N.02
Marzo/Aprile 1997

Il parroco animatore di animatori vocazionali nella comunità cristiana

Prima di offrire alcune piste di lavoro, credo sia opportuno, per meglio comprendere il quadro dentro cui vogliamo muoverci, rispondere alla domanda che ispira questo contributo: perché porre l’attenzione sugli animatori? Lo scollamento che vediamo allargarsi sempre più tra i pronunciamenti del Magistero, pur così validi, e una realtà, qual’è quella delle nostre comunità che arranca sulla strada che le viene indicata, non può lasciarci indifferenti.

Questo allarme è stato autorevolmente lanciato nel Convegno Ecclesiale di Palermo dal prof. Franco Garelli che così affermava: “A fronte di un Magistero fortemente impegnato nell’offrire norme e indicazioni in molti campi della vita sociale e religiosa (a livello dei costumi, delle scelte politiche, dell’espressione religiosa), si è registrato un debole confronto interno alle varie comunità ecclesiali, da parte di quei laici che sono chiamati a vivere l’identità religiosa nelle ordinarie condizioni di esistenza. Su molte questioni decisive a livello di fede, di costumi, di scelte sociali e politiche si è sovente prodotto nelle comunità ecclesiali una pratica del silenzio, un grande freddo, per evitare che il confronto e la dialettica interna mettessero in discussione la comune matrice religiosa”[1].

Siamo chiamati, pertanto, a verificare che tipo di ricaduta hanno avuto nelle nostre comunità, per soffermarci solo alla Pastorale Vocazionale, il Piano Pastorale per le Vocazioni in Italia, le indicazioni autorevoli del Papa contenute nelle tre Esortazioni post-sinodali (Christifideles Laici, Pastores dabo vobis, Vita Consecrata) e le numerose Lettere Pastorali dei nostri Vescovi che affrontano direttamente questo problema.

Se non si vuole continuare a produrre ottimi documenti, destinati solo ad una superficiale lettura per poi essere accantonati, e continuare a vivere in comunità che si trascinano affannosamente, cercando una boccata d’ossigeno in qualche sporadica iniziativa, è indispensabile individuare quei gangli vitali della pastorale e focalizzare su di essi la nostra attenzione, perché facciano da cinghia di trasmissione e permettano ai Piani Pastorali di camminare e alle nostre comunità di vivere.

Ed ecco il significato di questo contributo: puntare decisamente sugli educatori nella fede, perché all’interno della comunità diventino, con l’aiuto del parroco, animatori vocazionali. Infatti, parrocchia, parroco e animatori, a mio modesto avviso, sono i tre punti cardini, intimamente correlati tra loro, che possono permettere alla dimensione vocazionale di diventare l’anima di tutta la pastorale ordinaria.

 

La parrocchia luogo privilegiato di annuncio vocazionale

La parrocchia, data per spacciata in un recente passato, viene oggi riscoperta come cellula vitale capace di creare rapporti interpersonali e di offrire luoghi educativi. Sempre Garelli, in quella ampia analisi proposta a Palermo sulla vita della Chiesa in Italia, ebbe a dire: “L’attenzione è all’insieme della vita della gente, come si raggiunge, almeno intenzionalmente, nelle parrocchie, al di là dei progetti avanzati che informano alcuni movimenti. La pastorale ordinaria sarebbe dunque il luogo di attuazione concreta di questo progetto culturale, ed essa dovrebbe giovarsi di un continuo scambio con la cultura alta, con l’elaborazione dei centri di ricerca, col cammino dei movimenti e delle associazioni”[2]. E ancora: “Il richiamo è innanzitutto al linguaggio della comunicazione diretta e interpersonale. Vari documenti pervenuti dalle Chiese locali o dalle associazioni sottolineano la necessità di ripartire dai rapporti interpersonali, di ricostruire un tessuto sociale e ambientale, di ricreare delle aggregazioni di vicinato e i legami tra la gente. C’è grande bisogno di comunità, di ritrovare delle appartenenze, dei luoghi in cui riconoscere ed essere riconosciuti, degli ambienti, in cui si possa essere protagonisti e condividere affetti e relazioni. E ciò quanto più la società è anonima e spersonalizzante e l’uomo d’oggi è pendolare tra diversi ambienti, quanto più con gli ipermercati si riducono le micro-relazioni sul territorio e le grandi discoteche sottraggono i giovani alla comunità, quanto più si vive in mondi virtuali e si comunica attraverso le reti telematiche; e così via”[3].

Anche il P.P.V. sottolinea l’importanza della parrocchia nella Pastorale Vocazionale[4].

Ma in quante parrocchie la dimensione vocazionale è presente nella pastorale ordinaria? Non possiamo ignorare che vi sia una grande differenza tra le parrocchie: se quelle presenti nelle città, ricche di gruppi, movimenti e associazioni, si prefiggono itinerari di crescita nella fede differenziati per età, e, per questo, rivelano una certa vitalità diventando anche all’interno dei quartieri dei punti di riferimento; le parrocchie dei piccoli paesi, a volte, pur con grandi sforzi, riescono solo a proporre una pastorale di tipo tradizionale. Ma nell’uno e nell’altro caso, anche se per motivi totalmente differenti, la dimensione vocazionale non sempre riesce ad emergere nella pastorale ordinaria. Le parrocchie delle città risentono del ritmo frenetico della società d’oggi e rischiano, il più delle volte, di dimenticarsi delle persone, lasciandosi travolgere dalle tante iniziative; quelle dei paesi, al contrario, pur potendo contare su una facilità di rapporti interpersonali, non avendo forza propositiva, non riescono ad incidere fortemente nella vita della gente.

In questo contesto, il primo contributo che la pastorale vocazionale vuole dare a tutte le parrocchie è quello di sollecitarle perché la loro pastorale sia sempre più “pastorale dell’incontro”[5]: incontro con Cristo e incontro con le persone. Lì dove non si realizzerà questo incontro, non sarà solo la dimensione vocazionale a fame le spese, ma la vita stessa della comunità.

 

Urgenza degli animatori di gruppi

È decisamente tramontata l’epoca del prete “factotum”; è, pertanto, indispensabile fare delle scelte strategiche. E, alla luce anche degli ultimi avvenimenti di cronaca, si ripropone oggi con urgenza, nella società e nella chiesa, la scelta educativa[6].

Occorre, perciò, puntare con tutte le proprie energie sulla figura di animatori che mentre assicurino una certa vitalità alla parrocchia non le facciano mancare l’attenzione alle singole persone. Solo in questo modo le parrocchie potranno diventare comunità educanti e terreno fertile per il fiorire di tutte le vocazioni. Ma non è sufficiente che un animatore guidi un gruppo per essere di fatto animatore vocazionale. Ci sono delle attenzioni che non vanno assolutamente trascurate. Ed è compito prioritario del parroco verificare e garantire negli animatori la presenza di questi requisiti.

Cosa fare, allora, perché gli educatori nella fede siano animatori vocazionali?

Innanzitutto è necessario aiutarli a riscoprire e a vivere fedelmente la loro personale vocazione[7]. Sappiamo bene che l’annuncio vocazionale diventa tanto più incisivo se è accompagnato dalla testimonianza della vita. Perché ciò avvenga non è necessario che gli animatori siano necessariamente preti, suore o seminaristi…; ciò che fa breccia nell’animo del giovane è la loro testimonianza di vita, qualsiasi sia la loro vocazione. Molte vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata sono germogliate nelle nostre parrocchie anche grazie alla testimonianza di laici e laiche, che hanno vissuto con passione e gioia la loro adesione a Cristo.

L’animatore sarà animatore vocazionale innanzitutto nella misura in cui si presenterà ai giovani come esempio di una vocazione “riuscita”. Ciò obbliga i parroci ad interrogarsi sui criteri che li ispirano nello scegliere gli animatori. È sufficiente che siano generosi, abbiano qualche titolo di studio, siano presenti alla vita della comunità… oppure si richiede qualcos’altro? Non possiamo nasconderci il fatto che le tante urgenze, sollecitano le guide della comunità a preoccuparsi più di trovare chi possa dare immediatamente una risposta ai vari bisogni che di verificare se esistano nelle persone individuate le condizioni che le rendono adatte per quel servizio.

Casalinghe, che vogliono “evadere” dalla casa, sposi con alle spalle dei matrimoni poco riusciti, universitari perennemente “fuori corso”.. che incisività potranno avere non solo nel proporre l’annuncio vocazionale, ma anche solo nell’educare alla fede? Il parroco dovrà stare continuamente in guardia da una tentazione non tanto peregrina: quella di limitarsi a “chiedere prestazioni” ai laici, senza preoccuparsi eccessivamente del loro cammino di fede. Dovrà, invece, non solo con opportuni incontri, ma soprattutto nel dialogo personale e nella preghiera, accompagnare, sostenere, incoraggiare tutti gli educatori nella fede (genitori, catechisti; animatori…) perché vivano con fedeltà la loro personale vocazione[8].

Si tratta di investire tempo e risorse per la formazione personale degli operatori, evitando di pensare che il tempo dedicato a loro sia tempo “rubato” alla comunità. Certo, se dovessimo attendere l’arrivo di “perfetti cristiani” per avere degli educatori, forse dovremmo sospendere per qualche anno le nostre attività. Nel frattempo, però, qualcosa si può fare, per non lasciare che le cose vadano così o peggiorino.

 

Formare i formatori!

Questo non può essere solo uno slogan, presente in molti degli ultimi Documenti, deve diventare una scelta coraggiosa delle nostre comunità! Gli educatori non si improvvisano, né nascono come funghi, bisogna prepararli[9]. Per questo è indispensabile investire tutte le risorse per formarli opportunamente: meglio attendere un anno anziché mandare allo sbaraglio persone che spinte dalla generosità si offriranno immediatamente, ma poi, sentendosi schiacciate dalle loro responsabilità, abbandoneranno tutto, a volte, anche la fede.

Per questo il parroco offrirà ai genitori, ai catechisti e agli animatori tutti quegli aiuti e quei mezzi necessari, perché siano capaci di annunciare con coraggio e proporre con fiducia “il vangelo della vocazione”.

La formazione degli educatori non può essere impegno a carico delle singole comunità: riuscirebbero in questo intento solo quelle più “ricche”. In molte diocesi si vanno istituendo “scuole per educatori”, a livello diocesano o vicariale. Perché non valorizzare queste opportunità e lì dove non esistono ancora, crearle, perché i laici si possano adeguatamente preparare? Ci si lascerà vincere dal campanilismo, dalla gelosia, o dalla paura di rivelare le proprie povertà, continuando ad arrangiarsi come meglio si può?

Il parroco, rispettando i carismi particolari delle persone, potrà invitare alcuni, prima di impegnarsi direttamente nella pastorale, a partecipare a questi corsi di formazione. All’inizio si avrà, forse, l’impressione che si stiano perdendo delle risorse; si sta, invece, solo investendo per il futuro, delle persone e della comunità. Animatori che abbiano le dovute competenze e una forte carica spirituale saranno necessariamente dei punti di riferimento nella comunità e l’aiuteranno a crescere nel modo migliore.

Tra questi “investimenti” da fare si dovrà tener presente anche la possibilità che qualcuno tra gli educatori della parrocchia partecipi agli incontri di formazione del CDV, per diventare “animatore vocazionale parrocchiale” e tenere sempre viva all’interno della comunità l’attenzione alla dimensione vocazionale. Ricordiamolo, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che nella vita della Chiesa non esiste solo la catechesi, la liturgia e la carità!

 

Contaminazione cognitiva

Un’altra attenzione che il parroco dovrà avere, non solo nei riguardi degli educatori, ma di tutti gli operatori pastorali, in modo particolare nei confronti del Consiglio Pastorale Parrocchiale, sarà quella di creare le condizioni perché avvenga ciò che Garelli a Palermo chiamava la “contaminazione cognitiva” e che così spiegava: “Perché avvenga il disgelo e la ripresa del dialogo non è sufficiente ricercare un’unità sul progetto culturale; mirare a larghe convergenze (non soltanto sui principi), operare un confronto serrato sul modo di tradurre l’identità religiosa nel tempo presente. Occorre anche un moto dell’animo, una mozione di affetti. Occorre, in altri termini; che – reciprocamente – ci si stimi di più, ci si voglia più bene. È questa una condizione previa perché si inneschi una ‘contaminazione cognitiva’ tra le varie realtà dell’associazionismo ecclesiale, tra le diverse componenti della Chiesa. Si tratta di aprire una breccia tra gli steccati, che si delinea quando i vicini si sporgono oltre le differenze, si parlano, si frequentano, si annusano”[10].

È indispensabile, perciò, aiutare tutta quanta la comunità a riscoprire e vivere la Chiesa come “mistero di comunione” Nessuno proporrà mai una determinata vocazione ai giovani se egli per primo, e tutta quanta la comunità, non la stima abbastanza, e qualora lo facesse, trasparirebbe, comunque una certa freddezza che sarebbe certamente captata dai giovani, portandoli a prendere le debite distanze da quella vocazione.

È questo, forse, il lavoro più faticoso per un parroco, ma anche il suo ministero specifico[11]: creare le occasioni di incontro, di confronto, di lavoro, in un clima di stima e di fiducia reciproca tra le diverse persone presenti nella comunità, cercando di valorizzare ed evidenziare la ricchezza delle singole vocazioni. In una parola, essere a servizio della comunione! È progettando, confrontandosi e lavorando insieme, nella stima e nell’amicizia, che sacerdoti, consacrati e laici creano quelle condizioni perché l’annuncio delle vocazioni trovi un terreno fertile nella comunità.

 

Proporre scelte forti e coraggiose

Insieme con il Consiglio Parrocchiale, il parroco innanzitutto solleciterà gli educatori nella fede perché siano attenti a non far mai mancare negli itinerari educativi tutte quelle “condizioni umane” necessarie perché la vocazione sia accolta e vissuta con fedeltà[12]. Infine, li stimolerà e li sosterrà perché propongano ai giovani scelte coraggiose[13], non abbassando mai la qualità e le esigenze dell’intervento educativo, soprattutto nei momenti di insuccesso[14].

 

 

 

 

Note

[1] Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia. Testi fondamentali del Convegno e Nota pastorale dei Vescovi. LEV, Roma, 1996, pp. 46-47.

[2] Ibidem, p. 43.

[3] Ibidem, p. 49.

[4] “La vocazione e la missione della Chiesa particolare si esprimono soprattutto nella comunità parrocchiale. Essa è luogo privilegiato di annuncio vocazionale e comunità mediatrice di chiamata attraverso ciò che ha di più originale e caratterizzante: la proclamazione della Parola che chiama, la celebrazione dei segni della salvezza che comunicano la vita, la testimonianza della carità e il servizio ministeriale” (26).

[5] Cfr. PdV, 38.

[6] “Un ulteriore linguaggio tipico della Chiesa riguarda poi il discorso educativo, l’urgenza della formazione, in un tempo – come si è detto – in cui c’è molto disorientamento, in cui vengono meno i punti di riferimento tradizionali, in cui si è esposti al fascino di modelli appariscenti e consumistici. Occorre in questo caso recuperare quel patrimonio di valori e di esperienze, tipico del mondo cattolico, rappresentato dall’impegno educativo” (Garelli, in o.c. p. 53).

[7] “Catechisti, insegnanti, educatori, animatori laici della pastorale giovanile e vocazionale hanno una primaria importanza per le vocazioni. Quanto più essi approfondiscono il senso della propria vocazione e missione nella Chiesa, tanto più riconoscono il valore e la necessità dei ministeri ordinati e della vita consacrata” (P.P.V., 37).

[8] “I credenti laici… sanno oggi di avere una vocazione specifica, ma avvertono l’urgenza di vere guide della comunità di grandi figure dello spirito, di persone la cui sapienza e la cui capacità di discernimento li richiamino ad orizzonti impensati” (Garelli, in o.c. p. 48).

[9] “Formare i formatori, per i nuovi tempi e le nuove esigenze che la Chiesa si trova a dover affrontare; è un’evidente necessità pastorale” (ETC, 45).

[10] Ibidem, p. 47.

[11] “Nella consapevolezza della profonda comunione che lo lega ai fedeli laici e religiosi, il sacerdote compirà ogni sforzo per suscitare e sviluppare la corresponsabilità nella comune e unica missione di salvezza, con la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito offre ai credenti per l’edificazione della Chiesa” (Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita del presbitero, 30).

[12] “L’attenzione ai contenuti e alle proposte esplicite di fede – Parola, catechesi, liturgia – è fondamentale. Ma è importante anche formare quelle disposizioni d’animo, quelle condizioni umane, che aprono ad una prospettiva religiosa. Si tratta, in altri termini, di educare al senso e al rischio, alla dimensione del mistero, alla prospettiva del processo e del cammino spirituale, all’apertura, alla novità e alla ricerca, all’esigenza di essere ‘interi’ al senso del progetto e della comunità, ecc.: tutti aspetti che costituiscono le basi umane di un’esperienza religiosa” (Ibidem, p. 55).

[13] “Occorre puntare su proposte essenziali e forti, coinvolgenti; che non chiudano i giovani in prospettive di compromesso e nei loro mondi esclusivi, ma li aprano alla più vasta comunità della chiesa, della società e della mondialità” (ETC, 45).

[14] “Ciò significa la capacità di interpellare i giovani a grandi mete, a obiettivi importanti, per evitare che essi perdano la speranza, o si riducano progressivamente le attese, o siano costretti a ricercare autonomamente – senza stimoli esterni – ciò che la comunità non è stata in grado loro di proporre” (Ibidem, p. 54).