L’esperienza del “dono di sé” quando il pellegrinaggio si fa scuola di vita
Agosto in Polonia è un mese strano. Appena comincia, in tutto il Paese si radunano gruppi di persone, che hanno una cosa in comune: amano camminare! Si organizzano in gruppi, che a volte contano duemila persone o anche di più, e si mettono in marcia. Si dirigono tutti verso Czestochowa, perché proprio in agosto ricorre la festa di Colei, che, da Jasna Gora regna su tutta la Polonia: Nostra Signora di Czestochowa. Proprio per renderLe omaggio si mettono in cammino – per alcuni lungo anche 700 chilometri – adulti, giovani e bambini; persone che godono di piena salute, ma anche malati e handicappati, che di solito si associano ai gruppi dei “sani” e condividono le loro fatiche, aggiungendovi il peso delle proprie sofferenze.
Questo pellegrinaggio è per me un’esperienza molto importante. Ben cinque volte ho camminato per 500 chilometri verso Czestochowa e lungo questo cammino ho preso alcune delle più importanti decisioni della mia vita, ad esempio quella di entrare in seminario. Da quando sono venuto a vivere in Italia, ogni anno all’avvicinarsi del mese di agosto sentivo una grande nostalgia, un forte desiderio di ripetere questa esperienza, di ritrovare gli amici per rivivere insieme a loro questa specie di ritiro spirituale che è un pellegrinaggio. Alla fine questa nostalgia ha preso il sopravvento: ho deciso non soltanto di andarci, ma anche di portare con me un piccolo gruppo di giovani italiani. Presa questa decisione, ho sentito una grande gioia, ma ero anche preoccupato: ce la faranno? Piacerà loro? Sapranno sopportare le fatiche e gli inconvenienti, se capiterà loro di dormire in una stalla o se non ci sarà un bagno? Saranno capaci, senza alcuna esperienza del genere, di percorrere a piedi i 300 chilometri da Varsavia a Czestochowa? Decine di domande, che mi tormentavano e mi mettevano paura. Andarci da solo era già un’impresa, figuriamoci prendere responsabilità anche per gli altri, incluse due persone sulle carrozzelle…
Partiamo!
“300 chilometri a piedi? Siete matti, sembrerete dei penitenti” . Queste osservazioni, che ogni tanto ci capita di sentire, non ci scoraggiano affatto. Siamo pronti per partire, con le valigie strapiene, non ci manca niente: ciascuno si porta più di un paio di comode scarpe, vestiti adatti per proteggersi dal freddo e dalla pioggia, etc. La cosa che più mi impressiona è l’enorme quantità di medicine – probabilmente basterebbero per tutti i pellegrini. Un po’ nervosi, ma anche curiosi di vivere questa esperienza nuova, partiamo in due pulmini verso la Polonia. Visitiamo Monaco di Baviera e poi ci fermiamo a Glogów in Polonia, dove l’Associazione dei Silenziosi Operai della Croce sta costruendo una casa di ritiro per malati. I miei giovani amici italiani cominciano però a mostrare segni di preoccupazione: come sarà questo pellegrinaggio? Saremo bene accolti dai pellegrini polacchi? Mi sembrano un po’ impauriti e scoraggiati. Finalmente partiamo per Varsavia, da dove comincia il nostro cammino. Abbiamo una giornata per visitare la città, la sera invece incontriamo Padre Stanislao, l’organizzatore e direttore del “V Pellegrinaggio a piedi degli handicappati a Jasna Gora”. Ci dà un benvenuto molto caloroso, ci fornisce varie informazioni sul pellegrinaggio stesso e risponde a molte domande. Alla domanda: “siamo gli unici stranieri?”, risponde che quest’anno sì, e aggiunge con un sorriso, che negli anni passati ci sono stati piccoli gruppi di italiani, ma tutti hanno abbandonato il pellegrinaggio dopo qualche giorno. Per il nostro gruppo questo fatto costituisce una grande sfida: noi dobbiamo farcela!
Ci siamo
Arriva finalmente il giorno tanto atteso. Ci alziamo la mattina presto, facciamo colazione, carichiamo i bagagli – siamo quasi pronti. Partiamo per incontrare gli altri pellegrini, di nuovo ci poniamo molte domande: come ci accoglieranno? Ci vorranno parlare? E se parleranno, come faremo a capirci?
Ed ecco che si avvicina una folla di quasi mille pellegrini, divisi in cinque gruppi. Ci salutano con un caloroso “Ciao Italia!”, che subito cancella tutte le nostre paure. Cominciamo il pellegrinaggio di nove giorni, inseriti in uno dei gruppi, che porta il nome di San Michele Arcangelo. Ogni giorno partecipiamo alla comune Eucaristia, preghiamo e cantiamo con gli altri. Padre Janusz traduce in italiano le omelie del Padre Direttore. Le nostre canzoni: “Gesù grazie, Gesù grazie sei qui” e “La gioia nasce camminando insieme” diventano gli “hit” di tutto il gruppo. Così, cantando e pregando, attraversiamo i villaggi e le foreste della Polonia, diretti sempre a Jasna Gora. La sera, dopo aver trovato alloggio nelle case della gente del posto, ci raduniamo per il cosiddetto “appello” , che ci permette di riflettere insieme sulla giornata appena trascorsa, di scambiare piccole informazioni, e anche pregare e cantare insieme prima di andare a letto. Dopo “l’appello” spesso chiacchieriamo con i nostri ospiti, che ci accolgono nelle loro case e condividono con noi tutto quello che hanno. Ci ricordiamo anche di loro nelle nostre preghiere.
Finalmente!
L’ultimo giorno del pellegrinaggio. Sveglia alle 4,45, ci laviamo e facciamo i bagagli, accompagnati dal pensiero che questo è il giorno tanto atteso, quello in cui incontreremo la Madonna Nera, ma dovremo anche dire addio a tanti nuovi amici. Corriamo, per arrivare in tempo alla Messa delle sei. Ci aspetta una sorpresa. Padre Stanislao si mette in ginocchio e battendosi il petto ci chiede perdono per non aver creduto che saremmo arrivati a Czestochowa. Siamo orgogliosi, ma dobbiamo ancora percorrere gli ultimi 20 chilometri. Ci mettiamo in cammino sotto una pioggia battente. Stanchi, fradici, zoppicanti – chi più chi meno – arriviamo sulla “Collina del Perdono”, dove ci chiediamo a vicenda perdono per i peccati commessi contro il prossimo. È un momento di grande commozione per tutti.
Jasna Gora!
Finalmente, che emozione! Ci troviamo sul viale di Maria Vergine Santissima, davanti a noi s’innalza il monastero dei Padri Paolini, dove è custodita la sacra Icona. Nel cielo riappare il sole, come se volesse ricompensarci delle fatiche del pellegrinaggio. Incontriamo altri gruppi di pellegrini, che con noi fanno la fila per entrare nel monastero. Migliaia di persone, una folla veramente impressionante. Cantano, ballano, pregano e piangono. Finalmente ci troviamo davanti all’immagine della Madonna di Czestochowa. Ci fermiamo in silenzio, molti non riescono a trattenere le lacrime, affidiamo a Maria tutto quello che abbiamo portato: i nostri successi e le sconfitte, le decisioni e le esitazioni, i fallimenti, le preghiere, i ringraziamenti.
Il pellegrinaggio a Jasna Gora è stato un’esperienza bellissima. Nel 1991 eravamo un unico gruppo, circa 200 persone. L’anno scorso siamo stati più di mille, divisi in cinque gruppi. Più numerosi sono stati anche gli handicappati sulle carrozzelle, così come i bambini e i ragazzi con handicap mentale. Però la fonte più grande di gioia e di speranza è il fatto che ogni anno cresce il numero di giovani generosi, pronti a servire gli altri. Senza di loro, senza la loro forza e spontaneità, il loro senso d’umorismo e la loro gentilezza, questo pellegrinaggio sarebbe impossibile. Sono capaci di offrire la loro stanchezza, il sudore, persino le vesciche sui piedi in nome dell’amore. La presenza degli handicappati in una situazione così insolita ci costringeva a dimenticare noi stessi e i nostri bisogni. Il pellegrinaggio è stato come una scuola, in cui abbiamo imparato la tolleranza e la comprensione. Abbiamo offerto le nostre fatiche per noi stessi, per i nostri cari, per la Chiesa. Per nove giorni, tutti insieme, ad ogni passo del cammino lungo quasi 300 chilometri abbiamo testimoniato, che l’unica vera misura dell’uomo è la sua capacità di condividere l’amore. Il pellegrinaggio ci ha dato molte opportunità per verificarlo. È stato anche un’opportunità per vivere insieme un’esperienza di conversione, condividere la nostra esperienza di vita, sperimentare la presenza di Dio, arricchirci grazie alla presenza del prossimo.