N.01
Gennaio/Febbraio 1997

A proposito di senso critico

Il titolo potrebbe suscitare qualche falsa attesa nel lettore. Nel la civiltà delle immagini e dei messaggi, il “senso critico” è questione cruciale, e tra l’altro comporta una competenza approfondita e multidisciplinare. Ci si potrebbe dunque attendere, in questo contributo, un’esaustiva presentazione delle tecniche pubblicitarie per decodificarne le soggiacenti quanto recondite intenzioni. Qualcun altro chiederebbe di sapere cosa dice la pedagogia, su questo famoso senso critico, perché si possa sapientemente mettere in guardia i giovani e i ragazzi da voci subdole quanto fuorvianti. Chi scrive non è un semiologo, né un teorico della pedagogia. Nella speranza che il lettore si riprenda da un’inevitabile delusione, qui si propongono semplicemente alcune considerazioni sull’importanza del senso critico oggi e alcuni punti su cui vale la pena insistere, a livello di pastorale ordinaria, soprattutto in prospettiva vocazionale.

 

 

Questione di democrazia

“La democrazia consiste nel mettere sotto controllo il potere politico. È questa la sua caratteristica essenziale. Non ci dovrebbe essere alcun potere politico incontrollato in una democrazia. Ora, è accaduto che questa televisione sia diventata una potere politico colossale, potenzialmente si potrebbe dire anche il più importante di tutti, come se fosse Dio stesso che parla. E così sarà se continueremo a consentirne l’abuso. Essa è diventata un potere troppo grande per la democrazia. Nessuna democrazia può sopravvivere se all’abuso di questo potere non si mette fine”[1].

Questo atto d’accusa è reperibile in un libretto che tempo fa ha aperto un dibattito, puntualmente rimesso a tacere dal grande circo multimediale: un libretto, per intenderci, nel quale Karl Popper suggeriva una “patente”  per fare TV, e John Condry definiva lapidariamente questo strumento “ladra di tempo, serva infedele”. Forse non è giusto sottoscrivere tanto sospetto contro la televisione, che comunque per molti ha rappresentato una finestra puntualmente aperta sul mondo, una catena di solidarietà, un focolare davanti al quale stemperare la propria fredda solitudine, o un vocabolario amichevole e quasi mai noioso, con cui finalmente imparare con disinvoltura la propria lingua. Sotto questo aspetto, tanto per esempio, vale la pena citare il più benevolo (nei confronti dei mezzi di comunicazione sociale) “Lembo del mantello” del Cardinal Martini[2].

Qui non stiamo a pesare le ragioni dell’uno e i torti dell’altro. Il problema ci piace vederlo invece, se possibile, dalla parte del soggetto, nel nostro caso particolare del giovane e del ragazzo, cioè dell’uomo che si trova a vivere una fase particolare della sua vita, il momento in cui si cercano delle ragioni per vivere e queste ragioni vengono sistematicamente identificate con un prodotto o un personaggio. Naturalmente, nel fare questo, prendiamo benevolmente a prestito la Televisione come punta dell’iceberg multimediale, costituito da cinema, giornali, radio, pubblicità, internet, e tutto ciò che le risorse delle tecnica riusciranno a inventare col passare del tempo. Ciò che diciamo della TV, con gli opportuni adattamenti, va riferito a tutti gli altri mezzi di comunicazione sociale, che comunque della TV riflettono sostanzialmente la logica e il metodo. Non dimenticando, peraltro, che il senso critico va usato anche nei confronti di ogni proposta di vita, comunque essa ci raggiunga: dai luoghi comuni e frasi fatte, alla mentalità che ci circonda, alle consuetudini di famiglia.

 

 

Una Verità più grande

Una cosa va detta chiara e senza mezzi termini, anche se per certuni può apparire scontata: non possiamo parlare di senso critico di fronte ai messaggi dei media, se non partendo da una Verità che abita l’uomo e la donna, sia di quelli già “fatti” che quelli in divenire, vale a dire il giovane e a maggior ragione la ragazza e il fanciullo. Contrariamente a quanto si pensa, si nasce interiormente complessi e frammentati. Il bambino è comunque il luogo in cui si incrociano i fattori ereditari più diversi, da quelli biologici a quelli psicologici ed ambientali. Il lavoro della persona, man mano che cresce, un lavoro paziente quanto invisibile perché affidato alla sapiente regia dello Spirito, è quello di portare a unità queste componenti sistematicamente in lotta tra di loro. Nei primi anni di vita questa lotta è solo germinale, perché inscritta in quel “cuore di fanciullo” che è la condizione per entrare nel Regno, ma nella fase adolescenziale prima e in quella giovanile poi i fattori in gioco entrano in collisione tra di loro, determinando una crisi salutare quanto decisiva: da questa crisi o si esce con le prospettive proprie della “carne”, o si rinasce di nuovo, ritrovando finalmente, e questa volta si spera per sempre, almeno come ideale di vita, il cuore di fanciullo.

È a partire da questo cuore unificato che si può parlare di “senso critico”. È da questa sorta di “oblò” che si vede e si giudica la realtà, stavolta con gli occhi di Dio. Ovviamente questo è un lavoro che non può dirsi mai compiuto, indispensabile è il suo matrimonio con la vigilanza, che a sua volta è uno dei valori su cui insiste maggiormente il Nuovo Testamento, e che a quanto pare fa registrare parecchie brecce, nelle quali va sistematicamente a insediarsi il messaggio dei mezzi di comunicazione sociale. Con frequente successo, così sembra.

Comunque sia, nel parlare di senso critico, non si può prescindere da questa “pace dell’anima” quotidianamente costruita e ricostruita con l’amore al silenzio, gli spazi di riflessione, i prolungati momenti di preghiera. È solo a partire da questo incontro con la Verità che si può conferire un senso alle mille schegge impazzite di quella Verità. È avendo nelle mani il tesoro della Verità che si può arrivare addirittura a lasciare tutto, perché si sono pesati sui due piatti della bilancia le ragioni di Dio e le ragioni dell’uomo. “L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” (1Cor 2,14-15).

 

 

Gli interessi e i valori

A partire da questa “visione del mondo” che solo la fede riesce a organizzare, si possono vedere meglio le disfunzioni che la logica multimediale rappresenta e favorisce:

– ormai sta diventando sempre più chiaro a tutti l’intento commerciale che muove la TV e gli altri media. E vero, non si può fare di ogni erba un fascio, ci sono delle TV in altre nazioni che si muovono con intenti educativi o quanto meno culturali, ma il modello americano che si è affermato anche da noi fa della TV uno strumento essenzialmente commerciale. La corsa all’audience vista come termometro di validità, il cortocircuito tra produzione e pubblicità, l’invadenza eccessiva di quest’ultima: alla fin fine tutto ciò propone come ideale di vita lo spendere e il consumare, niente o poco di più;

– un fattore che chiama in causa soprattutto la TV e il cinema è la loro arte subdola quanto efficace di falsare la realtà. Alla TV e al cinema interessa il presente, quello che accade, quello che richiama l’attenzione qui e adesso. Si è sempre alla ricerca dello spettacolo. La loro è l’idolatria del presente, non ha nessun valore la paziente tessitura del presente fatta nel passato, né gli sviluppi che possono portare al futuro. La vita è fatta a strisce, a segmenti. Il montaggio nel cinema e l’inquadratura nella TV finiscono col suggerire una vita che poi si stenta a riconoscere nella realtà:

“La cosa davvero assurda è che la TV non mostra mai nessuno intento a lavorare per guadagnare le ricchezze che ostenta. Non esiste alcun legame tra il lavoro e la vita (…). Mostrare gente che lavora per la televisione è una bestemmia, uno spreco di tempo! Rende la TV noiosa, e ciò sarebbe inammissibile”[3];

– un altro elemento in gioco è la famosa struttura dei valori proposti dalla TV. È forse questo il discorso più difficile e più capzioso. Dagli spot alle telenovelas, dai dibattiti agli spettacoli da intrattenimento, tutto produce valori, e questi vengono inconsapevolmente assorbiti dagli utenti. Quali motivi per cui valga la pena vivere sono proposti dai nostri canali, magari già con la sola presentazione di un personaggio? In via ordinaria, il gusto di sedurre qualcuno o di esibire qualcosa, la capacità di essere furbi e capaci, la bellezza esteriore e un portamento giovanile. Il valore più diffuso è la felicità, ma questa ha come terminale se stessi. Hanno dovuto inventare un’area a parte, chiamata “Pubblicità Progresso”, per dire che nel mondo ci sono anche gli anziani, che ci si può realizzare anche con un gesto di cortesia, e che la carta va buttata nel cestino e non per terra. Ma stiamo pur sempre nel campo delle buone maniere, la logica della fede richiede qualcosa di più, fa comunque guardare più in alto.

 

 

Qualcosa da sottolineare

Ci siamo soffermati solo su alcuni degli elementi in gioco. Lo dicevamo agli inizi, il senso critico è questione che non può essere affrontata dalla prospettiva di una singola disciplina, né esaurirsi in poche pagine. Ci permettiamo invece di sognare una scuola, la scuola di cui si invocano le riforme e si avverte il bisogno, una scuola in cui si preveda come materia obbligatoria proprio l’abilitazione al senso critico. A beneficio però del semplice catechista o più in generale dell’operatore pastorale, che in questo stato di cose hanno l’impressione di remare contro corrente, richiamiamo qualcosa che a parere di chi scrive non sarebbe sbagliato ogni tanto sottolineare, nel corso del proprio lavoro a favore dei giovani e dei ragazzi:

– occorre innanzitutto ricordare che il mondo non è fatto a 24 pollici né finisce con una videocassetta: c’è una bella chiacchierata da farsi con gli amici, c’è da farsi una capatina in parrocchia e magari mettere il naso in un gruppo di volontariato, c’è da scegliersi un bel libro e finalmente leggere qualcosa che vada al fondo delle cose, c’è da dare una mano in casa o semplicemente da ascoltare un po’ il nonno, forse anche lui rassegnato alla TV per via di solitudine propria e di fretta altrui;

– abituarsi a pensare con la propria testa è la fatica dei nostri giorni, come ieri lo era fare chilometri a piedi o a cavallo, o l’altro ieri lottare contro gli invasori e i barbari. È una fatica non da poco, comporta un confrontare sistematicamente il subdolo messaggio dei media con l’esplicito mondo del Vangelo, significa ricordarsi che la vita è ben altra da quella sbandierata su di uno schermo, implica soprattutto una sana igiene mentale e spirituale, che comincia dal fare a meno della TV e accenderla solo a ragion veduta, cioè per una scelta positiva e non solo perché non si ha altro di interessante da fare;

– un buon esercizio da proporre ai giovani consiste nel renderli potenzialmente registi di un film o sceneggiatori di uno spot: “immaginate che vi sia commissionata una scaletta per propagandare questo prodotto, come la sviluppereste, quali valori mettereste in luce?” Credo che, quanto meno, i giovani, possono capire che ci sarebbe un modo alternativo di presentare le cose;

– visto che la democrazia almeno sulla carta continua, nulla mi vieta di telefonare alla RAI o a Mediaset per far sentire il mio dissenso, per dire che non mando giù indifferente la poltiglia di illusioni che ogni giorno mi propinano. Sarò una goccia nel mare, e perciò sarà opportuno aggregarmi a lodevoli associazioni già operanti al riguardo. Ma quanto meno farò sentire la mia voce, e soprattutto non dimenticherò di avere una coscienza. Di questi tempi, non sarà un risultato da poco.

 

 

 

 

 

Note

[1] POPPER K. – CONDRY J., Cattiva maestra televisione, Reset, Milano 1994, 24.

[2] MARTINI C.M., Il lembo del mantello, Centro Ambrosiano, Milano 1991.

[3] POPPER K. – CONDRY J., Op. cit., 38.