Dal piano diocesano al piano parrocchiale:l’attenzione del parroco e della comunità alla dimensione vocazionale
Parrocchia e vocazione costituiscono un binomio inscindibile che interpella, oggi più che mai, tutta la comunità parrocchiale, invitandola ad un serio ripensamento del suo modo di essere Chiesa, del suo modo di impostare la pastorale, del suo modo di relazionarsi alla pastorale diocesana, in particolare a quella vocazionale. Se è vero che la Chiesa si realizza storicamente e concretamente nel territorio e a partire dal territorio ove la comunità cristiana opera e vive, la parrocchia può essere considerata a buon diritto il luogo ideale dove ogni battezzato può fare esperienza di Chiesa a pieno titolo, specie quando essa si articola in piccole comunità decentrate in ogni parte del suo intero habitat geografico-antropologico-culturale. E se è vero che la Chiesa è la convocazione dei chiamati del Signore Gesù, la parrocchia non può fare a meno di essere il luogo e lo strumento dove e attraverso cui la chiamata di Dio si rende palpabile e sperimentabile, pena il tradimento della sua stessa identità, del suo stesso essere Chiesa.
Condizioni per una maturazione vocazionale
Quali, allora, le condizioni perché una parrocchia possa divenire progressivamente terreno fertile per la maturazione vocazionale di ogni persona che corre l’avventura di incontrare Cristo che chiama alla sua sequela? Quali gli aspetti della vita ecclesiale che il parroco deve favorire perché la parrocchia, alla luce del “Piano pastorale diocesano”, possa realizzare questa sua funzione, divenendo suscitatrice e sostenitrice di vocazioni plurime?
Tra le principali linee di marcia che suggeriamo:
1) Fare della parrocchia una realtà comunitaria restituendole il suo originario volto di popolo di Dio, di vera Chiesa locale in cammino per le strade del suo territorio. Ciò comporta da una parte il superamento di una visione solo burocratica o rigidamente istituzionale della parrocchia, dall’altra l’abbandono di una concezione massificante della Chiesa – fautrice di anonimato, di individualismo e di indifferentismo – per passare ad un’esperienza di Chiesa “famiglia di Dio” dove vengono privilegiati lo spirito di fraternità, le relazioni interpersonali, il senso dell’appartenenza, l’esperienza della partecipazione e della collaborazione ad ogni costo.
2) Puntare e investire le forze sulla realizzazione di una parrocchia tutta intera comunionale, tutta intera ministeriale, tutta intera missionaria. Solo da una comunità che matura nel suo insieme la dimensione comunionale, ministeriale e missionaria della Chiesa, possono scaturire vocazioni multiple a servizio dell’uomo, a partire dal più povero e bisognoso. Le vocazioni non nascono dal nulla, ma crescono e sbocciano dal terreno fertile di una Chiesa che si mette tutta intera in ascolto di Dio che chiama, una Chiesa che matura tutta intera la disponibilità al servizio e alla missione, una Chiesa che si forma tutta intera alla scuola della comunità trinitaria, per essere comunità viva, a immagine e somiglianza del Dio comunità interpersonale. Occorre superare l’idea che solo alcuni nella Chiesa sono “chiamati” da Dio, che solo ad alcuni è richiesto di seguire Cristo e il suo Vangelo, che solo ad alcuni spetta il compito della missione. A partire da una Chiesa che si mette interamente alla sequela Christi, nell’ascolto della Parola, nella conversione progressiva, nel servizio disinteressato, nella disponibilità alla missione, si può sicuramente sperare nella nascita di nuove vocazioni per l’edificazione della Chiesa e la trasformazione della realtà sociale.
3) Fare progressivamente della parrocchia una comunità che sia espressione del triplice munus – sacerdotale, profetico e regale – attraverso la promozione di una ministerialità multiforme del laicato, detentore di ministeri “di fatto” molteplici e variegati. È tempo che il laicato si riappropri dei doni che lo Spirito gli ha elargito con il battesimo e con la confermazione: sacramenti che lo hanno reso partecipe della stessa missione salvifica del Signore Gesù. Ogni battezzato deve pertanto essere messo in condizioni, dalla parrocchia, di scoprire i suoi carismi e i suoi ministeri allo scopo di esercitarli per il bene comune (cfr. 1 Cor 12,7).
Verso una maggiore coscienza vocazionale
È sulla base di questi presupposti che è possibile realizzare all’interno della parrocchia l’ambiente e il clima adatti a favorire nel chiamato una maggiore coscienza vocazionale, un più serio cammino formativo, un più costante impegno di servizio nei diversi settori della pastorale parrocchiale. Una parrocchia, che nell’edificare se stessa tiene conto di tali presupposti, diviene necessariamente una comunità vocazionale, una comunità cioè che si rende veicolo della chiamata di Dio per ogni battezzato.
Alla formazione di tale comunità parrocchiale contribuiscono elementi diversi. Provo ad elencarne alcuni che – oltre a quelli essenziali legati alla Parola (Annuncio), all’Eucaristia (Liturgia e Sacramenti) e alla Carità (in comunione con il Vescovo) – mi sembrano indispensabili e urgenti.
1. Ri-concepire la parrocchia come soggetto portante della nuova evangelizzazione e della nuova promozione umana.
2. Scegliere l’immagine di Chiesa da realizzare, prima ancora di avventurarsi a organizzare la pastorale concreta (immagine che non può non essere quella propostaci dal Concilio Ecumenico Vaticano II e ovviamente fatta propria dal Piano diocesano).
3. Aprirsi – senza remore né tentennamenti – all’apporto ineliminabile del laicato da intendere e accettare non come semplice elemento subalterno da incaricare in alcuni particolari momenti, ma come collaboratore assiduo e responsabile.
4. Uscire con coraggio dal tunnel della sacramentalizzazione e dalla bambagia del cultualismo e del devozionismo per approdare alla strada, alla piazza, alla casa, alla vita dell’uomo d’oggi.
5. Scegliere un progetto pastorale – tra i tanti che oggi fortunatamente circolano con buoni risultati in seno alla Chiesa italiana – di cui fidarsi e a cui affidarsi per procedere con scadenze e tappe di verifica e di costante ripresa; progetto pastorale in sintonia con le linee portanti e gli orientamenti del “Piano pastorale” del Vescovo locale.
Ciò presuppone ovviamente una figura di parroco che sia all’altezza della situazione: non un leader che monopolizza e accentra tutti i ministeri, ma un pastore che crede nel decentramento ministeriale, nella valorizzazione di tutti, nella complementarità dei ruoli e dei servizi di ciascuno. Il prete, infatti, non è chiamato ad esercitare tutti i ministeri, accentrandoli sulla sua persona. Non è chiamato ad avere per sé il “monopolio di tutto”, trasformandosi in una sorta di “factotum” unico e insostituibile, fin quasi a togliere ogni spazio di libertà e di creatività agli altri. È urgente, invece, che egli si riscopra servitore dell’unità, punto di riferimento, garante della comunità, armonizzatore dei ministeri. Il parroco, come del resto il clero in genere – per usare un’espressione molto significativa e incisiva dei Vescovi italiani – non ha la “sintesi dei ministeri” ma semmai ha il “ministero della sintesi” all’interno della comunità parrocchiale, sulla scia dello stesso ruolo che spetta al Vescovo nella Chiesa diocesana[1].
Servizi e ministeri: vie alla scoperta vocazionale
Una parrocchia aperta e attenta alla dimensione vocazionale non può fare a meno, inoltre, di favorire l’espressione di concreti e multiformi servizi socio-pastorali, in risposta ai molteplici “bisogni” che emergono al suo interno e a quelli che accompagnano la vita del popolo ad essa affidato[2]. Il servizio nasce dal bisogno. Il bisogno, pertanto, è il padrone del servizio. Quanto più una parrocchia è attenta alle esigenze del suo territorio, tanto più suscita nelle persone la disponibilità a rispondere a queste esigenze e a mettersi in servizio di esse. Si apre qui una variegata gamma di possibilità per la parrocchia che può stimolare la nascita di diversi “gruppi di servizio” (pre-evangelizzazione, evangelizzazione, catechesi, liturgia, preparazione ai sacramenti, animazione della pastorale giovanile, della pastorale sociale e culturale, stampa, caritas, osservatorio socio-politico, ecc.) in risposta alle attese e alle urgenze emergenti. È bene che la parrocchia educhi al servizio “comunitario” e non alla soddisfazione di richieste individualistiche. Il lavoro in équipe degli stessi organismi di partecipazione (consigli pastorali, commissioni di studio, assemblee parrocchiali, agenzie socio-pastorali…) diventa occasione di crescita comunitaria, di conversione evangelica, di forte esperienza di Chiesa.
Lo stesso dicasi per il volontariato che può essere suscitato a partire dalle richieste degli “ultimi” e dei più poveri presenti nel territorio parrocchiale. A questo scopo molto fanno e danno anche a livello vocazionale le case-famiglia, le comunità alloggio, i centri di ascolto, le caritas parrocchiali, la Misericordia, ecc. Tutta la pastorale deve essere intesa come “atto di Chiesa” e quindi deve essere esercitata non sullo stile dei “battitori liberi” o “navigatori solitari”, ma a livello fortemente comunitario.
Sono queste alcune tra le tante vie privilegiate attraverso cui si realizza un’autentica ricerca vocazionale, fino a divenire coscienza e risposta a Dio che chiama in mille modi diversi, servendosi delle esperienze più varie; ma privilegiando sempre quelle strade che passano attraverso l’uomo e l’attenzione ai suoi bisogni. Non può, infatti, una vocazione maturare in un clima di passività, di disimpegno, o di “imborghesimento spirituale”. Tanti gruppi – giovanili e no – purtroppo rischiano spesso di trasformarsi in “tombe” della fede, quando sacrificano al loro narcisistico gusto di stare insieme, la dimensione diaconale e missionaria della Chiesa. Lo stare insieme, nella Chiesa, non è fine a se stesso, ma è il presupposto dell’ascolto della chiamata di Dio ad essere “con” gli altri e “per” gli altri. Solo così l’esperienza del gruppo e della comunità diventano “seno materno” e “culla” dove nasce e cresce la tensione insopprimibile a servire l’uomo dai mille volti: del bambino, del ragazzo, del giovane che si accostano alla fede, del portatore di handicap, dell’anziano, del nomade, del disoccupato, dello straniero che chiedono giustizia, attenzione, solidarietà e condivisione[3].
La parrocchia deve divenire gradualmente il luogo dove ogni battezzato possa essere aiutato a scoprire i carismi che lo Spirito gli ha affidato e a metterli a servizio dell’intera compagine popolare. Tutti coloro che hanno maturato la loro risposta vocazionale in parrocchia – chi più chi meno, chi in un modo chi in un altro – hanno avuto sempre alle spalle una forte esperienza di comunione fraterna e di servizio gratuito e disinteressato. È il clima di fraternità e l’esercizio della ministerialità, infatti, che rendono sensibile e attento il cuore dell’uomo, capace di discernere e decifrare i segni della chiamata di Dio, disponibile a lasciarsi raggiungere e afferrare dalla proposta del dono totale di sé.
Strumenti per la ricerca vocazionale
Tutta la pastorale parrocchiale, pertanto, dovrebbe essere imbevuta di humus e di ètos vocazionale. Così come gli organismi e i soggetti che la pensano, la progettano e la attuano. Il Consiglio Pastorale Parrocchiale, in particolare, deve offrire il suo servizio alla parrocchia dentro l’ottica vocazionale se non vuole che la sua azione pastorale cada nel vuoto: si tratta di una conditio sine qua non non solo per l’agire (la funzione) ma anche per l’essere (l’identità) di ogni autentica comunità ecclesiale parrocchiale. Vocazione, con-vocazione e missione sono termini correlati, interagenti, insostituibilmente complementari.
Al parroco, guida e centro di unità del CPP, spetta il compito di suscitare tutte quelle occasioni che possano favorire e veicolare la coscienza vocazionale della Chiesa, sia attraverso la preghiera, sia attraverso la riflessione teologica, sia attraverso proposte di servizio gratuito. Varie possono essere le occasioni da portare avanti: ritiri spirituali, esperienze di deserto, veglie di preghiera, meditazioni bibliche, adorazione eucaristica, riflessioni sulla teologia e l’ecclesiologia conciliare (alcune parrocchie stanno aprendo studi popolari denominati “Scuola del Concilio”, campi di lavoro, esperienze forti estive con portatori di handicap, incontri con “testimoni” della carità e con espressioni di particolari scelte vocazionali, ecc.
Sono tutte occasioni e strumenti insostituibili e preziosi di cui la parrocchia non può fare a meno se vuole divenire fucina di vocazioni, palestra dove potersi allenare a rispondere alla chiamata, laboratorio sperimentale del dono di sé agli altri. Ci auguriamo che la parrocchia contemporanea non sprechi questa possibilità perché nel sentirsi madre di nuove vocazioni, ritrovi la freschezza della sua stessa vocazione e la passione sempre nuova di seguire Cristo e annunciarlo risorto e vivo per le strade del suo territorio.
Note
[1] Cfr. CEI, Evangelizzazione e ministeri, n. 54.
[2] Cfr. CEI, Comunione e comunità, n. 44.
[3] È quanto ci raccomanda, tra l’altro, il Piano pastorale della CEI per gli anni ‘90