N.06
Novembre/Dicembre 1996

Verginità chiama povertà

Un recente progetto del Centro Nazionale Vocazioni, che trova i suoi momenti culminanti nei convegni di studio d’inizio anno, ha messo a tema il seguente trittico: verginità, povertà, obbedienza. Sono subito comprensibili le motivazioni di tale scelta: sul piano educativo la vocazione cristiana, e specificamente la vocazione di speciale consacrazione, non può prescindere anzi quasi s’identifica con tali valori evangelici.

Si tratta delle “grandi sfide della vita consacrata” alla Chiesa stessa e alla società contemporanea, come le chiama Giovanni Paolo II nella Sua ultima Esortazione apostolica post-sinodale: “il compito profetico della vita consacrata viene provocato da tre sfide principali rivolte alla stessa Chiesa: sono sfide di sempre, che vengono poste in forme nuove, e forse più radicali, dalla società contemporanea, almeno in alcune parti del mondo. Esse toccano direttamente i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza”[1].

Il progetto di studio del Centro Nazionale Vocazioni, varato con il già celebrato convegno “Verginità per il Regno: vocazione all’Amore”[2], in comunione con l’Esortazione pontificia si propone di aprire e proporre alle giovani generazioni “la sfida della castità consacrata, della povertà evangelica, della libertà nell’obbedienza”[3].

Si è soliti dire che i giovani e le ragazze, non solo quelli del cosiddetto muretto ma anche quelli che sono impegnati in un cammino di fede nelle nostre comunità ecclesiali, oggi “volano basso”: pur dopo anni di ascolto e confronto con la Parola di Dio, sorgente prima di ogni spiritualità cristiana; di ricercata comunione col Signore, in particolare nei sacramenti dell’Eucaristia e del perdono; di pur fervido impegno nel servizio ai fratelli, sembrano accomodarsi, quasi incapaci di “librarsi in alto”, di camminare oltre e in avanti.

La proposta educativa nella fede rivolta ai nostri giovani e ragazze, quindi un deciso impegno spirituale – inteso come vita in Cristo, vita secondo lo Spirito, che gradualmente viene configurandosi come un graduale itinerario di discepolato nella coerenza e fedeltà – manca forse della proposta di un “ideale alto” di un orizzonte più profondo, quell’orizzonte designato appunto da una vita vissuta in verginità, povertà e obbedienza?

Mi pare che uno dei tanti e continui appelli lanciato ai giovani da Giovanni Paolo II, come il seguente – “A voi, giovani, dico: se avvertite la chiamata del Signore, non respingetela! Inseritevi, piuttosto, coraggiosamente nelle grandi correnti di santità, che insigni sante e santi hanno avviato al seguito di Cristo… Armonizzate tutte le opere di Dio nel mondo, ma sappiate fissare lo sguardo sulle realtà destinate a non tramontare mai”[4] – è un invito a puntare in alto, a non restare nella mediocrità. E questo non può non essere anche l’obiettivo degli educatori alla fede che a me piace considerare tutti, pur con ruoli e competenze diverse nella comunità cristiana, animatori vocazionali.

Il progetto educativo – “verginità, povertà, obbedienza per il Regno e vocazioni” – intende quindi annunciare tali valori evangelici negli itinerari di fede rivolti ai giovani nella comunità cristiana, e ciò a partire anzitutto dalla testimonianza della vita consacrata come risposta visibile alla triplice provocazione di una cultura edonistica, di un materialismo avido di possesso e di una concezione della libertà privata di ogni rapporto con la verità e la norma morale[5].

Non solo sul piano dei contenuti, ma anche sul piano della mediazione educativa, la connessione fra i tre “valori” o “consigli” evangelici è strettissima. Non può darsi iniziazione educativa alla verginità senza educare alla povertà e all’obbedienza.

Parafrasando un Padre della Chiesa che, in riferimento alle virtù teologali – fede, speranza, carità – afferma: “Ho visto tre sorelle: due più grandicelle (fede e carità) che camminavano tenendo per mano la più piccola (speranza). E, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la sorella piccola tirava in avanti le due più grandicelle”. Uscendo dalla metafora: la virtù della speranza è trainante. Senza di esse la fede e la carità faticano a farsi strada… A me sembra che, per analogia, altrettanto si potrebbe dire sul piano educativo della povertà: è la sorella più piccola, rispetto alla verginità e obbedienza, ma di fatto trainante e “cartina di tornasole” in riferimento alle due “sorelle più grandi”.

A conferma di questo, una convinzione che si è fatta evidente a conclusione del Convegno sopra ricordato su “Verginità per il Regno: vocazione all’Amore”, è stata proprio la seguente: “verginità chiama povertà”. Senza la povertà, la verginità perde il senso, il sapore e lentamente decade in un banale “non sposarsi”.

Mi ha colpito anche questa riflessione alle sue suore, che ho sentito citata a riguardo di Madre Teresa di Calcutta: “Prego perché duriate nella chiesa tanto quanto durerà la vostra povertà: la povertà, infatti, è il segno decisivo del vostro cuore dato a Dio e ai fratelli”. Un interrogativo a questo punto mi sembra d’obbligo: se viene a mancare la proposta e l’accoglienza convinta del valore “povertà”, nel cammino educativo vocazionale dei giovani o nella vita di una persona consacrata, è possibile un’autentica verginità e una vera obbedienza?

 

Povertà per il Regno

La povertà evangelica nella cultura di oggi è ad un tempo sfida e profezia. È forse un termine da risituare al cuore della fede e un termine da riscrivere nella cultura e società contemporanea.

La “povertà evangelica” diventa discriminante in ordine ai diversi significati che il termine “povertà” assume nel linguaggio corrente. Ci troviamo infatti di fronte a quattro tipi di povertà, che possono essere così tratteggiati: “una povertà materiale negativa”, che disumanizza e che va combattuta: la povertà come condizione sociale subita; “una povertà materiale positiva”. che libera ed educa: la povertà come ideale evangelico; “una povertà spirituale negativa” che è assenza dei beni dello Spirito e dei veri valori umani: la povertà dei ricchi; “una povertà spirituale positiva” fatta di umiltà e di fiducia in Dio che è il frutto più bello fiorito sull’albero della povertà biblica: la “ricchezza dei poveri”[6].

La povertà spirituale positivamente intesa, come ideale evangelico da coltivare, è la povertà del “povero dinanzi a Dio”,- un atteggiamento spirituale che coinvolge la persona umana completamente; un’esperienza interiore di verità con se stesso e con Dio; un vuoto che l’uomo accetta e che Dio viene a riempire; una via di dignità, di meraviglia e di ringraziamento; un cammino di abbandono, di pace e di gioia. La povertà dell’uomo dinanzi a Dio – l’uomo un povero dinanzi a Dio – che apre l’uomo alla pienezza di Dio, lo rende partecipe della ricchezza del Creatore, Signore e Padre.

La “povertà così intesa è quindi la ‘via evangelica’ che apre all’amore di Dio e del prossimo. La motivazione fondamentale di una vita di povertà è la relazione personale a Cristo”[7].

Seguire Gesù povero – con amore, per amore, nell’amore ovvero “senza nulla di proprio”. come leggiamo nel testo del rito della professione religiosa delle Sorelle povere di S. Francesco – significa accogliere il mistero della salvezza espresso in termini di povertà: è Dio che ci fa ricchi nella misura in cui ci trova poveri. La povertà esprime meravigliosamente la condizione cristiana della salvezza: è l’incontrarsi dell’uomo con la ricchezza di Dio che lo salva[8].

 

L’itinerario educativo alla scelta della povertà

Seguire “Gesù povero”: è questa la proposta educativa essenziale, “sine glossa” ai giovani che vivono un cammino di fede nella chiesa oggi. A partire dal quadro di riferimento ecclesiale che definisce un cammino di fede – nella preghiera ed esperienza sacramentale del “povero dinanzi a Dio” e nella disponibilità al servizio e accoglienza dei fratelli – come dunque educare i giovani alla povertà, passando attraverso la feriale gratuità, essenzialità e semplicità di vita, in vista di una vocazione di speciale consacrazione? L’annuncio del valore teologico della povertà evangelica nella chiesa oggi e nella proposta educativa alle giovani generazioni è infatti naturalmente fecondo sul piano vocazionale.

A me pare che un itinerario educativo alla scelta vocazionale della povertà maturi attraverso questi passaggi o itinerario educativo:

– Una “vita di fede” lasciandosi fare dallo Spirito, a immagine e alla sequela di Cristo povero. “Lo stile cristiano è stile di gratuità, e di disponibilità. Sembra l’unico coerente con la prospettiva fondamentale: quella di Dio che si rende disponibile, che si ‘scomoda’, che si dà via… Non è questo il richiamo di ogni Eucaristia?…”[9].

Una “vita semplice” nella ferialità. Dal cibo, al vestito, all’uso del tempo libero, all’impegno nel lavoro o nello studio, ai rapporti quotidiani con gli altri.

– Una “vita gratuita” nel servizio, nel dono totale di sé agli “ultimi”, come risposta alle nuove povertà e ai nuovi bisogni emergenti. “Il volontariato può essere un itinerario di formazione in vista della vocazione definitiva…”[10].

Il cammino della Chiesa a riguardo della “povertà per il Regno” è segnato da fulgide testimonianze: da Cristo… a Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi… a Madre Teresa di Calcutta… Con queste parole Ella traccia un cammino educativo per le Sue religiose, che diventano anche proposta ad una ragazza, ad un giovane di oggi, disponibili a “farsi poveri” per il Regno: “Di fronte a Dio la nostra povertà è umile riconoscimento ed accettazione della nostra fragilità umana, della nostra impotenza e nullità… La povertà è amore prima di essere rinuncia. La nostra povertà è la nostra libertà. Questa è la nostra libertà: rinunciare alla nostra libertà di disporre le cose, di scegliere, di possedere. Non avete nemmeno il diritto di dire: questo è il mio ‘sari’. Il motivo di ogni mia privazione è che amo Gesù”[11].

 

 

 

 

Note

[1] GIOVANNI PAOLO II, Vita Consecrata, Esortazione apostolica post-sinodale, n. 87. 

[2] CNV, Verginità per il Regno: vocazione all’Amore, ed. Rogate, Roma 1996; cfr. ‘Vocazioni’, n. 6/1995.

[3] GIOVANNI PAOLO II, Idem, n. 88, 89, 91.

[4] GIOVANNI PAOLO II, Idem, n. 106.

[5] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Idem, n. 88, 90, 91.

[6] R. CANTALAMESSA, Povertà, ed. Ancora Milano 1996, p. 10. 

[7] Cfr. L. BOISVERT, La povertà religiosa, ed. Paoline, 1992.

[8] Cfr. G. MOIOLI, Temi Cristiani Maggiori, ed. Glossa, 1992, p. 165. 

[9] G. MOIOLI, Idem, p. 165ss.

[10] CEI, Piano Pastorale per le Vocazioni, Vocazioni nella Chiesa Italiana, 1985, n. 30. 

[11] MADRE TERESA, La mia regola, Piemme, 1996, p. 33ss.