N.03
Maggio/Giugno 1997

L’animatore vocazionale come “comunicatore” in una comunità cristiana fatta per comunicare

Siamo animatori vocazionali che si pongono alcuni interrogativi e per i quali cercano alcune risposte con la specifica angolatura dell’animazione vocazionale che diventa comunicazione.

 

 

Animatori Vocazionali

Con ciò che ci precede, ci accompagna e ci spinge. Riscopriamoci di continuo per quello che siamo per poter scoprire ciò che siamo chiamati a fare: siamo gente innamorata! Di Dio, della storia, dell’uomo, delle nuove generazioni: nella Chiesa e con la Chiesa. E così eviteremo subito la facile tentazione di ridurre l’approccio alla tematica, alle nuove strategie di reclutamento che si ritengono necessarie per ottenere lo scopo di “avere vocazioni”. Purezza di cuore, innanzitutto, nell’avere una precisa identità di quello che siamo e dello stile con cui siamo chiamati ad esserlo: “dalla paura all’amore”, vuol dire che l’obiettivo che ci proponiamo è essere servi di una storia di amore che ci precede, ci coinvolge, ci dona. Un amore che era prima, per il quale siamo, che chiamando rivela e rivelando salva… e, chiamando, alla fine, chiude le trasmissioni terrene.

C’è già un’emittente. C’è già un ricevente. E questo ricevente ha bisogno di essere intercettato, di ricevere appunto la buona notizia, la chiamata che, a partire da questo unico emittente, dà senso alla vita.

La “vocazione” è il contenuto. Noi siamo “animatori” del mezzo, non mezzi. Noi siamo meccanici, aggiustatori, alimento che fa funzionare il mezzo: la comunità cristiana è “mezzo”, nella quale, per la quale e a partire dalla quale prende vita il nostro ruolo. Il diritto-dovere del ricevente e la passione travolgente dell’emittente ci rendono “comunicatori”. Senza l’annuncio vocazionale la persona è costretta a vivere al di sotto delle sue possibilità. Non saprà mai chi è, che senso ha la sua vita, che senso ha la sua morte.

“Tu sei mio figlio!” “tu sei l’amato!”dà al ricevente un’immagine di sé, nella vita, che rende la vita degna di essere vissuta. Altrimenti si scopre nudo, cattivo, omicida, condannato! D’altra parte la passione travolgente dell’emittente fonda e sostiene lo zelo del servo, dell’araldo, del comunicatore. Perché l’emittente – nella prospettiva di noi animatori vocazionali – appare come un papà che non può dire a suo figlio quale è il suo bene, per il fatto stesso di essere il suo papà: l’emittente – per nostra fortuna – è sempre “trasmittente” oltre che “trasmittente”: cerca ripetitori, cerca sintonizzatori e li crea lui stesso…

Un diritto-dovere che dura tutta una vita e che reclama la compagnia di una animazione/comunicazione che sottragga di continuo dal rischio di essere invasi dalle sirene e finire sfracellati sugli scogli della carne dimenticando chi siamo, dove siamo chiamati ad andare, da dove veniamo e perché un cammino. La comunità cristiana è lo strumento attraverso il quale l’emittente si tiene in sintonia col ricevente anche se la macchina muovendosi può perdere la sintonia. Si lavora in isofrequenza. Sia per i contenuti (vita ecc.), sia per tappe (età, stadi di ricerca e maturazione vocazionale…), tenendo sempre accesa l’emittente (una vita immersa nella preghiera) sia aggiustando di continuo la sintonia quando ci si accorge che è necessario (esempio classico: l’adolescenza… esempio classico: tra percezione e decisione…).

Da ciò deriva la necessità di una comunità cristiana che svolge il suo servizio nella comunicazione innanzitutto vivendo una autentica vita di preghiera e da ciò una comunità cristiana che sappia di continuo aggiustare la sua capacità di comunicare perché di continuo alimentata nella sua capacità di amare (in questo la comunicazione trova un punto di riferimento essenziale…).

L’animatore vocazionale, dentro la comunità cristiana, cerca ogni mezzo per:

1. far crescere questa passione educativa e missionaria che dà al cuore dell’emittente le gambe per giungere al ricevente; 

2. sostenere in ciascuno la capacità di comunicare con la certezza di farsi capire entrando nelle vie della pastorale ordinaria: famiglie, catechisti, sacerdoti… avendo ben chiaro che senza la preghiera è come pretendere di ascoltare una radio spenta e senza aggiustare la sintonia è come pretendere di sentirla in galleria; 

3. per aiutare a capire bene il messaggio vocazionale che l’emittente vuol far giungere al ricevente perché non accada come nel gioco del “passa parola” quando una frase parte in un modo e arriva con tutt’altro significato…

 

 

Ci siamo posti alcuni interrogativi

 

Che nascono da alcune constatazioni

– Quel naturale e sereno dialogo tra emittente e ricevente che poteva contare su contenuti e strumenti assai semplici, in quella cultura cosiddetta “cristiana” nella quale la vocazione consacrata percorreva un sereno e naturale cammino accompagnato da chiare istruzioni, si è interrotto. Prima ha scricchiolato, si è appannato, poi si è interrotto. Perché? Che cosa è accaduto? Che fare per ricreare quel dialogo o addirittura migliorarlo?

Dov’è il baco: nell’emittente, nel ricevente, nei contenuti, negli strumenti?

– Sono state occupate nel frattempo le frequenze sulle quali si poteva contare. E sono state occupate da emittenti che fanno di tutto per farsi ascoltare avendo come unico obiettivo non il dire qualcosa (non hanno in realtà niente da dire perché il ricevente è visto come strumento e non come fine per raggiungere obiettivi che vanno al di là del ricevente e cioè – concretamente – l’emittente stesso…) bensì occupare sempre di più lo spazio della decisione partendo dall’emozione (cultura dei bisogni indotti costruita sulla e dalla televisione commerciale).

– Non sembra possibile, salvo rare eccezioni, poter considerare tali emittenti “contattabili”(la loro logica è l’audience che consenta una crescente raccolta di risorse dalla pubblicità e quindi non si preoccupano di trasmettere il vero, il buono, il giusto, l’utile alla persona ma ciò che, assecondando l’emozione, rivolgendosi ai bisogni più immediati e in qualche modo edonistici riesce a sfondare il video ad essere guardato…) né tanto meno far ad esse concorrenza a partire dall’idea di poter gridare più forte o di trasmettere emozioni altrettanto stimolanti…

– La nostra capacità di comunicare deve fare i conti con il nuovo modo di essere dei recettori.

 

Che ci tolgono il sonno

Perché la parola di Dio e l’esperienza della Chiesa ci inchiodano alla certezza che alla fine la nostra salvezza eterna è legata drammaticamente a quelle parole: “vieni servo buono e fedele”. Servo di che cosa? Buono perché? Fedele a chi?

È chiaro, servo di una storia d’amore. Servo di un Dio che si comunica, si rivela, chiama. Buono perché pieno di zelo, di intelligenza, di intraprendenza nel tuo modo di servire. Consapevole ogni giorno che l’aspirazione più grande del servo è realizzare le attese del padrone. Fedele perché costante. Costante e deciso nel permettere alla Chiesa di poter contare su di te nel realizzare la missione che le affida ogni giorno il suo Signore.

Questa tensione divina è testimoniata in modo inequivocabile dal fatto che dalla Genesi all’Apocalisse tutti i testi sono scanditi da “così dice il Signore” “oracolo del Signore” , “mi fu rivolta la Parola del Signore” ecc.

Nella Bibbia tutto è Parola, dialogo. Dio è Parola. La prova più grande per il credente sono i silenzi di Dio. Il salmo 109 dice giustamente: “Dio della mia lode, non tacere” (v. 1). Il termine “dabar” definisce un movimento dall’interno all’esterno, dal cuore all’espressione, dall’intenzione all’azione. Un movimento che ha un’efficacia. Il dinamismo di questa energia termina con la realizzazione di quello che dice: “come la pioggia e la neve..” (Is 55,10ss). La Parola corre e produce ciò che realizza. La comunicazione divina è efficace. È una Parola liberatrice. È una Parola creatrice. Essa giunge al punto di creare il suo partner nella libertà e nella responsabilità. La fede è ascolto. È risposta. È dialogo. È conoscenza di sé mettendosi dal punto di vista di Dio. È imparare a guardare se stessi secondo il suo cuore. È una Parola che mette a nudo e quando l’uomo alla luce della Parola si scopre nudo ne è sconvolto.

La Parola mi chiede di farmi parola per te. “Dov’è tuo fratello?” Mi chiede, come a Caino. E mi rivela il mio peccato se non posso rispondere o se rispondo: “sono forse io il custode di mio fratello?”. Sì sono io il custode di mio fratello. Non posso vivere illuminato, scaldato, nutrito dalla parola; non posso vivere il mio cammino verso la terra promessa e lasciare che il mio fratello sia travolto dalla furia di satana che di fronte al Grande Comunicatore fa di tutto perché le nostre orecchie non siano attente e specialmente perché ci sia tanto e tale chiasso da impedire alla brezza leggera di giungere prima all’orecchio e poi al cuore…

Il Nuovo Testamento rincara la dose. Gesù è Parola fatta carne. E la sua comunicazione non lascia mai indifferenti. Rifiuta banalità e convenzioni. Coinvolge l’interlocutore in un rapporto in cui vengono radicalmente messe in gioco le proprie scelte gli atteggiamenti e la vita stessa. Ed è una comunicazione che per raggiungere questi obiettivi fissa gli occhi, si fa personale, individuale.

Per noi animatori vocazionali gli sguardi fissi sul giovane ricco, sull’adultera, su Zaccheo, su Giuda… Sono una grande lezione. Prendersi cura del nostro fratello non in maniera generica, massificante, vaga, ma intensamente, personalmente, nel rispetto della singola e personale risposta… E ci toglie il sonno la certezza che dopo aver dato tutto, dopo essersi fatto dono fino al corpo donato e al sangue versato si aspetta che la nostra partecipazione all’esperienza della fede non prenda strade più facili, più comode. La sua è l’unica per tutti coloro che intendono seguirlo.

Se nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici. Se non chi dice Signore Signore entrerà nel Regno ma chi fa la volontà… Se la messe è molta e gli operai sono pochi: pregate dunque… Se questo è vero questi interrogativi generati dalla parola di Dio ci tolgono il sonno ogni volta che rinunciamo per superficialità, pigrizia, intimismo, sentimentalismo, a prenderci a cuore la vita dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze col cuore di Cristo.

D’altra parte figure come S. Giovanni Bosco, S. Filippo Neri, Don Puglisi sono lì a testimoniare che lo stile dell’animatore vocazionale non può che essere quello di chi cerca di comunicare la vita che era presso il Padre che noi abbiamo conosciuto della quale siamo testimoni alle nuove generazioni fino a versare se necessario il proprio sangue.

 

Che ci conducono sul versante della comunicazione

Da due punti di vista complementari ma da non confondere. Fermo restando emittente divino e ricevente umano ci chiediamo:

– La nascita dell’emittenza commerciale, la cultura dei bisogni indotti, la sua spaventosa capacità di coinvolgimento che può contare su geniali invenzioni continuamente alimentate dall’interesse, quali effetti produce su di noi e sui nostri figli? È  tutto contro di noi? La massificazione, l’immagine del consumatore che essa dà ai nostri ragazzi come possiamo completarle, disintossicarle? Quale coscienza critica, quali vie si percorrono nelle nostre comunità rispetto a questo tema così centrale per la nuova comunicazione? Non si potrebbe riprendere il cammino interrotto proprio a partire dal rischio devastante di una vita occupata da tali “emittenti”?

– Come si può pretendere di essere ascoltati se non parliamo la lingua dei nostri figli? La capacità di comunicare in maniera sempre nuova è dono di Dio (non vi preoccupate di quello che direte… sarà lo Spirito che parlerà in voi…). Conoscere i linguaggi divenuti propri di questo nostro tempo significa rivivere con Gesù l’esperienza dell’incarnazione.

 

Alcune risposte si fanno largo

E ci invitano a continuare una ricerca che ci appartiene a tal punto da non poter immaginare che ci siano risposte valide che non siano nate dal nostro continuo, quotidiano, concreto incarnarci con i nostri ragazzi. Se ci aspettiamo ricette che vengano da fuori, resteremo delusi. Le risposte verranno nella pazienza, nella preghiera, nel contatto quotidiano, nella conoscenza profonda e nella grande insuperata storia d’amore che il Signore vuole come prova autentica della nostra fede.

Premesso dunque che l’emittente (per l’animatore vocazionale che vuol crescere come comunicatore) è il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo; il ricevente altro è che la persona umana vista come sua immagine e somiglianza (così l’ha vista Dio prima della creazione del mondo); i contenuti della comunicazione altro non sono che le dimensioni della vocazione in tutta la loro ampiezza e completezza; i media della comunicazione sono la comunità cristiana e noi in essa (da ciò il senso dei media come mezzi e come strumenti…) le risposte che emergono sono essenzialmente queste.

 

Sono pur sempre figli suoi

Pensati, desiderati, amati con uno struggente amore preferenziale. Li sta cercando (Esodo, Maria…) Hanno bisogno di mettersi in contatto con lui (Sal 138). Non vanno idolatrati gli strumenti. Piuttosto è indispensabile vivere l’esperienza del profeta per poter essere buoni mediatori.

 

Scendeva da Gerusalemme a Gerico…

Di fronte, dentro e oltre la cultura dei bisogni indotti che non li ama, non può né vuole amarli per quello che sono e non ha alcun interesse a farli diventare quello che sono perché ha – al contrario – tutto l’interesse a conservarli, nell’immagine del “consumatore” che essi hanno di se stessi come prodotto finale della cultura dei bisogni indotti…

Non passare oltre…Esserci, chinarsi, curare quelle ferite… 

L’incomunicabilità risiede spesso nel fatto che siamo noi a passare oltre. Ma anche “attenzione” per capire che cosa, come perché accade tutto questo. E curarli perché si riprendano (renderli cioè capaci, desiderosi di “comunicare” per non essere travolti dalla massificazione…) e poi continuare a nutrirli di “cammini” (unica cosa che non può né sa dargli la cultura dei bisogni indotti che invece può offrire solo emozioni e creare dei morti viventi…).

 

Ancora tante occasioni

– PAROLA: catechesi, educazione cristiana, il dopo cresima, le scuole della Parola, gli Esercizi spirituali ecc.

– SACRAMENTI: la vita liturgica della comunità, la prima comunione, la cresima.

– CARITÀ: come educazione all’amore e al dono sincero di sé… il servizio come disintossicazione esperienziale dell’immagine del consumatore… scuola del sacrificio, della costanza, della tenacia, del morire come il chicco di grano per portare frutto…

 

Ancora tante mediazioni

La parrocchia, la scuola cattolica, il gruppo… Sopratutto la famiglia che rispetto all’acqua inquinata portata dai canali dei mass-media ha un ruolo decodificante, critico, riqualificante di straordinario vigore. L’animatore vocazionale non può neanche immaginare oggi di poter svolgere un servizio qualsiasi senza aver coinvolto nel suo cammino la famiglia e le sue dinamiche…

 

La concorrenza sleale della santità

È un ripetitore che sovrasta ogni altro.

È la stella polare di chi ha perso il cammino e cerca un punto di riferimento.

È un formidabile altoparlante che amplifica il sussurro e lo rende percettibile.

E l’immagine più nitida possibile di quello che io sono e che io posso diventare.

È un traliccio ancorato alla roccia 

È la città costruita sul monte.

Si manifesta – la santità – nella poliedricità di chi ti accoglie, ti educa, ti cerca, ti insegue, ti consola, ti riprende, ti risponde, ti dà l’esempio, ma ti lascerà sempre libero perché non è padrone della tua vita bensì servo della tua gioia. I mass-media cristiani sono discreti – anche se forti e chiari – perché sei tu che devi sforzarti di sentirli con la tua libertà, con amore, nella fede. Nessuno potrà mai farci concorrenza in questo ma mai noi potremo far concorrenza a chi, per parlare all’uomo, ha bisogno di pensarlo meno uomo di come lo ha pensato, lo vede e lo vuole il suo Dio.