N.04
Luglio/Agosto 1997

Un itinerario scandito da temi di spiritualità missionaria con forte componente vocazionale

Come spesso capita, l’idea nacque quasi per caso. L’entusiasmo di noi giovani animatori vocazionali del P.I.M.E. (Pontificio Istituto Missioni Estere) fece il resto: iniziò così, con il cammino da Varsavia a Czestochowa in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù del 1991, la proposta di pellegrinaggi estivi per giovani.

Da allora ogni anno, con un gruppo fra i 30 e i 50 giovani dai 18 anni in su, percorriamo a piedi 250/300 Km, in un itinerario verso un “luogo sacro”, scandito da temi di spiritualità missionaria con una forte componente vocazionale. Dopo l’esordio di Czestochowa, per due volte abbiamo percorso un tratto del “mitico” Camino de Santiago, una volta un itinerario da Assisi a Roma, e altre due quello da Camaldoli ad Assisi, questi ultimi due cammini completamente ideati e tracciati ex novo da noi.

In realtà, fin dall’inizio capimmo che la formula del pellegrinaggio era fruttuosa, se condotta con determinate caratteristiche. Come mai – ci chiedemmo – questo cammino ha un effetto così positivo e “dirompente” nel cuore dei giovani? L’aspetto fondamentale, che ci parve di intuire, può essere riassunto con queste parole: il pellegrinaggio è il paradigma della vita cristiana.

Come nel pellegrinaggio abbiamo una meta, così nella vita abbiamo un traguardo: vivere in Dio, appartenere a Lui, vivere fin da ora quella santità e comunione con Dio che siamo chiamati a gustare per sempre dopo la morte. Dio è la meta della nostra vita. E come tutti i traguardi, è necessaria una preparazione adeguata per raggiungerlo, è indispensabile avere un itinerario stabilito, un calendario di marcia con tappe e mete intermedie ben precise. È un cammino da fare insieme, come comunità, guidati da persone che meglio conoscono la meta, Dio. Dovremo puntare dritti alla meta, senza deviazioni o soste che ci possono distrarre da essa, affrontando la fatica e le avversità, gustando la gioia del traguardo che si avvicina, sostenendoci a vicenda nel cammino…

Da questo primo aspetto deriva tutta una serie di contenuti fondamentali del pellegrinaggio così come, nella nostra esperienza, abbiamo pensato di formularlo.

– La fatica è una componente essenziale della vita, sia dal punto di vista puramente umano che da quello più prettamente cristiano: la croce è la via per arrivare a Dio. La fatica ha inoltre un effetto importante: aiuta a far crollare le barriere e le difese che ciascuno di noi si porta dentro, e che gli impediscono di cogliere e accogliere la presenza di Dio in se stesso. Nel pellegrinaggio la croce è rappresentata dal convivere gomito a gomito per 15 giorni, dagli imprevisti (vesciche ai piedi, pioggia, caldo, ecc.), ma soprattutto dal camminare in sé. È dunque importante dosare il cammino giornaliero, perché non sia né troppo leggero né eccessivamente faticoso.

– La preghiera è un’altra componente essenziale. Durante il cammino, un’ora del mattino viene riservata al silenzio, nel quale il pellegrino potrà riflettere sul tema e sui testi biblici quotidianamente proposti e contenuti in un libretto di meditazione. Lodi, vespri, rosario e S. Messa scandiscono il resto della giornata. La ritmicità ha una forte valenza educativa, perché dà il senso della presenza di Dio nella vita quotidiana.

– La condivisione è un altro elemento fondamentale. Si impara a conoscersi, a rispettarsi e ad apprezzarsi a vicenda, aiutandosi e sostenendosi di volta in volta. In una parola, si scopre il gusto della comunità, piccola immagine della Chiesa, popolo di Dio legato dall’amore reciproco e unito dall’unica meta. Si scopre che Dio è un traguardo da raggiungere insieme, come famiglia.

– Si gusta inoltre la sequela, sia perché il cammino viene fatto stando dietro il Crocifisso portato di volta in volta dai giovani, sia perché alcuni sacerdoti e religiose sono di fatto guida per il cammino dell’anima e del… corpo dei partecipanti. Viene dato largo spazio ai colloqui personali, al sacramento della riconciliazione (che viene proposto ad un certo punto del percorso), perché grazie a questi strumenti i giovani possano sperimentare la maternità della Chiesa. È soprattutto attraverso i colloqui personali, mentre si cammina, che viene vissuta la dimensione vocazionale, già suscitata dai temi di meditazione, alimentata dalla preghiera e favorita dalla fatica del pellegrinaggio stesso.

Come si sarà notato, la dimensione vocazionale non è esplicitamente o direttamente proposta nel pellegrinaggio. Cerchiamo piuttosto di porre le premesse perché venga vissuta una forte esperienza della vicinanza di Dio e del suo Amore. Solo a questo punto le meditazioni, e soprattutto i colloqui personali, portano il giovane a chiedersi cosa Dio voglia dalla propria vita. Non si tratta di una domanda forzata, ma dello sbocco naturale dell’esperienza di sentirsi oggetto di un Amore personale e privilegiato, sperimentato durante il cammino. È spontaneo, per il pellegrino, chiedersi allora come rispondere a questo Amore e qual è il “volto della missione” che Dio gli vuole affidare.

I frutti sono stati più che soddisfacenti in termini di maturazione e scelta vocazionale, ma anche semplicemente in quelli di una maturazione umana e spirituale. Una certa impegnatività dell’esperienza, una preparazione adeguata durante tutto il mese precedente, che alleni il corpo e l’anima del pellegrino (preparazione nella quale è importante chiarire che si tratta di un pellegrinaggio e non di una scampagnata con sfumature spirituali…), fanno sì che i giovani arrivino alla meta con il cuore colmo di gioia e di riconoscenza verso Dio. E la gratitudine, lo sappiamo, è il terreno sul quale meglio cresce il sì…