Potenzialità e limiti della nuova cultura massmediale per la pastorale delle vocazioni
Gli studi mediologici sono ormai da tempo concordi nel riconoscere che un cambio epocale nella televisione è avvenuto nel decennio che va dalla metà degli anni ‘70 alla metà degli anni ‘80: anni che hanno visto la nascita e l’affermarsi delle televisioni private e il contemporaneo cambiamento delle logiche e degli obiettivi della televisione pubblica. Si parla, al proposito, del passaggio dalla cosiddetta “paleotelevisione” alla “neotelevisione”: da una televisione strutturata su testi e generi forti, su appuntamenti cadenzati e differenziati, (lunedì il film, martedì l’attualità, giovedì il quiz, ecc.), da una televisione che aveva nel teatro e nello sceneggiato televisivo i paradigmi “alti” di riferimento, a una televisione di flusso, che tende a riempire tutta la giornata e tutta la settimana, che non ha più distinzione di generi (nei programmi-contenitore come “Domenica in” e nei talk-show c’è di tutto, dallo spettacolo al giornalismo, dallo sport al cinema), che privilegia in una programmazione indifferenziata e onnicomprensiva la dimensione del frammento: essa ha nello spot pubblicitario, nel videoclip e nelle sigle televisive le sue forme paradigmatiche. Si è passati, nella programmazione, dalla logica di servizio della televisione delle origini – sorretta in fondo da un progetto culturale, pur con tutti i suoi limiti – a una logica di menu[1] in cui quello che conta è riuscire a soddisfare l’esigenza epidermica del momento.
La televisione di flusso è anche televisione di consumo, da fruire in modo immediato e frammentario, e tutto sommato superficiale, dove non conta più tanto l’intenzione comunicativa di chi “costruisce” un programma, quanto la volontà, o meglio il capriccio, dell’ascoltatore che si costruisce una fruizione fatta da un insieme di frammenti [2].
I giovani e la cultura massmediale
Posto che la pastorale vocazionale è rivolta in modo privilegiato ai giovani, ci sembra utile spendere qualche parola sulle caratteristiche specifiche della televisione pensata per i giovani. Abbiamo oggi – nelle emittenti specificamente giovanili, come Videomusic-Tmc2, Italia 1, Mtv e nei segmenti per i giovani delle reti generaliste – una forte “targetizzazione” del pubblico giovanile, a cui si offre un mondo coerente e abbastanza compatto di stili, di personaggi e di valori di riferimento, in cui non mancano alcuni spunti positivi, come una certa apertura verso problematiche sociali, alcuni buoni sentimenti, la pace, l’ecologia, alcune forme di solidarietà, ecc. Sono “aperture” mentali che la cultura mediale offre anche nelle sue espressioni “generaliste”, quelle rivolte al pubblico più ampio e indifferenziato e che senz’altro sono un aspetto positivo della sua capacità di avvicinare ciò che è lontano, di renderci partecipi dei problemi planetari, di allargare gli orizzonti di riferimento del nostro mondo[3].
D’altra parte, sembra innegabile che le caratteristiche di una programmazione televisiva superficiale e frammentata, sempre pronta a sollecitare l’attenzione e a risvegliare la sensibilità, abbiano non poca influenza su alcune caratteristiche che hanno oggi molti giovani, eterni adolescenti, che non a caso fanno molta fatica a lasciare la casa dei genitori per fondare famiglie nuove: buoni sentimenti, pace, ecologia, ma poca prontezza ad assumersi vere responsabilità, poca capacità di affrontare in prima persona il reale, gli impegni veri, i sacrifici per costruire qualcosa di duraturo. Un giovanilismo, quindi, che ha come risultato quello di proteggere e allungare la condizione pre-adulta, fornendo un habitat di sogni e interessi comodo e piacevole, nonostante vengano alimentate alcune “tensioni” positive. Per dirla in sintesi, un po’ di città dei ragazzi, ma anche molto paese dei balocchi.
In un saggio pubblicato poco tempo fa[4], prendevamo spunto da una riflessione sul videoclip come punto di accumulazione dell’immaginario giovanile: esso denuncia, a parte altre dimensioni estetiche e stilistiche, una forte presenza di esibizione del corpo, soprattutto femminile, anche con dettagli o particolari insistiti, con una suggestione assai spesso incentrata sul rapporto sessuale – per lo più invocato ma continuamente rimandato – o comunque su un rapporto di coppia di tipo romantico-sentimentale, che non ha quasi mai niente a che vedere con dimensioni di realizzazione familiare, che invece ne dovrebbero essere il normale ambito o esito.
Uno stile comunicativo che tende a frammentare il corpo umano, come altri suoi oggetti di ripresa, in una serie di particolari da evidenziare in modo rapido e continuamente rinnovato, diventa espressione di una comunicazione che sollecita continuamente senza lasciare pensare. Paradossalmente è una comunicazione che alla lunga genera noia, perché a un ritmo così elevato di sollecitazioni – particolarmente quando esse esprimono richiami sessuali continuamente rinnovati – non si può alla fine che assuefarsi, preda di un desiderio continuamente senza oggetto, che a lungo andare genera il tedio, proprio perché svuota la dimensione della volontà, che consiste nel “tendere” motivatamente (razionalmente) a un oggetto che abbia caratteristiche realmente arricchenti.
È curioso come questo tipo di comunicazione mediale corrisponda a caratteristiche che, con il passare degli anni, sembrano sempre più proprie della gioventù dei paesi industrializzati: forte dipendenza dalle circostanze e dalle sollecitazioni del momento, incapacità di sopportare le medie tensioni e di fare progetti, debolezza della volontà, sentimentalismo, noia esistenziale, e – in una parola – immaturità[5].
Se l’unica comunicazione di cui la persona immatura è capace è “spersonalizzata, strumentalizzante e oggettivante”[6], possiamo da parte nostra ipotizzare anche un rovesciamento dell’ordine causale, supponendo con buone ragioni che questo tipo di comunicazione, così caratteristico della televisione contemporanea – che spersonalizza, perché riduce la persona alla sua componente sensibile, strumentalizza, perché la fa diventare o almeno la propone come oggetto di godimento, “oggettivizza”, perché non fa cogliere la dimensione della soggettività dell’altro, ma lo rende semplice oggetto di voyeurismo sentimentale[7] o sensuale – possa creare personalità fortemente immature e incapaci di porsi in dimensioni di relazioni solide e stabili, che mettano in gioco nel modo giusto la soggettività propria e altrui.
Da una parte abbiamo la fruizione frammentata e radicalmente deresponsabilizzante, anche nei confronti del “testo” inteso come unità di senso, testo che richiederebbe invece una lettura se possibile integrale, rispettosa delle dimensioni comunicative da esso predisposte – o almeno una lettura intelligentemente critica, ma comunque non casualmente ludica come la fruizione della televisione di “flusso”. Dall’altra troviamo sul piano dei rapporti personali la non disponibilità, che sembra andarsi facendo sempre più estesa, alla serena assunzione di impegni: l’assuefazione alla comunicazione mediale, con le sue caratteristiche di ripetitività indefinita, di totale disponibilità e la sua illusione di trasparenza sembrano alimentare l’illusione di una dimensione di libertà distaccata da ogni tipo di legame: una libertà disincantata, astratta, illusoria, che si traduce assai facilmente in libertarismo pratico: difesa di una caricatura di libertà intesa solo come assenza di vincoli. Qualsiasi tipo di impegno o di legame – che dalle persone libere e mature è percepito come naturale esito e finale realizzazione della possibilità di autodeterminazione razionale in cui consiste la libertà – è visto invece come minaccia alla totale e astratta disponibilità di sé in cui ci si illude consista la libertà: una disponibilità di sé che in questo modo si traduce in pratica nell’impossibilità di qualsiasi dimensione costruttiva e progettuale dell’esistenza, in quanto ogni dimensione non istantanea e non assoggettata continuamente a una riconferma da parte dell’andirivieni delle sensazioni e dei sentimenti viene inquadrata come una forma di costrizione.
La riduzione del senso del pudore che si osserva nella televisione odierna è un altro elemento che non può mancare di avere effetti negativi sui destinatari della comunicazione. Riduzione della persona dell’altro sesso a oggetto di godimento[8], quindi di nuovo spersonalizzazione, riduzione unilaterale e deviante, ma anche – da parte della persona che perde per se stessa il senso del pudore – perdita del senso della propria intimità e riduzione anche di se stessi a una dimensione non personale[9].
Il fatto è già grave di per sé, ma ci sono ulteriori conseguenze: la perdita del senso del pudore e la conseguente perdita dell’intimità personale tendono a rendere esteriore, superficiale, impersonale ogni tipo di rapporto con altri. La dissoluzione dell’intimità dell’io, che da alcuni è cercata come via di soluzione delle nevrosi e delle angosce, ed è un risultato di chi si fa accalappiare dal consumo sessuale nelle sue varie forme, arriva ad avere assai spesso come esito finale l’ateismo, teorico o pratico: “Se, infatti, si elimina l’intimità personale, non c’è più posto per la relazione con Dio, dato che l’incontro con Lui può aver luogo soltanto nel centro più intimo della persona. Viceversa, chi crede in Dio, scopre la propria intimità e, con essa, il pudore come fatto specificamente umano, e apprende la maniera di curarlo senza paure e senza lacerazioni”[10].
La spiritualità nei media
In questo panorama di cultura massmediale si inseriscono le diverse realizzazioni che – con maggiore o minore impegno e determinazione – intendono trasmettere, attraverso l’audiovisivo, un richiamo spirituale o religioso forte. Questi tentativi devono scontrarsi e superare da una parte la tendenza omogeneizzante che ha la programmazione televisiva verso qualsiasi suo contenuto: una testimonianza di fede, profonda e sincera, si trova magari preceduta e seguita dalle dichiarazioni di una soubrette elevata al ruolo di opinionista o dall’ennesimo spot pubblicitario[11]. D’altra parte c’è anche una certa “difficoltà” naturale, del mezzo televisivo, a far passare ciò che è autenticamente e direttamente spirituale. Poiché per sua natura il soprannaturale non si vede, e il mezzo televisivo si ferma su ciò che si vede e si sente, la trasmissione di contenuti autenticamente spirituali non è mai facile e richiede una forte sensibilità poetica (cioè anche tecnica) e spirituale insieme, che dà le capacità di mediazione e “incarnazione” necessarie a infondere spiritualità in elementi del visibile.
Un breve accenno a quelli che ci sembrano pregi e limiti dell’attuale “progetto Bibbia”, che sta andando in onda su Rai Uno servirà a spiegarci meglio: se da una parte non si può che lodare questo tipo di programmazione, per il fatto che è un notevole “stacco” verso l’alto rispetto alla normale programmazione televisiva, per la sua fedeltà e il rispetto del testo biblico, per l’accuratezza delle sceneggiature, per la giusta sottolineatura di alcune dimensioni fondamentali (il rapporto con Dio, il senso della chiamata personale che Dio rivolge, il valore del perdono), ci sembra che si debba anche rilevare che, almeno in un paio di episodi, i registi non siano pienamente riusciti a dare un contenuto veramente spirituale agli avvenimenti narrati, a trasmettere un senso della sacralità di quanto veniva rappresentato[12].
Questo ci riporta al fatto che la capacità poetica di dare un senso dello spirituale e del sacro al cinema e alla televisione non è legata solo ai contenuti della vicenda: dipende molto anche dalla sensibilità degli autori. A volte questa sensibilità è in autori che per altri versi sono più o meno insufficienti e le cui opere presentano inconvenienti anche forti. Tuttavia questa capacità di dare il senso della sacralità non è sufficiente[13]; la proposta di un audiovisivo in ottica specificamente pastorale deve tener presenti molti fattori e non può accontentarsi solo di alcune dimensioni (profondità di alcuni significati, richiami spirituali, ecc.) se poi mancano altre dimensioni essenziali o sono presenti inconvenienti che – anche solo per quel particolare pubblico a cui si rivolge – possono essere non secondari[14].
In generale pensiamo però che si possa affermare che la televisione e il cinema sono in grado di rendere la spiritualità e la dimensione religiosa soprattutto quando è incarnata attraverso figure umane che la vivono in profondità. Per la televisione è di grande efficacia la testimonianza di persone viventi che possono trasmettere con la loro semplicità e verità la fede e l’amore del prossimo che vivono quotidianamente. Abbiamo casi paradigmatici, come il Papa o madre Teresa, che sono capaci di “bucare” lo schermo televisivo e di raggiungere il cuore dello spettatore con una grande forza e una grande capacità di trasmettere la presenza di Dio[15], ma testimonianze di questo tipo potrebbero e dovrebbero moltiplicarsi. Anche nel cinema e in genere nell’audiovisivo di fiction ciò che sembra più accessibile ed efficace è la proposta della vita di persone che hanno dato una testimonianza di fede e di carità con il loro comportamento: anche qui tuttavia – come dicevamo – dipende molto dalla sensibilità degli autori, del regista, degli attori la possibilità di riuscire a tradurre nel testo funzionale la ricchezza di un’esperienza spirituale[16].
Conclusioni
Senz’altro gli audiovisivi possono essere usati, e molto[17]. Tuttavia il fatto che, da una parte, la pastorale vocazionale debba essere essenzialmente personale e che, dall’altra, la cultura massmediale abbia fra le caratteristiche quelle esposte sopra, non ci devono far dimenticare i suoi limiti. Ci troviamo di fronte a una cultura che sollecita slanci di generosità e favorisce una generica solidarietà, ma che non riesce a formare alla costanza, al sacrificio, al superamento delle difficoltà quotidiane. Ci sembra oggi assai importante per la conoscenza che abbiamo della vita concreta delle famiglie e dei giovani, continuare a insistere molto sulla capacità di disciplinare l’uso del mezzo televisivo , di ridurne la fruizione a tempi molto limitati, scegliendo bene i programmi, con opzioni significative e non banalizzanti[18]. Ma se non si riduce la fruizione televisiva a un ambito di scelta che sia quantitativamente molto ridotta oltre che qualitativamente elevata, le caratteristiche odierne della programmazione danno un elevatissimo rischio di anestetizzazione della vita dello spirito: una confusione di suoni e di rumori in cui chi si vuole far sentire sottovoce, parlando a tu per tu, non ha modo di raggiungere l’anima che lo aspetterebbe e che da Lui dovrebbe ricevere la chiamata che dà senso alla sua vita.
Note
[1] Cfr. G. BETTETINI, Le trasformazioni culturali conseguenti all’innovazione tecnologica nelle comunicazioni, in AA.VV., Etica e trasformazioni tecnologiche, Vita e pensiero, Milano 1987, pp. 93-107.
[2] Sulla crisi della nozione di testo nel “flusso” televisivo, cfr. G. BETTETINI, La frantumazione (e il paradosso) del testo, in Idem, Il segno dell’informatica, Bompiani, Milano 1987, pp. 45-59.
[3] Potenzialità positive per lo sviluppo di una responsabilità sociale giustamente messe in luce da G. COTTIER, Humaine raison, Editions Universitaires, Fribourg 1980; trad. it Etica dell’intelligenza, Vita e pensiero, Milano 1988.
[4] Cfr. G. BETTETINI – A. FUMAGALLI, Mass media, giovani, sessualità, in Pedagogia e vita, n. 5, settembre-ottobre 1995, pp. 31-53, da cui stiamo riprendendo ora varie considerazioni.
[5] Cfr. le acute analisi del problema della maturità personale in A. POLAINO-LORENTE, Amore coniugale e maturità personale. Fattori psicologici e psicopatologici, San Paolo, Milano 1994.
[6] Ibidem, pp. 44-46.
[7] Si pensi a programmi come Amici e Stranamore.
[8] Si vedano le analisi dell’importanza della dimensione del pudore in K. WOJTYLA, Amore e responsabilità, Marietti, Genova 1988, per il quale il pudore è segno e garanzia del carattere sopra-utilitario della persona.
[9] Cfr. G. TORELLÒ, Dalle mura di Gerico, Ares, Milano 1988, pp. 63-64; sul pudore, cfr. tutte le pp. 55-64.
[10] Ibidem, p. 64. E’ in questa linea che dobbiamo cercare le cause di tanto ateismo pratico della gioventù di oggi. E illusorio, e dimostra una visione assai superficiale della profondità della persona, il considerare la sfera sessuale sostanzialmente sganciata dalle dimensioni apparentemente più “alte” della spiritualità e della fede. Così, in pratica, non ci può essere educazione alla fede e vita di fede senza educazione alla purezza e senza retto uso della sessualità nelle sue dimensioni propriamente personalistiche.
[11] Per una breve riflessione sull’influenza del contesto di rete in programmi di tipo religioso, cfr. R. EUGENI – A. FUMAGALLI, La Messa in discorso. Appunti sul rapporto tra celebrazione liturgica e trasmissione televisiva, in Rivista liturgica, LXXXIV (1997), n. 1, pp. 55-72.
[12] Ci riferiamo, per es., alla seconda parte del Mosé, dove gli interventi divini erano presentati senza preparazione, senza attesa, senza un momento di preghiera e di contemplazione che potesse trasmettere un contenuto più propriamente spirituale allo spettatore, che vedeva semplicemente succedersi una serie di eventi “meravigliosi”, ma in un clima impalpabilmente non religioso. Molto meglio – per questa difficoltà che non è facile superare – ci sembra siano riusciti quegli episodi, come Giuseppe, in cui la Provvidenza divina agisce sullo sfondo, ed è tutta la vicenda umana del protagonista ad essere segno del divino.
[13] È il caso per es. di Kieslowski, regista innegabilmente dotato di grande sensibilità spirituale, benché le sue opere non siano certo tutte esemplari nei contenuti proposti. A questo proposito sorprende, per es., la leggerezza con cui viene qualche volta proposto come “esemplare” e programmato anche in alcuni cineforum parrocchiali un autore come Antonioni: il suo ultimo film, Al di là delle nuvole, pur girato con grande sensibilità estetica e un inizio di sensibilità spirituale, presenta episodi di totale immoralità e scene obiettivamente erotiche.
[14] Pensiamo, per es., a un autore profondamente spirituale come Tarkovskij – forse il vertice della cinematografia, da questo punto di vista – i cui film richiedono tuttavia uno spettatore spiritualmente e umanamente già in qualche modo preparato; alcuni di essi sono senz’altro inadatti ad adolescenti, per qualche breve scena che – pur solo “naturalistica” – può turbare un pubblico non maturo distruggendo per tali persone tutto l’apporto positivo che viene dagli altri aspetti del film.
[15] Alcune fra le più belle immagini televisive dei viaggi del Papa sono ora raccolte anche in un cd-rom edito da Mondadori, che ha il titolo del libro Varcare le soglie della speranza.
[16] Un caso senz’altro riuscito è il film su Edith Stein di Marta Meszàros, La settima stanza, ora disponibile in videocassetta per la San Paolofilm. Un esempio invece di film fatto con buone intenzioni ma purtroppo mal riuscito è stato un film biografico di tre – quattro anni fa su Piergiorgio Frassati trasmesso dalla Rai; questo nonostante l’indubbio fascino che in principio avrebbe offerto la figura del giovane Beato.
[17] Cfr., per es., quanto già diceva Paolo VI nella Evangelii nuntiandi, n. 45.
[18] Va inoltre tenuto presente, nella formazione dei giovani, quanto dicevamo sopra sulle patologie della libertà: ci sembra particolarmente importante, oggi, educare all’impegno sereno e motivato, alla maturazione della libertà attraverso la messa in gioco della propria responsabilità.