Pellegrinaggi e marce della pace occasione privilegiata e singolare per il discernimento vocazionale
Assisi vive ogni anno molti pellegrinaggi: uomini e donne raggiungono il colle del Paradiso per deporre ai piedi della Tomba del Poverello le gioie e i dolori del cuore umano, le delusioni e le speranze del loro cammino. In questo continuo flusso di pellegrini, alcuni momenti vedono protagonisti i giovani: l’annuale convegno “Giovani verso Assisi” che registra stabilmente più di tremila presenze; i “campi scuola” che durante l’anno scandiscono il calendario di questo santuario: sono circa millecinquecento i giovani che nel 1996 vi hanno partecipato; e non ultime le varie “marce della pace” che portano ad Assisi giovani assetati di un valore che è fonte di serenità per l’umana convivenza.
In questo esercito di giovani che marciano verso Assisi molti sono in ricerca vocazionale o maturano la domanda vocazionale, e la pongono con forza mettendo in crisi il loro vissuto. Tutto questo trova lontane origini nella vita stessa del Poverello di Assisi, quando in pieno processo di Conversione si recò a Roma in pellegrinaggio e, notando la spilorceria di alcuni offerenti, svuotò nel sepolcro di San Pietro la sua borsa piena di monete d’argento[1]. Quel pellegrinaggio rappresentò per Francesco, al di là del gesto concreto, lo svuotarsi di se stesso per riempirsi di Cristo.
Ed è questo svuotarsi di sé, del proprio metro di misura per assumere il metro di misura di Dio, il vero dinamismo del pellegrinaggio dei giovani. In questa nuova consapevolezza affiorano alla coscienza le domande più profonde, quelle che toccano l’esistenziale: Che senso ha ciò che mi accade? Qual è l’elemento più importante della mia vita? Qual è la cosa senza la quale non si potrebbe vivere? Quale, quella cui è troppo faticoso rinunciare? E non ultima: Cosa vuoi che io faccia? Per sentirsi rispondere come lo fu per Francesco: “Va e ripara la mia Chiesa!”. Solo queste domande e quest’ultima risposta permetteranno di trivellare il terreno della propria vita per scorgervi l’importanza di quello che siamo chiamati ad essere di fronte a Dio[2].
Il pellegrinaggio, ebbe a dire Giovanni Paolo II, deve trasformarsi: “in risorsa per la fede, in cammino di conversione, in tempo forte di preghiera e di fraternità, in possibilità di evangelizzazione e di valido annuncio della speranza cristiana”[3].
In questa prospettiva i moltissimi giovani, che nelle forme più diverse eloquenti sono i segni di quella presenza divina, che penetra in profondità le loro coscienze turbate, i loro sentimenti delusi, i loro desideri inespressi, possono scorgere l’appello di Dio e la domanda vocazionale che chiede: “Tu vieni e seguimi”.
Nell’esperienza del pellegrinaggio, di questo viaggio nel cuore dei santuari, “vere cliniche dello Spirito”, come li definiva Paolo VI, possono varcare la soglia delle domande profonde tutti quei giovani che sono in ricerca del divino, per ritrovare se stessi, la loro umanità, la loro fede, flebile luce sommersa dall’effimero del mondo, dall’indifferenza e dal possesso delle cose.
Si ritrovano in questa esperienza di grazia volti e nomi di giovani fattisi compagni di viaggio insieme a tanti altri loro coetanei che hanno incominciato a misurare la loro umanità. Se è vero che i mali insidiano lo stesso tessuto psicologico e spirituale di scoraggiamento e di abdicazione a vivere la vita come compito, sappiamo altresì che la giovinezza custodisce in sé un’inesauribile ricchezza di carismi e di idealità, un’illuminazione ed una risposta di speranza capace di vincere l’insoddisfazione del cuore dei giovani a condizione che provvidenziali forze educative, intese come esistenzialità di proposta, cioè fanno crescere, consentano di farla esprimere in precise scelte di vita.
La tendenza a esaltare la libera decisione del giovane, come valore assoluto ed autonomo della sua espressione, non fa che congelare le sue aspirazioni, ridurre la sua dimensione umana e spirituale, condizioni fondamentali per salvare la dignità della sua vita e per promuoverla nei suoi aspetti intellettivi, perché giunga alla pienezza della maturità umana percorrendo un itinerario obbligato, quello del discernimento vocazionale.
In quale contesto può ad essi aprirsi una strada da percorrere? Non certo quello degli appannaggi offerti dalla cultura, dalla filosofia del potere e del piacere, che non consentono sicuramente di evidenziare il primato dell’essere su quello dell’avere, il valore della persona sul mito dell’estetica e dell’efficienza, l’esigenza della solidarietà e del dialogo sull’individualismo e sulla solitudine.
I pellegrinaggi dei giovani verso Assisi, le marce della pace che salgono verso il colle del Paradiso dicono essenzialmente la scoperta della fraternità e dell’essenzialità francescana e non ultimo della paternità di un Dio innamorato del giovane. E solo dopo questo processo di dissodazione che l’animatore vocazionale del pellegrinaggio riesce a portare, non senza fatica, la virata della vita: del sì a Dio. Uno degli itinerari privilegiati non può che essere quello di sperimentare la gioia del servizio, il valore del messaggio della speranza francescana per portarla poi ai tanti loro coetanei, provati anch’essi dal peso e dallo scoraggiamento di significatività della vita e del fare vertiginoso.
E nel pellegrinaggio dei giovani verso Francesco, che da Santa Maria degli Angeli fa intravedere la maestosità della Tomba del Poverello, questo è possibile, perché:
– la comune meta da raggiungere fa emergere ideali, desideri, aspirazioni ed attese sopiti o mai percepiti, ma espressione di quella ricchezza umana che costituisce il fondamento di ogni possibile realizzazione;
– l’esperienza intensa ed affascinante della preghiera che sublima i sentimenti, apre alle consolazioni divine, scioglie la durezza del cuore, fa emergere nello spirito il silenzio di Dio, di quel Dio che parla solo quando ci trova in silenzio;
– l’incontro con la sofferenza e le ferite che il proprio vissuto ha, oserei dire provvidenzialmente registrato, manifesta l’amore Crocifisso del Signore, il valore inestimabile della vita, che non passa mai per la via dell’efficientismo, né di quanto si possiede, ma per la dignità della propria persona che porta viva in sé l’immagine divina;
– il volto della carità nella sua più concreta espressione d’amore, di consolazione, di condivisione, di quanti indossano il grembiule del servizio e intessono di compassione evangelica, ogni fratello o sorella in difficoltà, perché si scopre insieme la bontà del Signore che veglia con amore di Padre su ogni vicenda umana.
Questa complessa ed essenziale esperienza umana e religiosa, dei pellegrinaggi e delle marce francescane, dà ai giovani che la vivono una chiara risposta alla loro domanda di senso, apre gli orizzonti umani a quelli divini, misura la loro umanità, e la loro capacità di donarsi, riempie il cuore di una gioia così pregnante da togliere ogni velo di tristezza, spinge al coraggio ed annulla le mezze misure per spendersi fino infondo senza riserve.
Di qui il passo è facile a recuperare la fede o a consolidarla, a rivisitare per alcuni il loro cammino di coppia, perché diventi se ancora non lo è una vocazione all’amore, per altri ad orientare il loro sguardo verso il sacerdozio o la vita consacrata, temprati dal fascino di Francesco che li ha “serviti” e dal fascino della vocazione che iniziano a sperimentare.
Se poi approdano a questa esperienza di pellegrinaggio, seminaristi chierici o postulanti, esperienza che dovrebbe essere sempre prevista nel loro cammino formativo, allora si scoprirebbe, come la “pedagogia del camminare” li apre ad un serio ed autentico discernimento, rafforza quei vincoli etici e sostiene la “maturità dell’essenzialità” illuminando e lasciando che anche le intuizioni dello spirito determinino questa scelta di amore.
Note
[1] Vita seconda del Celano, capitolo 8.
[2] Ulteriori approfondimenti in proposito possono essere trovati in E. FIZZOTTI, Che senso ha ciò che mi accade, Roma 1996; E. FORTUNATO, Discernere con Francesco d’Assisi. Le scelte spirituali e vocazionali, Padova 1997; L. IRIARTE, Pellegrino, in Dizionario Francescano, Padova 1995, pp. 1435-1446.
[3] Omelia, 11 febbraio 1990.