Il risvolto vocazionale dei grandi pellegrinaggi giovanili verso i santuari d’Europa e del Mondo
In passato la parola pellegrinaggio evocava gruppi di persone di una certa età che si muovevano soprattutto dai paesi per visitare un Santuario, spinti dalla devozione, ma anche dal desiderio di “evadere” un po’ dalla monotonia quotidiana e dal chiuso del proprio ambiente di vita per “vedere” località e persone diverse: oggi questa stessa parola si è arricchita dei colori, dei canti e dell’entusiasmo di tantissimi giovani. A partire dalla Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) celebrata a Santiago (1989), pellegrinaggio vuol dire anche vedere sfilare migliaia e migliaia di giovani che convergono in un luogo particolare per incontrarsi con il Papa e tra di loro.
Infatti, ogni due anni, il Papa riesce a mettere in movimento i giovani da ogni angolo della terra, per farli camminare sulle strade antiche e nuove del pellegrinaggio. Non credo sia necessario spendere molte parole per sottolineare come Giovanni Paolo II, ad iniziare dall’anno Internazionale della Gioventù (1985), stia accompagnando i giovani del mondo a riscoprire la loro fede e a sentirsi “responsabili” del futuro della terra, valorizzando forme antiche e nuove di coinvolgimento dei giovani. “A partire dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Santiago, il pellegrinaggio è diventato un modo intelligente di fare pastorale giovanile”[1].
La sua costante attenzione al mondo giovanile non si è limitata solo ad incontri o ad iniziative straordinarie, ma ha assunto pian piano le caratteristiche sempre più nitide di un vero e proprio progetto di Pastorale Giovanile, ricco di una precisa connotazione vocazionale.
In precedenza[2] ho già avuto modo di far notare che i Messaggi del Papa per la GMG hanno costantemente presente l’annuncio e la proposta vocazionale e che si può addirittura intravedere, nel susseguirsi delle diverse tappe annuali, un preciso itinerario vocazionale da proporre ai giovani. Questo atteggiamento del Papa non può che “costringere” gli educatori ad abbandonare per sempre l’improvvisazione, rischiando di sorvolare su elementi importanti, per pensare in modo organico e sistematico l’educazione dei giovani alla fede.
Il presente contributo vuole portare in primo piano, attraverso una rilettura dell’esperienza del pellegrinaggio dei giovani in occasione della GMG, alcuni valori vocazionali che soggiacciono all’esperienza stessa e che è bene tenere presenti per valorizzarli pienamente qualora si decidesse, nelle diocesi, di proporre ai giovani un’esperienza analoga. Nel formulare queste riflessioni, mi è stato di grande utilità fare riferimento ad una recente Lettera[3] che il Papa ha inviato al card. E. Pironio in occasione di un Convegno tenuto a Czestochowa nel maggio dello scorso anno, al quale hanno partecipato i responsabili della preparazione e dello svolgimento delle GMG già celebrate. Nella Lettera il Papa rivela non solo i motivi che l’hanno spinto a proporre la GMG, ma anche ciò che da essa si attende per i giovani.
Si può anche leggere tra le righe il suo pressante invito, perché si realizzi costantemente un profondo collegamento tra il cammino ordinario di pastorale giovanile e questi incontri mondiali, per evitare che questi ultimi si riducano solo a momenti ricchi di emotività e di “spettacolarità”, senza peraltro incidere profondamente nella formazione della gioventù.
“La Giornata Mondiale della Gioventù costituisce la giornata della Chiesa per i giovani e con i giovani.La sua proposta non si pone in alternativa della pastorale giovanile svolta ordinariamente, spesso con grande sacrificio e abnegazione. Essa vuole piuttosto rinsaldarla offrendole nuovi stimoli d’impegno, mete più coinvolgenti e partecipate”[4].
Solo spettacolarità?
Ecco allora una prima osservazione che ci viene offerta dallo stesso Pontefice e che è necessario non trascurare: si eviti che i pellegrinaggi diocesani diventino delle parentesi nella vita dei giovani, anche se eccezionali ed estremamente gratificanti sia per chi li organizza che per chi vi partecipa, ma siano sempre preceduti e seguiti da interventi educativi ben mirati. Se opportunamente aiutati, i giovani potranno vivere un’autentica esperienza di cammino all’interno della propria vita, insieme con i fratelli, incontro a Dio.
“È un’esperienza che coinvolge tutta la persona e che può influire anche su tutta la vita e quindi determinarne lo sviluppo. Il pellegrinaggio non può ridursi all’esperienza di un momento o consumarsi nell’eccezionalità dell’evento. Essere pellegrini significa assumere atteggiamenti precisi di fronte a se stessi, agli altri e a Dio”[5].
Fatte queste precisazioni, soffermiamoci su alcune attenzioni vocazionali presenti quasi in “filigrana” nell’esperienza dei pellegrinaggi dei giovani in occasione della GMG e che potrebbero essere riproposte nei pellegrinaggi diocesani con i giovani.
Annuncio
Un primo elemento da non sottovalutare credo sia il fatto che questi pellegrinaggi non sono nati, per così dire, per una iniziativa della “base” non sono stati i giovani, né le comunità ad autoconvocarsi. L’invito è stato rivolto loro direttamente dal Papa: è lui che li convoca ed è lui che stabilisce la data e il luogo. Ai giovani e alle loro comunità è chiesto di aderire all’iniziativa. È questo, a mio avviso, un elemento vocazionale non trascurabile, perché, se ben spiegato e valorizzato, potrebbe essere utile per educare i giovani a lasciarsi interpellare da un Dio che in tanti modi interviene nella nostra vita, sconvolgendo, a volte, anche i progetti personali.
Passa anche attraverso queste esperienze particolari l’educazione dei giovani alla “risposta”. Pertanto, sarà necessario che i giovani siano aiutati a non confondere il pellegrinaggio con una “vacanza a basso costo” ma ad essere consapevoli che decidere di partire vuol dire
“spogliarsi, essere liberi e leggeri, non gravati da nulla, disponibili a mettersi in discussione e ricominciare”[6].
Accettare di compiere un pellegrinaggio significa rendersi disponibili, come quando si scopre una chiamata particolare di Dio, ad abbandonare le proprie abitudini, le comodità di casa, le proprie sicurezze, le proprie chiusure per mettersi in ascolto di chi cammina accanto e condividere con gli altri ciò che si possiede; ma, soprattutto, vuol dire accettare di mettere un po’ di ordine nella propria vita: tante realtà, che a casa possono sembrare indispensabili, durante il pellegrinaggio si ridimensionano e si scopre che se ne può fare a meno, a favore di altre, fino ad allora trascurate, e che invece appaiono necessarie. Cos’è la gioia di ascoltare la musica o di vedere la televisione o di andare il sabato in discoteca a confronto con quella che si prova ad instaurare nuove amicizie, ad interrogarsi con gli altri sul significato della propria vita, ad incontrare persone che testimoniano la bellezza di una “vita riuscita”?
“Questo pellegrinaggio del popolo giovane costituisce ponti di fraternità e di speranza tra i continenti, i popoli e le culture. E’ un cammino sempre in atto. Come la vita. Come la giovinezza”[7].
Ecco, allora, un altro suggerimento: sia il Vescovo a prendere l’iniziativa e a rivolgere ai giovani della diocesi l’invito al pellegrinaggio; si presenti questa esperienza ai giovani come un’occasione privilegiata per lasciarsi “pro-vocare” da Dio, per “rivisitare” la propria vita e rinnovarla.
Proposta
Un altro elemento, intimamente legato al precedente, è dato dal fatto che il Papa non si limita a convocare i giovani in un luogo particolare, ma offre loro anche un “messaggio” che diviene sia strumento di preparazione al pellegrinaggio che proposta concreta per un cammino di fede dei giovani. Al di là delle diverse tematiche affrontate nei singoli anni, il Papa stesso afferma che le GMG
“tutte insieme, nell’arco di questo decennio, appaiono come un continuo e pressante invito a fondare la vita e la fede sulla roccia che è Cristo”[8].
Con il passare del tempo emerge sempre più con chiarezza che il vero “pellegrinaggio” che il Papa in questi anni sta facendo con i giovani del mondo è quello di condurli alla riscoperta delle radici della propria fede, accompagnandoli personalmente all’incontro con Cristo.
“Finalità principale delle Giornate è di riportare al centro della fede e della vita di ogni giovane la persona di Gesù, perché ne diventi costante punto di riferimento e perché sia anche la vera luce di ogni iniziativa e di ogni impegno educativo verso le nuove generazioni”[9].
“Condurre a Cristo” : non è forse questo il compito di ogni educatore dei giovani alla fede e di ogni autentica pastorale vocazionale? Solo coloro che hanno scelto di “seguire Cristo” possono comprendere e vivere pienamente la loro vocazione. Il pellegrinaggio dei giovani si traduce, dunque, in un incontro con Cristo capace di cambiare la vita:
“i vari momenti in cui si articola una Giornata Mondiale costituiscono nel loro insieme una sorta di vasta catechesi, un annuncio del cammino di conversione a Cristo, a partire dalle esperienze e dagli interrogativi profondi della vita quotidiana dei destinatari”[10].
Ecco presentato dalle stesse parole del Papa un altro suggerimento: il pellegrinaggio sia pensato in modo da aiutare i giovani a riscoprire la centralità di Cristo nella propria vita e a vivere un’esperienza autentica di incontro personale con Lui, capace di dare una svolta alla propria esistenza.
Accompagnamento
Il Messaggio che il Papa offre ogni anno per la celebrazione della GMG se da una parte consente ai giovani di interrogarsi e di riflettere sulla loro vita, dall’altra sollecita gli educatori a non abdicare mai dal loro insostituibile ruolo di accompagnatori.
“Come non leggere nella loro partecipazione massiccia, disponibile ed entusiasta la costante richiesta di essere accompagnati nel pellegrinaggio di fede, nel viaggio che compiono in risposta alla grazia di Dio operante nei loro cuori?”[11].
Un accompagnamento, quello chiesto agli educatori; che si deve tradurre nel “prestare la propria voce”- perché l’invito del Papa raggiunga ogni giovane, nel sostenerli quando devono prendere la decisione di partecipare al pellegrinaggio, nell’aiutarli a riflettere sulle indicazioni offerte dal Papa, nel “rimotivarli” costantemente durante il pellegrinaggio, perché non cedano allo scoraggiamento o alla “delusione” e nel tenere sempre viva la “memoria” dell’esperienza fatta, una volta tornati alle proprie case. Se pensato in questo modo, il pellegrinaggio dei giovani metterà in moto anche tutti quegli adulti della comunità che possono, con le loro specifiche competenze, “accompagnare” i giovani nel loro pellegrinaggio: sacerdoti, genitori, educatori, animatori… Così tutta la comunità, eliminando gli steccati in cui si rinchiudono ermeticamente le persone delle diverse fasce di età, si sentirà interpellata da questa esperienza giovanile, che diventerà per tutti un’occasione di grazia e di crescita:
“Ascoltare i giovani e insegnare loro richiede attenzione, tempo e sapienza”[12].
È questo dunque, un altro suggerimento da non trascurare: sollecitare l’attenzione di tutta la comunità all’esperienza dei giovani e far emergere, all’interno di essa, adulti capaci di “accompagnarli” . Ciò permetterà di non far pesare tutto il peso della organizzazione sul “povero cireneo” di turno, ma coinvolgerà, in modi diversi, gli adulti della comunità e li aiuterà a prendere coscienza del proprio compito di “accompagnatori” dei giovani non solo nel cammino di fede, ma anche in quello vocazionale.
Meta
Il Papa, molto saggiamente, ha dato ai pellegrinaggi dei giovani una scadenza biennale, sia per dare tempo e respiro a coloro che sono impegnati nella preparazione, sia anche per valorizzare il cammino dei giovani nelle loro chiese locali. E ogni due anni il Papa stabilisce una meta particolare per il “pellegrinaggio” dei giovani. Nei primi anni, il Papa ha incontrato i giovani presso i grandi Santuari: Roma (1985), Buenos Aires (1987), Santiago de Compostela (1989), Czestocowa (1991). In questi luoghi i giovani sono stati invitati ad accogliere la testimonianza di fede che viene dal passato, perché questi Santuari “sono tutti luoghi che hanno un loro insegnamento e una loro proposta di cammino di fede”[13].
Nelle ultime GMG la meta ha assunto nuovi significati:
“a Denver e a Manila la meta, il punto di arrivo non era un Santuario nel senso tradizionale, un luogo dove far memoria della presenza del divino, ma lo spazio in cui si poteva partecipare ad un incontro profetico di giovani che vogliono fare della loro vita e dell’esperienza ecclesiale un santuario vivente”[14].
Il Papa ha voluto arricchire così il pellegrinaggio dei giovani di un ulteriore valore: non solo occasione per incontrarsi con Dio e con le grandi testimonianze della fede, ma anche un cammino verso l’uomo di oggi.
“A Denver il vero santuario era l’uomo con i suoi problemi e le sue aspettative per il futuro, quell’uomo che è la prima via nella quale la Chiesa cammina incontro al Signore risorto. A Manila il santuario era un popolo chiamato a diffondere il vangelo nell’Asia. La meta non è il luogo dello sfascio e della caduta di tensione, del consumismo o dello shopping, ma il luogo della conversione celebrata con tutti, della lode e della contemplazione, della riflessione e del confronto con la fede di chi ci ha preceduto”[15].
È bene valorizzare questo “spostamento di rotta”, voluto dal Pontefice, per aiutare i giovani a prendere sempre più consapevolezza che incontrarsi con Dio vuol dire anche assumersi la “responsabilità” dei fratelli. È stata questa l’esperienza di tutti i grandi chiamati: non evadere dal mondo per incontrare Dio, ma incontrare Dio per invadere il mondo con la sua presenza. Questo significa che nell’organizzazione del pellegrinaggio il valore del cammino non si deve misurare dai chilometri, ma dalla destabilizzazione di una vita comoda che provoca, perché
“il vero obiettivo è quello di far camminare verso la comprensione della vita e del progetto di Dio su di essa”[16].
Si potrà così aiutare i giovani a pensare alla vocazione non come “rifugio” in una vita senza difficoltà, ma come impegno con cui ci si fa carico delle necessità e delle aspirazioni dei fratelli. Per questo non è indifferente la meta scelta per il pellegrinaggio: può essere una buona occasione per “far toccare con mano” ai giovani le povertà dei fratelli e sentirsi da esse “interpellati”.
Scelta di vita
Un ultimo elemento, al quale bisogna prestare molta attenzione, perché permette ai giovani di non chiudere tra parentesi l’esperienza vissuta durante il pellegrinaggio, ma di trasformarsi in protagonisti del rinnovamento negli ambienti in cui vivono, è dato dall’impegno di vita che essi sono chiamati ad assumersi.
“Con il loro entusiasmo e la loro esuberante energia, i giovani chiedono di essere incoraggiati a diventare protagonisti dell’evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale”[17].
Come ogni vocazione si traduce in una missione, così ogni pellegrinaggio deve concludersi con una missione!
“Da una Giornata Mondiale il giovane può trarre una forte esperienza di fede e di comunione, che lo aiuterà ad affrontare le domande profonde dell’esistenza e ad assumere responsabilmente il proprio posto nella società e nella comunità ecclesiale”[18].
Non dobbiamo mai dimenticare nell’organizzare un pellegrinaggio con i giovani che il ritorno è la fase più delicata, perché molti durante il pellegrinaggio si entusiasmano, ma poi a contatto con la vecchia realtà si lasciano trascinare nella superficialità. Il consegnare ad ogni giovane che partecipa al pellegrinaggio un preciso impegno di vita, lo educa a non inseguire solo “esperienze forti” e gratificanti, ma a saper valorizzare la “ferialità”, aiutandolo a far proprio il valore della “perseveranza”, di una importanza vitale nel cammino vocazionale.
Conclusione
Se riusciremo a far sì che, al termine del pellegrinaggio, il giovane porti con sé “un rinnovato entusiasmo, una fede più profonda, il desiderio di testimoniare la gioia sperimentata, la disponibilità a spendere con coraggio la vita per annunciare a tutti il vangelo”[19], allora vuol dire che avremo posto le premesse perché viva la vita vocazionalmente e sia disponibile ad accogliere un’eventuale chiamata a consacrare la propria vita a Dio nel servizio dei fratelli.
Note
[1] D. SIGALINI, in Giovani e pellegrini, p. 36, CEI Roma 1995.
[2] A. LADISA, I punti nodali dei Messaggi del S. Padre in ordine alla pastorale giovanile vocazionale, in ‘Vocazioni’ 1995, n. 4, pp. 26-39.
[3] Lettera di Giovanni Paolo II al Card. E. Pironio, Vaticano 8 maggio 1996. (Nelle note che seguono la Lettera sarà indicata con la sigla LcP).
[4] LcP, 3.
[5] D. SIGALINI, op. cit., p. 38.
[6] Ibidem, p. 39.
[7] LcP, 2.
[8] Ibidem, 1.
[9] Ibidem, 1.
[10] Ibidem, 3.
[11] Ibidem, 4.
[12] Ibidem, 4.
[13] D. SIGALINI, op. cit., p. 40.
[14] Ibidem, p. 40.
[15] Ibidem, p. 41.
[16] Ibidem, p. 39.
[17] LcP, 4.
[18] Ibidem, 4.
[19] D. SIGALINI, op. cit., p. 41.