La dimensione vocazionale “nel”e “del” fidanzamento
Siamo stati fidanzati due anni. Siamo sposi da ventisette e Dio ci ha affidato tre figli da amare e da crescere. Il servizio ormai trentennale nel settore della pastorale familiare ci rende sempre più trepidanti e riconoscenti. Migliaia le coppie di fidanzati e di sposi incontrate, centinaia i preti e le suore, decine i vescovi, due i papi… Con tutto questo carico di varia amicizia ci sembra più facile sottolineare alcuni aspetti del tema in questione.
Prima però vogliamo accennare con franchezza ad una difficoltà, vogliamo sputare un rospo: sembra che la pastorale familiare soffra di una sorta di complesso di inferiorità nei confronti della pastorale giovanile, di quella liturgica, della medesima catechesi. E ciò, a nostro avviso, spiega anche l’uso di una terminologia e di una fraseologia buona, per così dire, per tutte le stagioni e per tutte le salse (“fidanzamento tempo di grazia”, “itinerari di fede”, “famiglia icona della trinità”…) e che pertanto scivolano sulle teste di fidanzati e sposi, non fanno molto vibrare i cuori, quasi prendono in giro le anime. Così come spiega quel clima pesante quando si entra, troppo insistentemente a nostro avviso, nell’ambito della sessualità con purtroppo scarsissimi riferimenti al contesto culturale-naturale per il suo esercizio che resta sempre quello della tenerezza… È una difficoltà superabile, beninteso, ma a volte causa disagio e imbarazzo in fidanzati e sposi cristiani che si sentono giudicati ‘esibizionisti’ per il sol fatto di testimoniare la specificità del loro “carisma coniugale laicale”. Ciò precisato ci viene spontaneo trattare della dimensione vocazionale “nel” e “del” fidanzamento, da laici, da sposati, da semplici avventurieri dello spirito…
La dimensione vocazionale “nel” fidanzamento
Parlare di dimensione vocazionale “nel” fidanzamento equivale a chiedersi cosa si è chiamati soprattutto a fare durante il periodo che va dall’aurora dell’innamoramento al pieno giorno della scelta definitiva di amare. E le risposte, come sempre, possono essere tante. Noi preferiamo questa: si è semplicemente chiamati a verificare se il “modo” di vivere il rapporto appena iniziato è il modo del “fidarsi” oppure no. È come se Colui che ha fatto incontrare i due dicesse loro discretamente: “Io mi fido di voi… e voi vi fidate tra voi?”.
Spesse volte la verifica sincera di questo atteggiamento di fiducia reciproca dà risultati deludenti perché ci si imbatte in sospetti, controlli, gelosie capricciose e puntigliose, interrogatori, pedinamenti, presunzione di insegnare al partner come si ama… Ad altro si è invece chiamati in questo periodo e cioè a saper discernere se la fiducia concessa dal Creatore ai due innamorati combacia con quella che essi si concedono tra loro stessi. Se non è meglio lasciar perdere. “Nel” fidanzamento si è quindi chiamati a vivere il “fidarsi” come modulo unico di vita relazionale.
Sorge una difficoltà: e se uno dei due (o entrambi) dichiara di non aver fede in quel Dio che li ha fatti incontrare e li ha fatti innamorare e li chiama a fidarsi? Cosa si può fare? Innanzitutto si può partire dalla risorsa che hanno senza rammaricarsi per la mancanza di quella che dicono di non avere… e la risorsa che hanno è la loro germinale volontà di amarsi per tutta la vita. Su questa occorre puntare, lavorare, impostare corsi o itinerari… Più che, talvolta enfaticamente, puntare su “itinerari di fede” non sarebbe meglio parlare più propriamente di itinerari d’amore? Perché per chi si fa prete si parla di “formazione sacerdotale” (dando curiosamente per scontata la formazione umana e addirittura quella spirituale di fede…) e per chi si vuole sposare si parla di “itinerari di fede” e non più onestamente di “formazione alla vita di coppia” o di “itinerari per una vita d’amore”? L’amore, tra l’altro, può essere via alla fede… a patto di lasciare libero Lui, Dio, di percorrere tale via con i suoi tempi e con i suoi modi… La verifica del “fidarsi” diventa allora verifica della capacità-volontà di amarsi per sempre. Che, guarda caso, è proprio la “materia” del sacramento. Infatti la materia del sacramento del matrimonio è l’amarsi degli sposi espressa solennemente sotto forma di consenso il giorno delle nozze. E se la materia non è genuina il sacramento non ha luogo. E ciò vale in assoluto per l’acqua, l’olio, il pane e il vino… e quindi anche per la qualità dell’amarsi.
Come dire che in presenza di un amore anemico, asfittico, scadente o con data di scadenza o di una volontà di amare debole e malata (dubbi, calcoli, sotterfugi e interessi) il sacramento non viene posto in condizione di sussistere. Lo specifico del sacramento del matrimonio è quindi “l’amarsi nel Signore”, ma laddove “nel Signore” non c’è o è latitante si può pur sempre fare appello “all’amarsi” che resta, in assoluto, il compito originario affidato da Dio alla coppia umana ancor prima di Cristo. Anche in considerazione del fatto che quando purtroppo certe coppie dolorosamente si separano il più delle volte lo fanno per mancanza d’amore oltre che per mancanza di fede…
La dimensione vocazionale “del” fidanzamento
A questo punto parlare di dimensione vocazionale “del” fidanzamento equivale a chiedersi a cosa mira questa attuale verifica del “fidarsi”. Mira semplicemente a fidarsi di “amarsi per sempre”. La dimensione vocazionale del fidanzamento diventa quindi impegno di verifica se la propria ideaaspettativa sull’amore combacia con la legge intrinseca della natura dell’amore e dell’amare. E qui non si scherza. Non si può amare come pare e piace. L’amore non è un fai da te. Anche Gianni Morandi cantava: “L’amore ha i suoi comandamenti”…
Noi, in tutta semplicità, affermiamo che la natura dell’amarsi è fatta di rispetto, dialogo, tenerezza. Vivere la dimensione vocazionale del fidanzamento diventa vivere autenticamente il rispetto totale della libertà e originalità dell’altro (e non viverlo come facciata esterna, ad esempio) come modo d’essere e non come prova o esperimento. Cosa sono allora sottili soprusi, derisioni, vanterie, prevaricazioni, urla?
Vivere la dimensione vocazionale del fidanzamento diventa mettersi veramente a nudo per consentire all’altro di comprenderci nella nostra imperfetta e disarmata umanità (fare solo lo spogliarello del corpo o balbettar erotismo è sovente dialogo di corpi cui manca il dialogo dei cuori e delle anime).
Vivere la dimensione vocazionale “del” fidanzamento è essere teneri nei modi (gesti) e nel tempo (pazienza). E qualora la vita di coppia fosse caratterizzata così, ne trarrebbe giovamento anche la vita sociale e a lungo andare ne risentirebbe in senso positivo la medesima cultura oggi così aspra, ciarliera, frettolosa.
Di più, ne otterrebbe riconoscimento lo stesso nostro Dio. Il nostro è infatti un Dio rispettoso (inventa la libertà), dialogante (pur di mantenere i rapporti parla, si incarna, si trasforma in pane), tenero (è nel soffio di un vento leggero…). E questo Dio chiama primariamente i fidanzati a “fidarsi” per convincerli che da ciò deriva tutto il resto. E per gli errori e le presunzioni? C’è, da fidarsi ancora. Dell’offerta del perdono. A sapervi ricorrere. Ma questa è fede, o meglio, amore totale.