N.04
Luglio/Agosto 1997

Le condizioni e le modalità che rendono un pellegrinaggio un autentico cammino vocazionale

A quali condizioni un pellegrinaggio può essere considerato “vocazionale”, in grado di favorire in un giovane o in una ragazza in ricerca vocazionale un’autentica esperienza spirituale? E poi a quale modalità di pellegrinaggio ci si potrebbe riferire? Una cosa è certa: l’organizzazione generica che puntasse più su un viaggio “spirituale” ad effetto, preoccupata più di coinvolgere un gruppo vivace e simpatico di giovani, che non dei ragazzi spiritualmente e vocazionalmente predisposti, non potrà che sortire effetti piuttosto sterili, se non dannosi.

 

Quale pellegrinaggio dunque?

L’espressione “pellegrinaggio” viene riferita facilmente oggi ad una gamma diversa di esperienze, anche e soprattutto a livello giovanili. Una route a piedi di una settimana non è certo un viaggio in treno o in aereo a Lourdes, una marcia francescana non è come un viaggio a Denver. Per questo è importante evidenziare alcuni elementi irrinunciabili: si tratta certamente di viaggiare, in un contesto chiaramente comunitario e sapendo di voler favorire una singolare esperienza spirituale-vocazionale. Tre caratteristiche che non andranno disattese, pena la perdita della valenza specifica del pellegrinaggio stesso. Sarà decisivo dunque riuscire a qualificare tale esperienza in senso “vocazionale”. In questo senso non ogni tipo di viaggio e non ogni forma nella quale i giovani sono abituati a stare insieme è di fatto obbiettivamente capace di rispondere a tale finalità.

 

Chiarire l’intenzione vocazionale di fondo

L’intenzione vocazionale dovrà essere esplicita soprattutto e anzitutto per coloro che decidono di organizzare un tale pellegrinaggio. In che termini? Andrà ad esempio esplicitata per tempo la finalità vocazionale, molto prima di partire per il pellegrinaggio. Se è importante stabilire la meta o le mete, la valutazione dei costi o il numero dei partecipanti tuttavia non basta. Tenendo conto della condizione di partenza nella quale si trovano i giovani che intendono partecipare al pellegrinaggio ci si dovrà anche chiedere in che senso un tale pellegrinaggio viene definito come “vocazionale”. Ad esempio perché vengono coinvolti ragazzi e ragazze che sono in ricerca vocazionale su una molteplicità di fronti, diciamo a 360 gradi? Oppure si tratta di giovani che si sono già espressi in una precisa prospettiva vocazionale? “Vocazionale” perché l’ente che organizza il pellegrinaggio è un ufficio diocesano o un istituto religioso di principio attento alla questione vocazionale?

Domande del genere hanno il valore di purificare e chiarire l’intenzione vocazionale del pellegrinaggio stesso e sul fronte dell’organizzazione e sul fronte della ricaduta di questa stessa intenzione sui giovani partecipanti al pellegrinaggio. Davanti ad un giovane che facilmente si lascia coinvolgere dentro l’esperienza accattivante del “viaggiare” è decisivo offrire con molta chiarezza le proprie intenzioni, volendo davvero servire la sua disponibilità e libertà. La chiarezza dichiarata eviterà delusioni e sarà certamente a vantaggio della ricerca vocazionale dei giovani in questione.

 

La preparazione accurata di un pellegrinaggio vocazionale

Un’attenzione particolare dovrà essere data anche alla preparazione di altri aspetti preliminari imprescindibili: la formazione del gruppo e alcuni aspetti organizzativi. L’espressione “formazione del gruppo” dice che se è importante equilibrare e “calcolare” per quanto è possibile un solido aspetto comunitario ancor prima della partenza al fine di poter andare oltre il semplice “stare insieme” di un gruppo di giovani turisti, ancora più determinante sarà da parte di chi organizza, la conoscenza previa della condizione spirituale e della intenzione vocazionale di ciascun partecipante. È facile ritenere che qualsiasi pellegrinaggio, anche il più accattivante e bello, non sarà mai in grado di “creare” in un giovane una esplicita domanda vocazionale. Piuttosto un pellegrinaggio, avente un ruolo funzionale e di servizio, sarà da ascrivere all’ambito delle esperienze pastorali della “proposta vocazionale”. E una “proposta” presuppone sempre l’esperienza di un ‘annuncio’e si aspetta di conseguenza quello di un più deciso  “accompagnamento”.

Per questo l’aspetto propriamente comunitario – più che di gruppo – di un pellegrinaggio che vuole essere vocazionale, dovrà essere pensato e strutturato in funzione al cammino di ricerca propriamente personale della volontà di Dio su di sé. Per questo è bene prevedere, per quanto sarà possibile, tra i componenti il gruppo la presenza discreta e “prefigurativa” di qualche giovane o di qualche ragazza che già si sono avventurati in qualche cammino vocazionale specifico. Per chi si sta ponendo seriamente una domanda vocazionale è molto importante la presenza, proprio nel contesto simbolico di un viaggio verso una meta (una località religiosa, un santuario mariano ecc.) di chi già ha avuto il coraggio di iniziare.

 

La “proposta vocazionale” durante il pellegrinaggio

Ma a questo punto: come sostenere e alimentare, nell’ambito di una esperienza di pellegrinaggio, l’intenzione vocazionale? Mentre da una parte il clima creato dalla stessa componente comunitaria degli stessi partecipanti è l’orizzonte capace di raccogliere discretamente, e quasi “accompagnare”, le domande e i pensieri così diversi dei partecipanti, sarà preciso impegno da parte degli animatori o dell’animatore la regia della “proposta” vocazionale esplicita lungo le tappe e i momenti più significativi del pellegrinaggio stesso. Andrà ad esempio curato l’aspetto celebrativo, in modo particolare della celebrazione eucaristica quotidiana, proponendo una riflessione o una meditazione continua e organica, ad esempio seguendo il metodo della “lectio divina” e mettendo in evidenza alcuni temi tipici della vita spirituale.

Non si dimentichi di prevedere e preparare la celebrazione comunitaria del sacramento della riconciliazione, magari fermandosi in un santuario mariano. Del resto il pellegrinaggio, nella tradizione della spiritualità cristiana, ha sempre avuto una tonalità penitenziale di fondo. La ricerca vocazionale va anche interpretata come una straordinaria occasione di incontro con la misericordia di Dio.

Infine, nella prospettiva e secondo una modalità tipicamente giovanile, al termine di una giornata del pellegrinaggio, è significativo il momento della comunicazione tra tutti i partecipanti della propria condizione spirituale, con le intuizioni e le riflessioni che lungo la giornata lo Spirito ha suggerito liberamente a ciascuno. Il contesto della preghiera silenziosa o della stessa adorazione eucaristica si è sempre rivelato molto adatto e gradito.

 

La “qualificazione” del pellegrinaggio

Decisiva non è l’abbondanza quantitiva dei momenti di preghiera, ma la qualità propria di tali momenti. Un giovane sa percepire immediatamente tale differenza, soprattutto se una ricerca interiore e personale è già avviata in questa prospettiva. Neppure l’abbondanza delle nostre parole o della stessa Parola di Dio sarà importante. Determinante sarà invece creare un contesto pellegrinante nel quale ciascuno sia messo in grado di dare un ascolto esplicito e diretto a quella “Parola” che già è in un certo senso iscritta nel suo cuore e che ormai chiede di essere esplicitata secondo modalità e prospettive credenti singolari.

In questo senso sarà importante fare attenzione alla cura di una sobrietà ascetica lungo un pellegrinaggio di questo genere. C’è una essenzialità in rapporto alle esperienze da proporre a tutti i partecipanti e che un giovane già vocazionalmente avviato non potrà che apprezzare, quando addirittura non sarà proprio lui o lei a richiederlo. Si potrà richiedere qualche forma penitenziale comune come ad esempio la puntualità nei tempi comuni, nell’uso del tempo, nella sobrietà a tavola o nell’uso dei soldi, aprendo il cuore a qualche forma concreta di carità.

 

“Camminando s’apre cammino”

La condizione spirituale nella quale i partecipanti al pellegrinaggio si trovano dovrebbe essere fondamentalmente quella della “proposta” vocazionale, cioè dell’avvio all’ascolto di una singolare proposta da parte di Dio. Al termine di un pellegrinaggio più o meno lungo sarà fondamentale cercare di prevedere il seguito del pellegrinaggio stesso nei termini di un vero e proprio “accompagnamento” vocazionale. Ad un giovane o ad una ragazza che ha avuto l’opportunità di partecipare a questa esperienza non si dovrà certo richiedere una “decisione” vocazionale, quanto piuttosto di favorire la possibilità di continuare a discernere in modo ancora più esplicito i segni vocazionali che la grazia di Dio avrà abbondantemente donato anche in occasione di un tale pellegrinaggio. In questo senso una esperienza di cammino come questa non può che aprirne una nuova e più esplicita e decisiva. A ciascun partecipante andrà proposta – se già non fosse esplicitamente stata avviata precedentemente – l’esperienza della direzione spirituale, dando magari indicazioni concrete e riferimenti puntuali.

Non si tratta di imporre nulla. Se l’avvio del pellegrinaggio vocazionale è stato ben curato da questo punto di vista – pur prevedendo comprensibilmente le condizioni molto diverse dei partecipanti – il consiglio esplicito di una direzione spirituale ‘vocazionale’ sarà la continuazione naturale del pellegrinaggio stesso. “Camminare” nel nome del Signore in un pellegrinaggio così non può che dischiudere un “cammino” nuovo e decisivo: “camminando s’apre cammino”