N.01
Gennaio/Febbraio 1997

Il “centuplo” e oltre…

Anche solo leggendo le pagine evangeliche dove sono raccontate le “vocazioni” dei discepoli, ci si persuade che non è possibile seguire il Signore Gesù senza prima “abbandonare tutto”, ed è una condizione che tutti i cristiani devono prima o poi accettare, sia pure in mille e diverse maniere.

A volte (raramente) Egli chiede uno strappo improvviso e lacerante, più spesso il distacco si realizza man mano che il chiamato si inoltra per seguirLo, e la strada si va sempre più allontanando da ogni altro possesso che non sia Lui.Non mancano nell’agiografia santi che hanno mostrato e insegnato quanto sia impervio e faticoso il cammino che conduce alla “santa Montagna”, e quante rinunce esso richieda.

Il nome di san Giovanni della Croce viene subito in mente ai cristiani più colti, anche se a torto; dato che il Dottore Mistico spagnolo ha descritto la sua aspra “Salita del Monte Carmelo” solo dopo aver intuito e comunicato le ineffabili dolcezze nuziali del Cantico. La rinuncia e la durezza che egli ha insegnato sono piuttosto espressioni della forte impazienza di un cuore che non si capacita di come sia possibile attardarsi quando l’Amore è così prossimo al cuore. La strada indicata è sì scabra, ma viene scelta nella foga di giungere al più presto al pieno possesso dell’Amato.

Proprio la vicenda di questo santo, bruciante di passione, è emblematica. C’è qualcosa di particolarmente indelicato nella maniera in cui certi autori spirituali parlano dell’abnegazione e della rinuncia, troppo al di fuori del clima dell’amore e del possesso che in esse si esperimenta. A volte essi sembrano dimenticare che i “riti di spoliazione” al di fuori del particolare clima di tenerezza e dell’intimità in cui essi accadono, rischiano di tramutarsi in oscenità e violenza. È stato certamente un danno per la spiritualità cristiana l’avere illustrato in maniera eccessivamente particolareggiata le vie della rinuncia e della spoliazione, senza (o prima di) aver raccontato l’intera esperienza d’amore che le esige e le illumina.

I doni dell’amore di Dio non sono soltanto al termine del cammino della rinuncia (come paga di un lavoro fino ad allora insopportabile), ma sono offerti anche all’inizio del cammino (in una pregustazione che è motivo e stimolo) e durante il percorso (come pienezza subito sovrabbondantemente corrispondente ad ogni svuotamento). Nel Vangelo Gesù non promette ai suoi seguaci solo “la vita eterna” del suo regno celeste, ma anche “il centuplo quaggiù”: misto certamente a croci e persecuzioni, ma sempre capace di saziare di beni il chiamato. Le pagine della agiografia cristiana sono quasi sovraccariche (tanta è la munificenza di Dio) di testimonianze a riguardo di questo “centuplo”.

Potremmo distinguere, volendo, due aspetti: uno più intimo e personale che accade nell’interiorità stessa del chiamato, e uno più esteriore e sociale che accade visibilmente nel corpo della Chiesa.

Per l’aspetto personale possiamo ad esempio ricordare la testimonianza di Teresa di Lisieux, proprio mentre celebriamo il centenario della sua morte. È noto che “la piccola Teresa” toccò il vertice della rinuncia a se stessa quel 9 giugno 1895 (festa della SS. Trinità) in cui si offri come “vittima di olocausto all’Amore misericordioso di Dio” abbandonando tutto nelle sue mani, anche i più preziosi doni spirituali (“meriti”, “libertà”…). Ed ecco quel che ne ebbe in cambio:

“Madre cara (scrive alla sorella-priora) voi che mi avete permesso di offrirmi in tal modo al Buon Dio, voi sapete i fiumi, o piuttosto gli oceani, di grazie che hanno allora inondato la mia anima. Da quel giorno mi sembra che l’Amore mi penetri e mi circondi da ogni parte e che ad ogni istante quest’Amore mi purifichi e non lasci in me traccia alcuna di peccato” (Man. A, 84 r).

Ella si accorgeva della divina legge del centuplo non solo quando si sentiva inondata da grazie mistiche, ma anche quando scorgeva nelle circostanze più semplici della vita le tenerezze dello Sposo Gesù.

Ecco un brano delicatissimo che testimonia esplicitamente questa persuasione:

“Lei sa, Madre cara, quanto io ami i fiori; facendomi prigioniera a quindici anni, rinunciai per sempre alla gioia di correre nelle campagne smaltate dai tesori della primavera. Ebbene! Mai ho avuto tanti fiori come da quando sono entrata al Carmelo. È usanza che i fidanzati offrano spesso mazzi di fiori alle loro fidanzate; Gesù non lo dimenticò: mi mandò in gran numero mazzi di fiordalisi, margherite, papaveri ecc., insomma mazzi di tutti i fiori che mi piacciono di più. C’era perfino un fiorellino, chiamato”nepitella del grano” che non avevo trovato mai da quando abitavamo a Lisieux, e desideravo tanto rivedere questo fiore della mia infanzia che avevo colto nelle campagne di Alençon, proprio questo fiorellino venne a sorridermi al Carmelo, mostrandomi che, nelle piccole cose come nelle grandi, il Buon Dio dà il centuplo fin da questa vita alle anime che per amor suo hanno lasciato tutto”. (Man. A, 81 v).

“Capricci infantili” li chiamava Teresa. Ma quanto vicino al cuore deve essere Dio, e lo si pensa occupato a soddisfare al centuplo perfino i capricci dei suoi figli? Al riguardo di questo centuplo sovrabbondante, nelle piccole e grandi cose, in amore e grazie, i santi usavano espressioni piene d’infinita commozione e spesso li si sentiva mormorare: “Grazie, Signore, è troppo…”. Si può dire che non ce ne sia uno che non abbia testimoniato questo “troppo grande amore” che raggiungeva e colmava il loro cuore, a volte nella pace, a volte tra le più terribili sofferenze.

“Una prigionuccia, da niente”: così Giovanni della Croce definiva nove mesi di durissimo carcere, rispetto ai fiumi di grazie che vi aveva esperimentato (e il centuplo era fatto anche di versi splendenti e poemi di incredibile bellezza che gli fiorivano tra le mani).

“In ogni attimo, in ogni soffio, io ho la prova che Dio mi assiste dolcissimamente”, diceva Benedetta Bianchi Porro, cui era stato chiesto di abbandonare progressivamente tutto nella maniera più radicale possibile, man mano che le cinque porte dei sensi si chiudevano per lei una dopo l’altra, inesorabilmente.

Il mistero del “centuplo” nel cuore dei santi è un’evidenza sconvolgente in tutta l’agiografia cristiana.

Poi c’è anche il “centuplo” che si documenta nella fruttuosità sociale ed ecclesiale, ed anche questa evidenza stupiva gli stessi santi e li riempiva di gratitudine.

“Sono tanti i poveri che qui giungono – scriveva S. Giovanni di Dio – che io stesso molte volte non so come alimentarli, ma Gesù Cristo provvede a tutto e dà loro da mangiare, perché solo per la legna occorrono 7 o 8 reali ogni giorno; perché essendo la città grande e molto fredda sono molti i poveri che giungono a questa casa di Dio; perché tra tutti infermi e sani, gente di servizio e pellegrini, ce ne sono più di cento e dieci… vi sono rattrappiti, mutilati, lebbrosi, muti, pazzi, paralitici, tignosi, e molti vecchi e molti bambini; e, senza contar questi, molti altri pellegrini e viandanti che giungono, e si dà loro fuoco e acqua e sale e recipienti per cucinare e mangiare, e per tutto questo non c’è rendita; ma Gesù Cristo provvede a tutto…”.

In questo brano che descrive la nascita del primo ospedale – che viene su quasi sotto gli occhi stupefatti del santo – sembra quasi di vedere da un lato le centinaia di bisognosi d’ogni genere che giungono e dall’altro il centuplo in mezzi ed energie e generosa passione che da Cristo stesso discende con regale magnificenza.

Ma possiamo anche ricordare il centuplo esperimentato, con clamorosa evidenza, da Giovanni Bosco, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Madre Cabrini, Kolbe, Orione e mille altri che vedevano incredibilmente nascere, dalle loro povere mani, conventi, collegi, ospedali, scuole e perfino vere e proprie città: un centuplo di cui avevano certezza fin dall’inizio – al punto da essere spesso giudicati sognatori e visionari – e che finiva anche per essere un “centuplo” di discepoli (collaboratori e figli) che ad essi si affidavano. Non c’è solo il centuplo promesso ai chiamati: c’è anche il centuplo dei chiamati, tutti attratti da un solo discepolo divenuto padre (fondatore). Non esiste nella Chiesa una storia della rinuncia o della mortificazione. Esiste una storia del centuplo. E, se si vuole, una storia dei miracoli operati da Dio per onorare questa sua promessa evangelica.

E tuttavia un’ultima parola deve essere spesa proprio a favore della “rinuncia” Niente è più lontano dagli intenti di questo articolo che dissuadere i chiamati dal percorrere seriamente la via della cristiana abnegazione. Bisognerebbe essere ciechi per non accorgersi della massa di incrostazioni di cui ogni chiamato è vittima, già prima di udire la chiamata: incrostazioni molto dense e spesse, non ultima quella di avere un io narcisistico che trema ad ogni accenno di difficoltà e rifugge da qualsiasi ipotesi di sofferenza.

Abbiamo voluto solo ricordare che l’annuncio dei doni di Dio, la loro sperimentazione (anche se iniziale), il gusto della salvezza già operante, la certezza della propria preziosità e la speranza indomabile in un Disegno buono in cui si è già stati coinvolti, devono in qualche modo presiedere al duro lavoro di far morire il proprio “uomo vecchio” come si usava tradizionalmente dire.