tale prospettiva – la coniugazione tra unitarietà e Chiesa locale sotto il profilo specifico della attenzione alle vocazioni – è comunque fondamentale tenere presente la specifica caratterizzazione trinitario-ecclesiologica del Piano delle vocazioni (1985).

Nella prima parte del documento si viene a sottolineare l’ecclesiologia di fondo, notando che “nel mistero della Chiesa è presente e operante lo stesso mistero di Dio uno e trino. Dal cuore della Chiesa, pertanto, proviene e si rivela un dinamismo vocazionale che la rende viva immagine della Santissima Trinità (…). La vocazionalità della Chiesa affonda così le sue radici nel mistero trinitario che essa ha in sé, e soltanto da questo ogni vocazione prende origine e significato nella Chiesa (…). Se la Chiesa, sia universale che particolare, è costitutivamente e sempre in stato di vocazione e di missione, ciò vuol dire che tutta la Chiesa è chiamata e inviata nel mondo per essere strumento della redenzione, e quindi tutti nella Chiesa sono chiamati e inviati (…). Ma il Signore Gesù ha voluto, nel fondare la sua Chiesa, dotarla di speciali ministeri a servizio della comunità e del suo regno. Così nella Chiesa, mentre alcuni ministeri sono necessari, per la volontà di Cristo, all’essere stesso della Chiesa, altri invece sono complementari al suo benessere”[63] Non si dimentichi questa distinzione tra essere e benessere della Chiesa.

È invece nella terza parte (Pastorale delle vocazioni) che viene esplicitamente introdotta la tematica della Chiesa particolare che si concretizza in quella della comunità parrocchiale con un esplicito aggancio alla questione della unitarietà vocazionale: “la vocazione e la missione della Chiesa particolare si esprimono soprattutto nella comunità parrocchiale. Essa è luogo privilegiato di annuncio vocazionale e comunità mediatrice di chiamate attraverso ciò che ha di più originale e caratterizzante: la proclamazione della salvezza che comunica la vita, la testimonianza della carità e il servizio ministeriale. L’annuncio vocazionale deve dunque innervare tutte le espressioni della sua vita. Nella pastorale ordinaria di una comunità parrocchiale, la dimensione vocazionale non è dunque un ‘qualcosa in più da fare’ ma è l’anima stessa di tutto il servizio di evangelizzazione che essa esprime” (2467)[64].

Da una parte dunque sta l’esigenza di fondare addirittura ecclesiologicamente una sorta di distinzione di carattere vocazionale tra l’essere e il benessere della vita della Chiesa, mentre dall’altra viene ribadita la necessità che l’annuncio vocazionale riesca ad innervare tutte le espressioni della pastorale ordinaria della comunità cristiana.

All’interno di tale prospettiva, infine, vanno comprese le trattazioni circa contenuti e mezzi propri della pastorale delle vocazioni (preghiera incessante, catechesi, liturgia e carità, 2468-2480) e i responsabili di tale azione pastorale (vescovi, presbiteri, diaconi permanenti, religiosi e religiose, istituti secolari, missionari, laici, famiglie, gruppi, movimenti, associazioni, comunità ecclesiali di base, scuole, 2481-2494). Resta che per i responsabili di alcuni settori si dovranno tenere presenti delle differenziazioni (religiosi e religiose, istituti secolari, movimenti, ecc.), ma il richiamo continuo è comunque per tutti a lavorare all’orizzonte della Chiesa locale e della comunità parrocchiale[65].

 

4) Complementarietà e reciprocità tra pastorale vocazionale e pastorale giovanile

Sicuramente articolato e originale nell’impostazione risulta essere, nel Piano pastorale del 1985, quello che si potrebbe ritenere il raccordo privilegiato tra pastorale vocazionale e pastorale giovanile. Il dato che qui chiede d’essere evidenziato è che non si allude più genericamente all’importanza vocazionale della gioventù (Piano vocazionale del 1973)[66]. Ormai, a fronte dell’esigenza di una articolata pastorale vocazionale, sta anche una considerazione del mondo giovanile nell’ambito della Chiesa italiana, che ha già raggiunto o sta cercando di raggiungere una specifica organizzazione nell’ambito della comunità cristiana. Anzi, interlocutore privilegiato della pastorale vocazionale è propriamente la pastorale giovanile. È così avviato in termini definiti il principio che la pastorale giovanile è tale soltanto nella misura in cui è esplicitamente vocazionale.

Per sé anche il Documento conclusivo (1981-2) aveva dedicato l’intera terza parte alla cura pastorale della gioventù e alle vocazioni di adulti (nn. 42-47), e la stessa espressione pastorale giovanile non è sconosciuta, al punto di affermare che “pastorale giovanile e pastorale vocazionale sono complementari. La pastorale specifica delle vocazioni trova nella pastorale giovanile il suo spazio vitale. La pastorale giovanile diventa complementare ed efficace quando si apre alla dimensione vocazionale” (n. 42). E si descrive poi in quali ambiti tutto questo si può realizzare: la comunità cristiana, le associazioni giovanili, la scuola (nn. 43-45). Tuttavia il Piano pastorale (1985) sembra esprimere nei confronti della pastorale giovanile una attenzione più precisa e articolata.

C’è ormai una questione giovanile da mettere a tema. È subito evidente la preoccupazione di capire la situazione di crisi e i giovani (2448-2449): “se alcune diocesi hanno impegnato persone a tempo pieno nella pastorale giovanile, molte altre hanno perso i contatti soprattutto a livello parrocchiale. Una pastorale giovanile rinnovata, più aderente alle domande dei giovani e condotta in dimensione vocazionale, appare necessaria per dare nuovo impulso anche alle vocazioni consacrate” (2449). Addirittura si parla di alcune nostre inadempienze a questo riguardo (2460), anche se “lo slancio vigoroso per una proposta pastorale soprattutto in mezzo ai giovani, non può non ignorare alcuni promettenti segni dei tempi che già accennano a disegnare la storia che stiamo vivendo” (2461).

Dunque cosa è possibile fare? Alla luce di quali principi pastorali è possibile guardare ad un programma di rinnovamento capace di offrire risposte autentiche ai giovani? Guardando ai grandi piani pastorali della CEI degli anni ‘70 e ‘80: Evangelizzazione e sacramenti, Rinnovamento della catechesi, Comunione e comunità (2462-2463). Fondamentale in questo senso è l’affermazione che “la pastorale vocazionale non è un ambito della pastorale della comunità cristiana bensì la prospettiva unificante di tutta la pastorale nativamente vocazionale. È urgente allora creare comunione e contesti idonei specialmente nel settore giovanile. Là dove la pastorale giovanile è ancora frammentaria è importante che la proposta vocazionale crei con gradualità e pazienza l’esigenza di un cammino che prevede contenuti articolati e continuativi. Giova pertanto non rimanere nella logica di una pastorale frammentaria o delle iniziative. O la pastorale giovanile, crescendo, genera la proposta vocazionale specifica o la pastorale vocazionale pone l’esigenza di una pastorale giovanile come cammino e come contesto idoneo (2464).

Si tratta di una serie di affermazioni che a loro modo contribuiranno alla costituzione, nella Chiesa italiana all’inizio degli anni ‘90, del Servizio di pastorale giovanile, quale preciso interlocutore, anche per gli organismi della pastorale vocazionale, nei confronti di un’esplicita pastorale vocazionale unitaria[67].

Stando alle affermazioni di questo documento pastorale si potrebbe addirittura ritenere che, in un certo senso, è l’esigenza che scaturisce dalla domanda propria della pastorale vocazionale – di avere a che fare con giovani obbiettivamente in grado di rispondere vocazionalmente – che urge nel richiedere che la Chiesa italiana stessa istituisca la presenza di una seria e organica pastorale giovanile. Certamente anche altre dinamiche pastorali entrano in gioco in rapporto al costituirsi di questa specifica considerazione pastorale del mondo giovanile.

È importante riconoscere, tuttavia, che va addebitata agli organismi della pastorale vocazionale una forte insistenza e urgenza nei confronti della considerazione pastorale della questione giovanile, con il conseguente avvio del Servizio di pastorale giovanile da parte della stessa CEI.

Un altro aspetto, sempre più evidente ed esplicito, e che risulta dal Piano pastorale dell’85, è pure l’articolazione della pastorale vocazionale in rapporto alle diverse età e metodi particolari (2494-2499), oltre alla assunzione, nell’ambito della pastorale vocazionale, della categoria pedagogica del cammino vocazionale, come itinerario vocazionale. “Un dato è ormai patrimonio acquisito nella pastorale delle vocazioni: una scelta vocazionale non matura soltanto attraverso esperienze episodiche di fede, ma attraverso un paziente cammino spirituale. L’itinerario di una vocazione e la sua graduale maturazione passano attraverso questi momenti: l’annuncio, la proposta, l’accompagnamento vocazionale” (2500-2503).

Infine, propriamente in questo contesto, andrebbe pure compresa la precisa e intensa attenzione della pastorale vocazionale al tema della direzione spirituale[68], tematica sulla quale si avrà modo di ritornare più avanti.

 

 

 

IV. GLI ANNI ‘90: TRA PRASSI VOCAZIONALE ED ESIGENZA DI UNA RINNOVATA

RIFLESSIONE TEOLOGICO-PASTORALE SULLA QUESTIONE VOCAZIONALE

 

Volendo dare uno sguardo complessivo alla pastorale vocazionale svolta tra il finire degli anni ‘80 e la prima parte degli anni ‘90 dalla Chiesa italiana (1985-1995), è opportuno dare uno sguardo veloce e descrittivo dell’intenso servizio di studio, animazione e coordinamento svolto in senso direttivo dall’organismo vocazionale ufficiale della CEI, il Centro Nazionale Vocazioni.

Già si è avuto modo di evidenziare che la pastorale vocazionale degli ultimi trent’anni nella Chiesa italiana nasce contestualmente all’idea (1966-67) di un Centro unitario per le vocazioni e alla costituzione concreta di un Centro Nazionale Vocazioni (1973-1975). Tuttavia sarebbe anche interessante riuscire a sottolineare e documentare il ruolo decisamente propulsivo di tale organismo. Addirittura si potrebbe anche dire che tale organismo vive momenti diversi: caratterizzato da una sorta di esuberanza partecipativa e comunque volutamente di base negli anni ‘70, e da un ruolo più istituzionale e centralizzato – pur rimanendo fortemente preoccupato di una concreta capillarizzazione della pastorale vocazionale – a partire dagli anni ‘80.

 

1) Il prezioso servizio di animazione del Centro Nazionale Vocazioni (1985-1995)

Nel Piano pastorale (1985) si afferma che “in Italia il Centro Nazionale Vocazioni (CNV) è costituito d’intesa tra la CEI e la CISM, l’USMI, la CIS, la CIMI. È specifico strumento di servizio per l’animazione pastorale delle vocazioni di speciale consacrazione” (n. 52). Se dunque l’animazione vocazionale poteva essere intesa come un dato fondamentale, acquisito nella coscienza della Chiesa italiana degli anni ‘80, forse proprio l’aspetto del servizio chiedeva d’essere meglio esplicitato e chiarito. Si trattava cioè di intuire in cosa doveva propriamente consistere il Centro Nazionale Vocazioni (e di conseguenza anche gli altri centri vocazionali: CRV e CDV), quale specifico strumento di servizio[69].

In questo senso meritano d’essere segnalati i Convegni annuali[70], rivolti a tutti gli operatori e animatori vocazionali. I temi sono stati inizialmente decisi, in una prima fase, mettendo in rapporto principalmente due criteri: il Piano pastorale da una parte e la lettura dei segni dei tempi dall’altra[71].

A partire poi dal 1990 è stata fatta la scelta di coinvolgere più direttamente nell’organizzazione dei convegni alcuni uffici CEI (Famiglia, Catechesi, Liturgia) al fine di riuscire ad avviare una collaborazione sul fronte degli uffici direttivi della pastorale, sensibilizzando al tema delle vocazioni di speciale consacrazione proprio coloro che intendono pensare e progettare globalmente l’azione pastorale della Chiesa italiana.

Nell’ultima fase, poi, il CNV ha sentito l’esigenza di ritornare alle radici stesse della pastorale vocazionale, affrontando la tematica della preghiera per le vocazioni, del raccordo tra liturgia e vocazioni e dell’ascesi cristiana e vocazioni[72].

Un secondo capitolo descrittivo del servizio specifico del CNV riguarda invece le iniziative di studio e animazione condotte dal CNV. Ci si può in questo senso riferire a due seminari annuali[73], mentre un terzo capitolo è certamente rappresentato dalla rivista Vocazioni[74], oltre agli incontri per i direttori dei CDV, di carattere biennale[75], e allo sforzo del CNV di rendersi presente presso gli istituti religiosi, secolari e missionari per aiutarli a impostare una corretta animazione vocazionale.

Una particolare attenzione, infine, è sempre stata riservata, dal CNV alla animazione della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, diffondendo il messaggio del Papa per questa occasione e ideando un cammino proprio con l’elaborazione di una tematica vocazionale che tenesse conto dei piani pastorali per la Chiesa italiana elaborati dalla CEI[76]. Resta che uno dei segreti della riuscita del lavoro del CNV, anche attuale, va riconosciuto nel metodo di lavoro, dove una piccola équipe, rappresentata dall’Ufficio del CNV e coadiuvata dal Consiglio, ha dimostrato di avere un ritmo di riflessione e di lavoro sicuramente intenso e responsabilizzante[77].

In stretto rapporto con il lavoro del CNV vanno poi visti i Centri regionali e i Centri diocesani vocazioni[78]. Il dato che conclusivamente andrebbe rilevato a riguardo del servizio del CNV è che in circa una quindicina d’anni è riuscito a impiantare una rete di organismi regionali e soprattutto diocesani, collegati ai vescovi e abbastanza inseriti nella pastorale locale, usufruendo di una rete di collaboratori sempre più qualificati. 

A dieci anni dal Piano Pastorale del 1985, Italo Castellani, attuale direttore del CNV, ha cercato di tracciare alcune linee sintetiche del lavoro svolto dal CNV[79], affermando anzitutto che la pastorale vocazionale unitaria non è più solo un’idea o una prospettiva, ma piuttosto un atto e un fatto di Chiesa. Una sorta di punto senza ritorno. In questo modo la pastorale vocazionale viene ormai ad essere intesa, in genere, come una scelta educativa, profondamente radicata nella comunità cristiana stessa.

Attraverso questo servizio poi si è sempre più riscoperto il primato della spiritualità, della preghiera, quale “mezzo” necessario e insostituibile della pastorale vocazionale. In questo senso dunque si comprende cosa significhi che la proposta vocazionale si traduca nella proposta di itinerari educativi, chiarendosi ormai la consapevolezza che l’educatore alla fede, nella misura in cui è veramente tale, altro non è che un animatore vocazionale. Si evidenzia sempre più nettamente il passaggio dalla stagione delle iniziative o esperienze vocazionali alla stagione della proposta di veri e propri itinerari di fede vocazionali nella comunità cristiana. Propriamente in questo senso va compresa la pastorale vocazionale ribadita fortemente dal CNV anche negli anni ‘90.

 

2) Gli elementi per una rinnovata cultura delle vocazioni

Il titolo di questa sezione è esigente, nella misura in cui parla di rinnovata cultura delle vocazioni, e in questo senso va ben compreso subito, almeno nel senso che “il discorso a proposito di una nuova cultura della vocazione non può certo essere inteso quasi fosse il tentativo di legittimare la vocazione stessa attraverso l’esibizione delle sue ragioni di conformità ai parametri di valore della nuova cultura in genere; deve invece, fin dall’inizio, prevedere d’essere discorso critico, che di fatto sarà inteso, per molti aspetti, come una pietra d’inciampo dalla cultura pubblica del nostro tempo”[80].

Quali dunque le prospettive per la pastorale delle vocazioni nella Chiesa italiana degli anni ‘90? C’è una prima serie di elementi magisteriali che vanno registrati.

Nel 1992, a cura della Pontificia Opera per le vocazioni ecclesiastiche, viene edito il documento Sviluppi della pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari. Si tratta di un lavoro di sintesi delle diverse risposte date da parte delle singole Chiese particolari, a livello mondiale, alla consultazione internazionale circa lo sviluppo, della pastorale vocazionale, riferendosi naturalmente alla precedente consultazione fatta tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80[81]. Dello stesso anno è l’Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II Pastores dabo vobis che, come già è stato rilevato, dedica l’intero cap. IV alla pastorale vocazionale specificamente in ordine al ministero ordinato[82], mentre la Chiesa italiana dedica gli anni ‘90 ad una intensa riflessione pastorale sul tema della Evangelizzazione e testimonianza della carità (CEI, 1990)[83]. Insieme andrebbero pure rilevate alcune indicazioni legate ad una riflessione di carattere propriamente teologico a sostegno di una più corretta e rispondente pastorale vocazionale della Chiesa italiana oggi.

 

a) Nel clima della nuova evangelizzazione il “Vangelo della vocazione” è il “Vangelo della carità”.

La domanda che ci si potrebbe fare, arrivati a questo punto, è se i documenti sopra elencati e complessivamente presi, intendano esplicitamente aprire la strada ad una nuova fase della pastorale vocazionale. Si imporrebbe anche da questo punto di vista un lavoro di analisi più capillare dei documenti stessi, che del resto esprimono impegni e caratterizzazioni diverse. Altro è una Esortazione Apostolica post-sinodale, altro un documento ricognitivo della Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica e altro, infine, sono le indicazioni pastorali dei vescovi per la Chiesa italiana degli anni ‘90.

Ci si permette per ora di cogliere alcune suggestioni che andranno poi interpretate complessivamente. Il documento Sviluppi della pastorale… (1992) conclude così la sua analisi ricognitiva: “la fede e la missione della Chiesa particolare sono le risorse della pastorale delle vocazioni. Questa pastorale si iscrive nell’ambito di una pastorale di nuova evangelizzazione, sottolineata spesso dal sommo Pontefice, in una Chiesa non ripiegata su se stessa per l’angoscia della penuria, ma in una Chiesa vivente e piena di gioia, aperta al soffio sempre nuovo di Pentecoste e attenta ai bisogni degli uomini di oggi. Cresce anche la consapevolezza che la pastorale delle vocazioni sarà inefficace se non è sostenuta dalla preghiera e se non è accompagnata dalla testimonianza di vita. Lo slancio dato alla Chiesa dopo il Vaticano II avrebbe bisogno di un altro soffio e il Documento conclusivo si presenta utile per assicurare questo nuovo impulso alla pastorale delle vocazioni”[84]. Di quale soffio spirituale si tratta?

Sarebbe inoltre interessante, nella linea di una pastorale vocazionale ormai aperta alle istanze proprie della nuova evangelizzazione, approfondire altre espressioni presenti in questo senso anche all’inizio del cap. IV della Pastores dabo vobis (1992). Il Papa, citando Gv 1,35-42, conia addirittura una nuova espressione parlando del Vangelo della vocazione e della Chiesa come mysterium vocationis (n. 34). Pur essendo l’Esortazione intesa a descrivere specificamente la cura pastorale delle vocazioni al sacerdozio, è innegabile la presa d’atto del peso e dell’impegno vocazionale che tali espressioni potrebbero avviare.

Infine il Vangelo della vocazione nel Documento programmatico CEI per gli anni ‘90 diventa più esplicitamente l’occasione per descrivere il Vangelo della carità e proprio tale qualificazione evangelica “permette anche di sottolineare alcune dimensioni essenziali della vita cristiana che è indispensabile proporre nell’educazione dei giovani alla fede. Innanzitutto, la sua costitutiva risonanza vocazionale. La vocazione cristiana è fondamentalmente unica e coincide con la sequela di Cristo e la perfezione della carità. Siamo però chiamati a vivere questa medesima vocazione lungo diversi cammini: nelle vie del matrimonio e dell’impegno laicale, o in quelle del presbiterato, della vita religiosa, degli istituti secolari e di altre forme di speciale donazione. Ci rivolgiamo con fiducia ai giovani e alle giovani, perché sappiano puntare in alto e non abbiano timore a seguire con generosità la via della consacrazione totale a Dio, quando avvertono la sua chiamata, rispondendo all’amore con l’amore. Sottolineiamo al contempo che l’educazione alla gratuità e al servizio per il regno di Dio è il terreno comune su cui possono fiorire tutte le molteplici vocazioni ecclesiali”[85].

Sulla scorta delle esigenze proprie della cosiddetta nuova evangelizzazione e del Vangelo della vocazione, è innegabile constatare che ci si trova ormai davanti ad un testo significativo al fine di delineare le dinamiche proprie di una rinnovata attenzione nella Chiesa italiana nei confronti delle vocazioni. Lo sforzo di delineazione di una strategia pastorale starebbe propriamente nel riuscire a coniugare ad un tempo la tematica propria del Vangelo della carità, la diversità e l’originalità dei cammini vocazionali che da esso scaturiscono e la costitutiva risonanza vocazionale della pastorale giovanile[86].

 

b) “Perché tale cultura abbia un solido fondamento teologico”

C’è un ultimo passaggio che merita d’essere sottolineato in questo contesto: l’esigenza – propriamente magisteriale – di riuscire a promuovere una “cultura della vocazione”. Il riferimento è al singolare Messaggio pontificio per la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni del 1993. La portata di questo documento, tra gli altri messaggi per la GMPV, è notevole e singolare in quanto segna, tra i molti e diversi discorsi sul tema vocazionale, un momento che si potrebbe ritenere di svolta e che proprio per questo non può essere lasciato cadere[87].

Nel suo messaggio il Papa anzitutto ritiene importante sottolineare l’urgenza di una cultura vocazionale, che permetta all’uomo moderno di ritrarre se stesso, riappropriandosi dei valori superiori dell’amore, dell’amicizia, della preghiera e della contemplazione. Se è vero che oggi è eccessivamente diffusa una cultura che induce ad accontentarsi di progetti modesti, allora la pastorale vocazionale deve riuscire ad aiutare i credenti a scoprire che la vita è un dono totalmente gratuito e che non esiste altro modo di vivere, degno dell’uomo, al di fuori della prospettiva del dono di sé. E interessante è pure l’invito finale contenuto nel messaggio: ai vescovi raccomandando l’evangelizzazione della famiglia e ai teologi perché trovino più solidi fondamenti teologici alla cultura vocazionale[88].

Prendendo spunto dunque da quest’ultimo invito del Papa potrebbe essere utile, a questo punto, sottolineare la chiara esigenza di un apporto teologico più preciso nei confronti della pastorale vocazionale, anche se già si è avuto modo sopra di fare degli accenni a qualche tentativo di riflessione teologica sulla pastorale vocazionale. Il passaggio che qui verrebbe ad evidenziarsi non è tanto una riflessione della teologia sulla pastorale vocazionale, quanto piuttosto una riflessione della teologia sulla vocazionalità in quanto tale. Qualcuno si è permesso di suggerire con discrezione qualche riflessione introduttiva al fine di “far uscire il tema della vocazione da quel regime di marginalità periferica entro il quale esso sembra fino ad oggi vivere nel gran campo della teologia”[89].

Si tratterebbe schematicamente di investire diversi campi. Anzitutto quello della teologia biblica: “Accade infatti che tale teologia si muova ancora secondo prospettive troppo ristrette, biblicistiche piuttosto che propriamente teologiche, miranti alla descrizione o rispettivamente alla devozione, piuttosto che all’intelligenza”. A questo dovrebbe seguire il passaggio intermedio della riflessione di carattere antropologico-fondamentale: “lo stesso tema della vocazione deve essere riconosciuto come tema filosofico, e non esclusivamente teologico. Un tale riconoscimento deve essere argomentato a procedere dalla considerazione fenomenologica e rispettivamente ente dalla sociologia dell’esperienza evolutiva”.

Infine, si proporrebbe “il compito più arduo, quello di ripensare la teoria generale dei rapporti tra vita immediata e forme della coscienza, rispettivamente tra coscienza e libertà. Si intravede in ogni caso come proprio il superamento di un’antropologia intellettualistica consentirà di restituire alle vocazioni particolari un rilievo assolutamente centrale in ordine allo stesso riconoscimento del significato della vocazione come principio della libertà da parte della coscienza di ogni cristiano, e addirittura di ogni uomo”[90].

 

 

CONCLUSIONI: PER UN NUOVO SLANCIO

DELLA PASTORALE VOCAZIONALE

 

Guardando alla pastorale vocazionale di questi ultimi decenni, e ormai a pochi anni dal Duemila, una percezione percorre tutte le analisi: esse sembrano preoccupate costantemente di affermare l’esigenza di un nuovo slancio della pastorale vocazionale[91]. Qualcuno addirittura ha tentato una preghiera di ringraziamento ed un esame di coscienza nei confronti del problema vocazionale[92].

Anzitutto una preghiera di rendimento di grazie. C’è da ringraziare per la varietà di vocazioni sbocciate in questo millennio; c’è da ringraziare il Signore per le figure gigantesche di santi fondatori e fondatrici che hanno arricchito non solo la vita religiosa, ma l’intera Chiesa e la società; poi il ringraziamento sale al cielo per le splendide figure di presbiteri che hanno onorato la Chiesa con la loro dedizione, con la sollecitudine pastorale; c’è insomma da ringraziare il Signore per aver chiamato centinaia di migliaia di donne e di uomini a impegnarsi con tutta la loro esistenza nel vastissimo campo della carità.

Ma non saremmo però fedeli al S. Padre se non accogliessimo lealmente e coraggiosamente anche l’invito all’esame di coscienza, forse doloroso, ma necessario… E dunque in questo senso dovremmo chiedere perdono per le vocazioni forzate, per le monacazioni imposte dalla società e accettate dalla vita religiosa; per le folgoranti carriere ecclesiastiche concesse non raramente e per secoli ai rampolli delle famiglie nobiliari, al di là di ogni vera vocazione e merito; e sarà bene poi chiedere perdono anche per le vocazioni “mandate avanti” nonostante forti dubbi sulla loro autenticità, per aprire i quadri e per aumentare il loro numero; inoltre per la miopia storica nei confronti di buona parte della vita religiosa femminile, non sempre preparata per affrontare con armi appropriate i nuovi tempi; e non può essere dimenticata la ricerca affannosa delle vocazioni in territori lontani, per coprire i vuoti dei nostri noviziati belli e funzionali, ma deserti; e infine: c’è da pregare perché il rigoroso esame di coscienza fatto agli altri tempi e alle altre situazioni, con facilità di analisi e a buon mercato per noi, non ci induca a perdere la passione per le vocazioni.

 

 

 

 

 

Note

[1] È lo stesso GIOVANNI PAOLO II che ritiene è il fatto vocazionale il problema fondamentale della Chiesa. “L’augusto Pontefice ha indicato più volte il fatto vocazionale come ‘il problema fondamentale della Chiesa’ e quindi come problema fondamentale di ogni Chiesa particolare, di ogni comunità cristiana, di ogni famiglia religiosa” (PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE, Sviluppi della pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari, Paoline, 1992, n. 2, p. 5).

[2] “La pastorale vocazionale sembra dettata oggi più dalle urgenze immediate e dalla ricerca di una risposta all’attuale crisi delle vocazioni che da un adeguato e convincente orizzonte teologico di riferimento. È giunto forse il momento di tentare un bilancio di questa situazione, in ordine ad una rinnovata formulazione della teologia della vocazione che consenta di superare la situazione di emergenza e verifichi le prospettive teologiche peculiari della cura pastorale delle vocazioni. Sarebbe opportuno – e forse prima o poi sarà doveroso – elaborare uno studio diacronico e sincronico dell’immenso materiale accumulato in questo campo dal post-Concilio ad oggi” (C. ROCCHETTA, Verso una rinnovata teologia della vocazione. Bilancio e prospettive, in Rivista teologica Fiorentina, 1995, 6/1, p. 79).

In termini più esortativi si può fare riferimento anche al n. 37 del già citato documento Sviluppi… del 1992, dove si afferma: “Generalmente è ritenuto insufficiente il livello teologico dei sacerdoti, dei religiosi, delle religiose e degli altri responsabili delle vocazioni, nominati per questo compito dai vescovi o dai propri superiori. Ciò significa che la pastorale delle vocazioni più che su un fondamento teologico ha, nel migliore dei casi, una radice pedagogica, per cui questa pastorale si riduce spesso ad alcune attività programmate con buon interesse, ma anche con molta improvvisazione” (Cit., p. 22).

[3] Può essere significativo rilevare ad esempio come nella Enciclopedia di pastorale, a cura di B. SEVESO e L. PACOMIO (4 volumi, Piemme, 1992), la sola espressione pastorale vocazionale sia completamente assente. Senza entrare nel merito della questione, il dato va quantomeno registrato. Anche solo dal punto di vista quantitativo-ricognitivo l’intenso lavoro vocazionale di questi anni non può essere ignorato troppo vistosamente. Qualcosa di simile andrebbe poi rilevato anche circa il Dizionario di pastorale giovanile (Elle Di Ci, 1989), a cura dell’Istituto di Teologia Pastorale dell’Università Pontificia Salesiana. S. DE PIERI alla voce vocazione si limita a descrivere più una pedagogia di accompagnamento che una pastorale vocazionale vera e propria (pp. 1132-1144). L’espressione pastorale vocazionale è invece presente in altri dizionari non direttamente di carattere pastorale. Cfr. Nuovo Dizionario di Teologia Morale, a cura di F. COMPAGNONI, G. PIANA e S. PRIVITERA (S. Paolo, Roma 1990), la voce vocazione e vocazioni di E. MASSERONI (pp. 1498-1511).

[4] P. GRIEGER, Pastorale rinnovata delle vocazioni – Il senso di una evoluzione in AA.VV. Vocazione comune e vocazioni specifiche (aspetti biblici, teologici e psico-pedagogico-pastorali) a cura di A. FAVALE (Las, Roma, 1981, pp. 413-419). Si tenga presente che all’inizio della trattazione viene citato lo studio di J. RIGAL, La pastorale des vocation en France. Le sens d’une evolution, in Vocation (1976) n. 273, pp. 10 ss., definita “una buona sintesi sull’evoluzione della pastorale delle vocazioni e sulle conseguenze che ne derivano”. Il volume citato è stato rivisto e aggiornato nel 1993. In modo particolare si tenga presente la terza parte (Aspetti psico-pedagogico-pastorali): Psico-pedagogia della vocazione e delle vocazioni (S. DE PIERI); Catechesi delle vocazioni (Z. TRENTI); Pastorale delle vocazioni (P. GIANOLA), pp. 441-524.

[5] C. ROCCHETTA cit., pp. 79-99.

[6] J.E. VECCHI, La vocazione tra cultura e culture: crisi del modello occidentale in AA.VV., Cultura e vocazioni, Rogate, Roma 1994, pp. 31-61.

[7] Qui il riferimento sociologico pastorale più esplicito è a F. GARELLI, Religione e Chiesa in Italia, Il Mulino, 1991, pp. 260-267.

[8] È utile ricordare che c’è pure chi, interpretando esplicitamente la pastorale in termini di prassi e, quindi, in netta distinzione dalla teoria o da una dottrina, arriva quasi a contrapporre teologia e pastorale, concludendo così che la mediazione alla quale è chiamata la pastorale vocazionale è essenzialmente quella dell’inculturazione: “Fino a quando non saranno individuate le linee essenziali per ‘inculturare le vocazioni nella nostra cultura’, non potrà essere risolta la crisi delle vocazioni. L’inculturazione costituisce il primo e fondamentale impegno della pastorale vocazionale” (G. CARDAROPOLI, Dalla teologia alla pastorale delle vocazioni: conseguenze di un passaggio, in Rogate ergo 49 (1986), n. 11, p. 9).

[9] Qualche tentativo di carattere descrittivo in questo senso tuttavia è stato fatto. Ci si può utilmente riferire ad esempio all’avvio di una definizione della pastorale vocazionale nello studio di V. MAGNO, Per una definizione di “pastorale vocazionale”, in Pastorale delle vocazioni – storia, dottrina, esperienze e prospettive, Rogate, 1993, pp. 73-83.

[10] A. CENCINI, Le stagioni della pastorale vocazionale, in Vocazioni, dalla nostalgia alla profezia…, 1989, pp. 45-46. Si tenga inoltre presente che A. Cencini parla propriamente di fasi della animazione vocazionale, tenendo sullo sfondo l’analisi delle cinque prospettive vissute dalla vita consacrata nel periodo post-conciliare descritte da G. ARBUCKLE, Facing up to change, in The tablet (12.4.1986), pp. 14-22.

[11] L’autore non è preoccupato di distinguere tra animazione e pastorale vocazionale. Come si avrà modo di chiarire, una animazione vocazionale sembrerebbe fare da sfondo e da introduzione ad una conseguente codificazione vera e propria di una pastorale delle vocazioni. Resta il fatto che più facilmente i religiosi e le religiose si sono serviti del linguaggio proprio dell’animazione vocazionale; in genere il linguaggio delle Chiese locali, delle diocesi, più facilmente ha fatto riferimento ad una pastorale delle vocazioni.

[12] C. QUARANTA, La pastorale delle vocazioni nel nuovo intervento della Sede Apostolica: rilievi, scelte e prospettive, in Seminarium, 31 (1991), pp. 673-677.

[13] C. BONICELLI, Pastorale vocazionale di ieri e di oggi, in AA. VV., Educare alle scelte vocazionali, Borla, 1985, pp. 54-69. La domanda alla quale egli intendeva rispondere era questa: nel nostro contesto teologico e culturale, quali mediazioni pastorali sta facendo la Chiesa che è in Italia circa la vita come vocazione e circa le singole vocazioni? La risposta non è semplice, ma va comunque affermato che la Chiesa ha preso sul serio il fatto che siamo in una cultura del cambiamento e quindi non intende affatto ripetere la pastorale di ieri, cerca invece delle nuove proposte. In questo senso egli arriva a prospettare tre fasi d’analisi “storico-pastorali”: la pastorale vocazionale in un sistema di cristianità; la pastorale vocazionale in epoca di trapasso; e la pastorale vocazionale dal Concilio a oggi.

[14] V. MAGNO, Cit., pp. 25-60.

[15] Cit., pp. 59-60.

[16] Nella seconda parte dell’intervento si avrà modo di dare più spazio a questo dato, ma potrebbe essere interessante analizzare le obiettive attenzioni vocazionali dei documenti episcopali a partire dal Vaticano II, anche solo da un punto di vista di comunicazione linguistica.

[17] Per la verità il Concilio di Trento aveva già indirettamente affrontato il problema vocazionale allorché nei Decreta super reformatione si era intrattenuto sui requisiti dei candidati agli ordini sacri (Cfr. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Edidit Centro di Documentazione-Istituto per le Scienze Religiose – Bologna, Herder – Basilea, Barcellona, Friburgo, Roma, Vienna – 1962, p. 726s.); inoltre, la dibattutissima questione e le relative decisioni sull’obbligo di residenza dei vescovi ed anche dei parroci non era priva di legami con i problemi attinenti all’accettazione e alla formazione dei candidati al sacerdozio (Cfr. H. JEDIN, Il Concilio di Trento, trad. it, Brescia 1962, p. 367ss.).

[18] L’O.T. parla propriamente del “dovere di dare incremento (fovendarum vocationum officium) alle vocazioni sacerdotali (…). Tutti i sacerdoti dimostrino il loro zelo apostolico massimamente nel favorire le vocazioni (in fovendis vocationibus) (…). Questa fattiva partecipazione di tutto il popolo di Dio all’opera delle vocazioni (ad vocationes fovendas) corrisponde all’azione della provvidenza divina (…)”. In questo senso il Concilio raccomanda “i mezzi tradizionali di questa comune cooperazione (…)”. Inoltre stabilisce che le Opere delle vocazioni (Opera vocationum), già erette o da erigersi nelle singole diocesi, regioni o nazioni, a norma delle direttive pontificie, (debbano dirigere) in maniera metodica e armonica tutta l’azione pastorale per favorire le vocazioni (universam fovendarum vocationum pastoralem actionem), senza trascurare nessun utile aiuto offerto dalla moderna psicologia e sociologia”. Si tratta certo di un testo importante, molto ricco e significativo in ordine al primo costituirsi di una pastorale vocazionale secondo la prospettiva del Vaticano II (En. Vat. 1,773-777).

Si tenga inoltre presente che la Commissione preparatoria aveva elaborato uno schema a se stante dal titolo: De vocationibus ecclesiasticis fovendis. La Commissione centrale decise poi di inserirne gli elementi al n. 2 della O. T (Cfr. Schema “de vocationibus ecclesiasticis fovendis” , Typis Polyglottis Vaticanis, 1962).

[19] Accenni significativi circa una attenzione nei confronti delle vocazioni, primariamente – se non esclusivamente – sacerdotali, si ritrovano anche in Presbyterorum ordinis (En. Vat. 1, 1281), Perfectae caritatis (En. Vat. 1, 767-769), Christus Dominus (En. Vat. 1, 607) e Ad gentes divinitus (En. Vat. 1, 1153). Si potrebbe giustamente affermare che in generale comunque il Vaticano II ha illustrato la vocazione nel suo oggetto, come vocazione generale e come vocazioni particolari; nella sua natura, come dono di Dio, come appello alla coscienza individuale illuminata dalla fede, come chiamata della Chiesa attraverso i legittimi pastori; nei suoi fini: la gloria di Dio, la santificazione dei chiamati, la salvezza dell’umanità. Inoltre ha richiamato il dovere spettante alla comunità cristiana di promuovere le vocazioni; ha sottolineato le responsabilità particolari dei pastori e dei consacrati; ha indicato i mezzi tradizionali e nuovi della pastorale vocazionale.

[20] En. Vat. 3, 1830-1835. 

[21] En. CEI 1, 4594.

[22] En. CEI 2, 2862-2864.

[23] Parte seconda (Il cammino della vocazione sacerdotale – nascita, cura, maturazione) En. CEI 2, 3552-3573.

[24] Il passaggio più significativo in questo senso è là dove si afferma che “ciò che diciamo di ogni vocazione cristiana trova una sua specifica realizzazione nella vocazione sacerdotale…”. En. Vat. 13, 1327.

[25] Qualcosa di analogo lo si potrà constatare anche in rapporto alla pastorale delle vocazioni di speciale consacrazione, quando, per un verso, volendo proprio alludere non ad una prospettiva vocazionale soltanto ma a diverse modalità vocazionali, il linguaggio vorrebbe parlare di più vocazioni (di speciale consacrazione), ma nello stesso tempo il riferimento è solo ad alcune vocazioni (speciali, appunto), e dunque non a tutte le possibili espressioni vocazionali presenti nella Chiesa.

[26] Già nel Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi Ecclesia imago del 1973 si affermava che, essendosi fatta oggi più grave e urgente la situazione, “è dovere primario dei vescovi preoccuparsi affinché si provveda alla continuità e alla sufficienza numerica dei vari ministri della sacra gerarchia, nonché dei seguaci della vita religiosa nella Chiesa. Per compiere tale suo dovere il vescovo stimola l’intera diocesi e cura il coordinamento di tutti gli sforzi e di tutte le iniziative, così da promuovere le vocazioni sia sacerdotali e diaconali, sia religiose di entrambi i sessi, sia di laici consacrati di entrambi i sessi” (En. Vat. 4, 2264).

[27] Il non aver tenuto in debito conto anche questo aspetto può aver generato l’esigenza, presso alcuni vescovi e alcuni operatori pastorali appartenenti all’ambito specifico di un seminario diocesano, di una sorta di polarizzazione del tema, quando addirittura non si è trattato o non si tratta di estremizzazione della vocazione al sacerdozio ministeriale.

[28] “Nel corso delle intense giornate dell’assemblea molti problemi sono emersi (…). Tra questi ha avuto speciale attenzione quello delle vocazioni ecclesiastiche e religiose” (En CEI 1,757).

[29] En. CEI 1, 874.

[30] Il Consiglio di Presidenza CEI lo affida alla Commissione per il clero e i seminari (992-97). Tale Centro Nazionale si propone di “assolvere un servizio di pastorale secondo lo spirito e gli insegnamenti del Concilio Vaticano II e a norma del decreto Optatam totius” (993). Concretamente: animare attività di lavoro sul piano teologico ed ascetico, proporre norme e fornire sussidi e infine coordinare iniziative, esperienze e progetti già in atto (994). I vescovi italiani chiedono inoltre che “il Centro Nazionale Vocazioni faccia opera di coordinamento anche con gli analoghi organismi dei religiosi e delle religiose” (1004).

[31] En. Vat. 3, 1835.

[32] En. CEI 1, 2304.

[33] En. CEI 2, 293-372. “Il presente schema di piano nazionale, nella sua globalità, s’ispira soprattutto al Documento finale del II Congresso nazionale vocazioni unitario del 1973 sul tema La pastorale delle vocazioni nella Chiesa locale” (Cfr. Nota 2, En. CEI 2, p. 138).

[34] Si tenga presente che l’intera Seconda parte del documento CEI, La preparazione del sacerdozio ministeriale – Orientamenti e norme del 1972, è dedicata alla pastorale delle vocazioni (En. CEI 1,4585-4608).

[35] Può essere interessante notare che mentre il primo Piano pastorale per le vocazioni (1973) all’espressione pastorale vocazionale preferisce quella d’animazione vocazionale, Orientamenti e norme (1972) invece preferisce pastorale vocazionale. La nota di carattere prettamente linguistico potrebbe non avere una particolare rilevanza. Tuttavia resta vero che il termine animazione sembra alludere ad un orizzonte d’intervento molto ampio, mentre quello di pastorale sembrerebbe, almeno nel contesto specifico di Orientamenti e norme, mirato propriamente alla cura delle vocazioni al sacerdozio ministeriale.

[36] En. CEI 2, 293-294. Quanto agli aspetti dottrinali si fa presente che non sempre l’azione dell’animazione vocazionale si ispira alla dottrina del Vaticano II che presenta la Chiesa locale come Popolo di Dio, come comunità di salvezza (307). Inoltre la dottrina sulla diversità delle vocazioni è scarsamente recepita nelle comunità cristiane; la catechesi non dà sufficiente rilievo all’importanza e ai caratteri propri della vocazione sacerdotale, religiosa, missionaria, di consacrazione nel mondo e non presenta il matrimonio come vocazione cristiana, così che “ne consegue la difficoltà a comprendere il valore delle vocazioni specifiche” (309). Circa gli aspetti spirituali e pedagogici si parla di una certa inadempienza della parrocchia in ordine alle vocazioni, della crisi delle associazioni giovanili cattoliche, della famiglia, di una scuola fortemente secolarizzata, di una scarsità della preghiera per le vocazioni, di una “crisi di identità” delle persone consacrate e di una loro controtestimonianza vocazionale (311-315). Infine, in rapporto agli aspetti organizzativi si rimarca il fatto che in molte diocesi italiane risulta carente un attivo servizio di animazione vocazionale. In questo senso si insiste circa la costituzione dei “Centri unitari per le vocazioni, espressione di una pastorale unitaria sotto la guida del vescovo, superando una tradizione di impegno vocazionale settoriale” (316).

[37] En. CEI 2, 321.

[38] Per comprendere la genesi teologica di questo documento ci si può riferire a Y. CONIAR, Ministeri e comunione ecclesiale (del 1971, apparso in Italia nel 1973), al documento ecclesiale Ministeria quaedam (1972). Accenni a questo tema sono rinvenibili anche al n. 73 della Evangelii Nuntiandi (1975).

[39] En. CEI 2, 2765. La convinzione di fondo di questo documento è che “solo una Chiesa tutta ministeriale è capace di un serio e fruttuoso impegno di evangelizzazione e promozione umana e di attuazione di ‘tutte le possibilità nascoste, ma già presenti e operanti nella realtà del mondo’”. Dopo l’analisi dei diversi ministeri ordinati si arriva, nella seconda parte, a descrivere alcune questioni circa i ministeri non ordinati, facendo notare che il rapporto tra ministeri e religiosi esigerebbe alcune puntualizzazioni: la vita religiosa infatti, caratterizzata dalla professione dei consigli evangelici, è primariamente uno stato di vita, e non un’attività o un servizio o uno specifico ministero.

[40] C. ROCCHETTA, cit., pp. 85-87. Per una sintesi di carattere teologico sul raccordo tra teologia dei ministeri e vocazionalità cfr. A. ALTANA, La vocazione ai ministeri laicali e La vocazione al ministero ordinato, in AA.VV. Vocazione comune e vocazioni specifiche… cit., pp. 277-347.

[41] L’espressione vocazioni di speciale consacrazione diventerà diffusa nella coscienza della Chiesa italiana solo a partire dagli anni ‘80, con il cosiddetto Documento conclusivo (1981) e il nuovo Piano pastorale delle vocazioni (1985). Neppure sembrano trovare posto in senso pastorale in questi anni la considerazione propriamente pastorale delle vocazioni alla consacrazione laicale.

[42] Si tenga presente che l’espressione vocazioni di speciale consacrazione è praticamente assente dal primo Piano vocazionale della Chiesa italiana del 1973, salvo qualche fugace accenno, non determinante tuttavia in ordine alla strategia vocazionale dell’intero documento. Cfr. En. CEI 2, n. 305, p. 875.

[43] Il documento è riportato in Vocazioni, III, (1974), pp. 868-874. Nella Nota sul documento finale a cura della redazione che ha curato il documento stesso si era sentito addirittura l’esigenza di specificare di quali vocazioni si tratta: “L’espressione vocazione di speciale consacrazione può indicare, infatti: a) le vocazioni religiose (Perfectae caritatis, 5); b) la vocazione a professare i consigli evangelici negli istituti secolari (Cfr. Perfectae caritatis, 11); c) la vocazione sacerdotale (Cfr. Presbyterorum ordinis, n. 7 e n. 16)”.

[44] En. CEI 2, 3493.

[45] In una nota che ritorna sia nel Piano come nello Statuto del 1973 si dichiara che “il CNV è un organismo pastorale unitario, istituito d’intesa con l’Unione superiore maggiori italiane (USMI), la Conferenza italiana superiori maggiori (CISM), la Consulta nazionale apostolato dei laici (CNAL) …” En. CEI 2, 1910. Lo Statuto del Centro Nazionale Vocazioni verrà poi rinnovato da parte del Consiglio permanente CEI nel 1979. Il testo è riportato ai nn. 3491-3498 dell’En. CEI 2.

[46] En. Vat. 6, 586-717. L’intenzione del documento, soprattutto nella parte direttiva, è più promovente che definitoria, nel senso che intende suggerire gli orientamenti emergenti al termine di un primo ciclo di riflessioni – il primo decennio post-conciliare – in vista di riuscire ad avviare un secondo ciclo, in rapporto ad una materia che per chiarirsi ha bisogno anche di una certa sperimentazione.

[47] In questo senso poi un ruolo significativo viene affidato al vicario episcopale per le congregazioni dei religiosi e delle religiose (698).

[48] En. Vat. 3, 418. In una nota poi si fa presente che “le difficoltà sperimentate particolarmente da parte delle congregazioni religiose conducono talvolta a dei metodi inaccettabili e profondamente contrari sia allo spirito della Chiesa, sia al rispetto delle anime, sia all’autentico rispetto della volontà di Dio. Si potrebbe giustamente pensare che uno sforzo unitario, superando l’affanno dei responsabili dal punto di vista del reclutamento, metterebbe fine definitivamente a questo disordine”.

[49] En. Vat. 3, 1833. È necessario favorire “le vocazioni con animo generoso non solamente per la propria diocesi o nazione, ma anche per le altre diocesi o nazioni, tenendo presenti le necessità della Chiesa universale e assecondando l’azione divina, che chiama i singoli a diversi servizi, sia al sacerdozio secolare, sia all’attività missionaria, sia agli istituti religiosi. Per raggiungere più facilmente tale scopo è vivamente auspicabile che si dia vita in ogni diocesi a centri unici, che siano come l’espressione della cooperazione e dell’unità di ambedue i cleri: il diocesano e il religioso, a favore di tutte le vocazioni” (1835).

[50] En. CEI 1, 4594-4595.

[51] En. CEI 2. L’animazione vocazionale è qui intesa come il servizio che il vescovo, guida, propulsore e discernitore delle vocazioni, offre alla comunità locale, perché prenda coscienza della propria corresponsabilità per far maturare nell’animo dei cristiani il senso della vocazione generale e specifica (293-294). Poco più avanti si insiste circa la costituzione di “centri unitari per le vocazioni, espressione di una pastorale unitaria sotto la guida del vescovo, superando una tradizione di impegno vocazionale settoriale” (318), precisando che in tali centri unitari per l’animazione vocazionale devono essere assicurati la presenza e l’apporto di tutte le categorie vocazionali e la partecipazione dei rappresentanti dei diversi organismi pastorali al fine di favorire “la proposta chiara ed efficace di tutte le vocazioni presenti nella comunità cristiana” (360).

[52] Si tenga conto del fatto che il 2 gennaio 1978 la Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica invia ai vescovi una lettera circolare con la quale si chiede di predisporre i Piani pastorali diocesani per le vocazioni e in cui vengono dati suggerimenti per la redazione del Piano pastorale diocesano per le vocazioni e un indice degli argomenti.

[53] E. MASSERONI, L’Ecclesiologia del Vaticano II e la pastorale vocazionale unitaria, comunicazione al Consiglio del CNV (7 novembre 1981) in AVI (Agenzia Vocazionale Italiana) 6 (1981), pp. 7-14. Cfr. pure nella stessa linea I. CASTELLANI, Nella Chiesa particolare a servizio delle vocazioni: alcune indicazioni teologico pastorali evidenziate dal Convegno, in AVI 1 (1982), pp. 3-7. Potrebbe essere interessante ricordare, in questa ricerca di categorie interpretative di carattere storico-ecclesiologico, due interventi di carattere vocazionale di L. SERENTHA. Il primo è una comunicazione svolta a Roma nel 1981: Una pastorale vocazionale per la vita piena della Chiesa particolare (Cfr. le pubblicazioni dei Convegni del CNV – Convegno del 1981) e Comunità cristiana e vocazione (pubblicato come p.m. dal seminario di Milano nel 1986).

[54] Ma anche l’Esortazione Apostolica sulla vocazione e missione dei laici (1988); l’Enciclica circa “La permanente validità del mandato missionario” (1990); l’Esortazione Apostolica sulla “Consacrazione religiosa” (1984); dal Sinodo dei vescovi sulla formazione sacerdotale nelle circostanze attuali (1990) al Sinodo dell’Europa in vista della nuova evangelizzazione del continente (1991).

[55] Il Congresso internazionale di vescovi e altri responsabili delle vocazioni ecclesiastiche, Sviluppi della cura pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari – esperienze del passato e programmi per l’avvenire. Documento conclusivo (a cura delle Ss. Congregazioni: per le Chiese Orientali, per i Religiosi e gli Istituti Secolari, per l’Evangelizzazione dei Popoli, per l’Educazione Cattolica), Roma 10-16 maggio 1981, a cura della Tip. Vat. In quella occasione la rivista Seminarium ha dedicato tre fascicoli monografici alla preparazione, allo svolgimento ed alle conclusioni di tale Congresso internazionale: Seminarium, nova series 20 (1981), n. 2 (Atti del II Congresso internazionale di vescovi ed altri responsabili delle vocazioni ecclesiastiche); e inoltre n. 22 (1982), nn. 3-4 (Commenti al Documento conclusivo del Congresso internazionale).

[56] Poco più avanti, parlando poi del vescovo si dirà che egli, in forza del suo ministero è “guida e coordinatore della pastorale d’insieme e della pastorale vocazionale” (29); mentre a riguardo dei programmi dei centri diocesani e nazionali dirà che hanno tra l’altro il compito di “innestare l’animazione vocazionale nella pastorale d’insieme delle Chiese particolari” (59). Doc. con., cit., Typ. Vat.

[57] Commissione episcopale per l’educazione cattolica, con l’approvazione del Consiglio permanente della CEI, Vocazioni nella Chiesa italiana, Piano pastorale per le vocazioni, En. CEI 3.

[58] Per comprendere lo spirito che anima questo Piano pastorale si potrebbe utilmente fare riferimento a tre numeri della rivista del CNV, Vocazioni: n. 4 (Il nuovo Piano pastorale per le vocazioni), n. 5 (La Chiesa particolare nel Piano pastorale per le vocazioni) e n. 6 (La parrocchia nel Piano pastorale per le vocazioni) del 1985. Già i titoli dei numeri monografici sono indicativi di una precisa sensibilità e insistenza pastorale: Chiesa locale e parrocchia.

[59] La parte III del CDC, (Istituti di vita consacrata), ha inizio con alcune norme generali (c. 573-606) e poi si divide in due sezioni: Istituti religiosi (c. 607-709) e Istituti Secolari (c. 710-730). Cfr. L. MOROSINI MONTE VECCHI, Gli istituti secolari laicali dalla Provida Mater ad oggi, in AA.VV. Vita consacrata – Consacrazione secolare, Elle Di Ci, 1994, p. 39.

“Gli Istituti Secolari avrebbero preferito una collocazione nel titolo che tratta dei fedeli laici, specificando poi che si trattava di laici consacrati” e ciò “per il timore di venire accomunati, se non confusi, coi religiosi. Sul piano teorico-concettuale non pare che tale timore abbia consistenza, sul piano pratico-esistenziale non si può negare che molti, non solo tra i fedeli, ma anche tra i sacerdoti, facciano ancora fatica a cogliere la differenza tra consacrati religiosi e consacrati secolari”. Cfr. D. LAFRANCONI, La consacrazione negli Istituti Secolari, in AA.VV., La teologia della vita consacrata, Centro Studi USMI, Roma 1990, Atti del Convegno di studi, Roma 5-9 febbraio 1990, pp. 129-146.

[60] Cfr. i nn. 2485 e 2486 (Responsabili dei religiosi e delle religiose) con il n. 2487 (Responsabili degli istituti secolari).

[61] Cit., nota 9 di p. 64.

[62] I. CASTELLANI, Il cammino del Centro Nazionale Vocazioni: per una pastorale unitaria, in AVI 9 (1982), p. 3.

[63] En. CEI 3, 2441-2442-2443-2444.

[64] Può essere utile tentare di affrontare la questione di una riflessione sulla pastorale delle vocazioni a livello di Chiesa locale, cercando di evidenziare che proprio a partire dalla Chiesa locale stessa si diramano delle prospettive e delle dinamiche pastorali in grado di favorire la cura delle vocazioni. In termini esemplificativi ci si può riferire a W. MAGNI, La pastorale delle vocazioni nella diocesi di Milano (Sommario: Premesse – Linee di pastorale diocesana e attenzione vocazionale. 1) Il primato della Parola di Dio. – 2) Pregare per le vocazioni. – 3) Saper discernere il desiderio vocazionale. – Conclusioni). In La Scuola Cattolica 121 (1993), pp. 507-520.

[65] È bene notare come questa prospettiva ecclesiologica era meno evidente nel Piano pastorale del 1973, che pure parlava di Chiesa locale dando un po’ scontato l’argomento; ed è molto più marcata rispetto anche al Documento conclusivo del 1981 che congiunge l’attenzione alla comunità parrocchiale con le “altre comunità” (n. 40), espressione generica e meno puntuale dunque.

[66] En. CEI 2, 351-352.

[67] Scorrendo i titoli della rivista Vocazioni la voce giovani è certamente tra le più affrontate e articolate, con interventi significativi soprattutto svolti da P. Gianola.

[68] Cfr. il numero monografico di Vocazioni (direzione spirituale oggi), 1 (1992).

[69] Ci si è qui riferiti alla sintesi di L. GHIZZONI, Gli organismi della pastorale vocazionale; un servizio di studio, animazione, coordinamento, in ‘Vocazioni’ 5 (1995), pp. 40-47.

[70] L. GHIZZONI, I convegni di studio: “soste operose” di un cammino comune, in ‘Vocazioni’ 6 (1993), pp. 10-17.

[71] Da qui sono nati propriamente questi convegni annuali tra il 1986 e il 1992: Carità, servizio e vocazioni (1986); Gruppi movimenti, associazioni: quale pastorale vocazionale? (1987); Donna oggi: quale proposta vocazionale? (1988); Nuovi adolescenti e vocazioni (1989); Famiglia oggi: quale spazio per la maturazione vocazionale? (1990); Annuncio e proposta vocazionale nelle nuove prospettive di catechesi della Chiesa italiana (1991); La responsabilità dell’adulto nella pastorale vocazionale della comunità cristiana (1992).

[72] Perché pregare per le vocazioni? (1993); Celebriamo in Cristo la nostra vocazione: liturgia e vocazioni (1994); Sia fatta la tua volontà: ascesi e vocazioni (1995). Gli atti di tutti i convegni annuali organizzati dal CNV, a partire dagli anni ‘80, sono stati pubblicati dalla ed. Rogate.

[73] Il primo pensato per gli animatori vocazionali principianti in genere; l’altro invece affronta con angolature diverse, di anno in anno, l’ampia tematica della direzione spirituale a servizio del discernimento e dell’accompagnamento vocazionale, con risultati notevoli dal punto di vista dei contenuti proposti e dell’interesse mostrato da parte dei partecipanti. Alcuni dei molti interventi ai seminari annuali (a partire dal 1985) sulla direzione spirituale a servizio dell’orientamento vocazionale sono stati pubblicati in AA.VV. (L. BONARI, D. BOTTINO, I. CASTELLANI, L. CIAN, A. COMASTRI, M. FARINA, C. GALLI, L. GHIZZONI, E. MASSERONI, S. PAGANI, G. SOVERNIGO), Direzione spirituale e accompagnamento vocazionale – teologia e scienze umane a servizio della vocazione, Ancora, 1996.

[74] Si tratta di una rivista di carattere bimestrale e monografica che ha sempre cercato di andare incontro a dei destinatari che chiedono riflessioni o indicazioni da parte di alcuni specialisti, ma ad un tempo sono anche capaci di “tradurre” le tematiche affrontate in vista dell’impegno pastorale. P. GIANOLA, La rivista ‘Vocazioni’: le grandi ispirazioni “trasversali” della pastorale vocazionale, in ‘Vocazioni’ 6 (1993), pp. 28-32. Cfr. anche, sempre nello stesso numero, a cura di S. PINATO, Temi vocazionali con dieci anni di ‘Vocazioni’, pp. 63-96.

[75] L. BONARI, L’incontro biennale dei direttori dei CDV e i seminari residenziali, in ‘Vocazioni’, 6 (1993), pp. 24-27.

[76] F. FONTANA, I temi delle Giornate Mondiali di Preghiera per le Vocazioni: l’annuncio dei “valori vocazionali”, in ‘Vocazioni’ 6 (1993), pp. 18-23.

[77] Questo stile di fatto sta all’origine anche della riflessione che caratterizza questo stesso seminario di studio sulla pastorale vocazionale tra teologia e prassi.

[78] Al fine di avere alcuni dati significativi circa il lavoro dei CDV nel periodo che va dalla fine degli anni ‘80 ai primi anni ‘90 riferirsi a I. CASTELLANI, ‘Vocazioni’ compie dieci anni in ‘Vocazioni’ 6 (1993), pp. 3-9. In questo intervento vengono riportati i risultati di un’inchiesta svolta nel 1992 dal CNV (Cronistoria della ricerca; Organizzazione dei CDV: struttura e persone; la dimensione vocazionale nella pastorale ordinaria; la dimensione vocazionale nella pastorale giovanile; la pastorale vocazionale unitaria; prospettive).

[79] Cfr. I. CASTELLANI, Il Piano pastorale per le vocazioni della Chiesa italiana in ‘Vocazioni’, 5 (1995), pp. 3-7.

[80] G. ANGELINI, Per una nuova cultura della vocazione, in AA.VV., Cultura e Vocazioni, Rogate, 1994, p. 9. Dello stesso volume si tenga inoltre presente E. MASSERONI, La pastorale vocazionale di fronte alle nuove sfide culturali. Per un progetto operativo, pp. 119-136.

[81] nn. 44 e 45, ed. Paoline, 1992, p. 25.

[82] En. Vat. 13, Pastores dabo vobis (25.3.1992), cap. IV “Venite e vedrete: la vocazione sacerdotale nella pastorale della Chiesa”, (1317-1363). 

[83] En. CEI 4, 2716-2792.

[84] Cit., ed. Paoline, pp. 61-62.

[85] Cfr. D. COLETTI, “Vangelo della carità”, punto forza di ogni vocazione, pp. 5-9; M. FARINA, Convegno di Palermo: gli obiettivi in chiave vocazionale, pp. 10-13, in Rogate Ergo, 10 (1995).

[86] Importanti affermazioni circa le prospettive vocazionali della pastorale giovanile sono contenute anche nella Pastores dabo vobis, ai nn. 1194-1207.

[87] Si tenga presente il numero monografico di ‘Vocazioni’ (Per una cultura vocazionale) 3 (1993).

[88] Cfr. L’Osservatore Romano del 18 dicembre 1992. Ma anche Congregazione per l’Educazione Cattolica, Messaggi pontifici per la Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni, Rogate, 1993, pp. 238-245.

[89] ANGELINI, cit., p. 29.

[90] ANGELINI, cit., pp. 29-30. Si veda inoltre: G. CANOBBIO, Dagli stati di vita alle vocazioni, in Gli stati di vita del cristiano – Quaderni teologici del seminario di Brescia, Morcelliana, luglio 1995, pp. 17-47; T. CITRINI, Vocazione in Enciclopedia pedagogica, vol. VI, pp. 12391-99, La Scuola, Brescia 1994; E. MASSERONI, Vocazione e vocazioni, in Nuovo dizionario di Teologia Morale, S. Paolo, Roma 1990, pp. 1498-1511.

[91] GIOVANNI PAOLO II, Vita consecrata, Esortazione Apostolica post-sinodale, n. 64 (Nuovo slancio della pastorale vocazionale), suppl. a L’Osservatore Romano, 25 marzo 1996, pp. 112-14.

[92] P. G. CABRA, Quattro anni al 2000. Preghiera ed esame di coscienza per gli animatori vocazionali (editoriale), in Rogate Ergo, gennaio 1996, pp. 3-6.