Quando la celebrazione è davvero “vocazionale”?
Sposarsi nel Signore non è una cosa naturale
“Quando l’Amore vi chiama, seguitelo”. Come percepire e sentire che si è chiamati non solo a rispondere l’uno all’altra, ma a rispondere insieme a Colui che chiama? La celebrazione del Sacramento del Matrimonio non sembra evidenziare, finora, nelle parole e nei gesti che lo sposarsi nel Signore sia una vocazione (si è chiamati a seguire in due Cristo e a fare di Cristo il nuovo corpo sponsale) e una missione (non ci si sposa per se stessi).
Un rito ancora povero e sbrigativo
Il rito del Matrimonio viene “salvato” dalla celebrazione della Eucaristia, ma in sé è uno dei riti sacramentali più poveri, messo a confronto, per esempio, alla ricchezza della liturgia dell’altro Sacramento del Servizio: l’Ordine. Spesso il rito del Matrimonio viene consumato in modo frettoloso e anonimo; si respira poco la sua potenza di “segno-sacramento”, cioè, di come la storia d’amore unica e irripetibile di questo uomo e di questa donna diventi in Cristo una storia che libera e salva.
Lo stile vocazionale della celebrazione nasce dal cammino di preparazione
Come riconoscere che il Matrimonio è vocazione quando nessuno chiama? Cristo chiama attraverso la Chiesa. Quando e come la Chiesa “chiama” i due? La celebrazione del Matrimonio avviene al termine di un cammino di preparazione, cioè, di un tempo di discernimento non solo sulla “idoneità” a sposarsi, ma a “sposare in coppia Cristo”.
Sarebbe importante, durante gli itinerari di preparazione, insieme con la conoscenza-coscienza del matrimonio come vocazione, una celebrazione solenne comunitaria con il Rito della Chiamata dei due fidanzati (di solito in gruppo) e la loro presentazione alla comunità. Dopo la liturgia della Parola il Vescovo o il parroco, a nome della Chiesa, “chiama per nome” i due, i quali “si alzano”, “si staccano” e “vengono fuori” dagli altri, e si incamminano in mezzo alla loro gente e si pongono sul presbiterio “di fronte” alla comunità.
È un Rito che rivela ai due, alle loro famiglie di origine e ai testimoni che vengono già invitati a questa celebrazione e alla comunità il senso “vocazionale”, cioè, comunitario del Matrimonio.
Si presentino coloro che devono essere consacrati nel Matrimonio
E per la Celebrazione Nuziale? Ecco alcuni segni che possono comunicare una coscienza “vocazionale” del Matrimonio. Prevedere, ad esempio, prima del Consenso e della Promessa, cioè, come introduzione-premessa al Rito nuziale, il Rito della Chiamata dei due sposi, modulata sulla espressione “si presentino coloro che devono essere consacrati nel Sacramento dell’Amore”: “N. e N.”, con la loro risposta: “eccomi”o “eccoci”.
Dopo di che i testimoni (o uno dei testimoni) presentano i due alla comunità ecclesiale come “degni” non solo a sposarsi, ma a “sposarsi nel Signore e nella Chiesa”.
Un’altra modalità: lo sposo entra in chiesa e prende posto nel banco dei fedeli insieme con i suoi familiari e invitati dalla parte destra e altrettanto fa la sposa che si pone dalla parte sinistra. Al termine della Liturgia della Parola (e della Omelia) si pone il Rito della Chiamata che può essere svolto in questo modo: mentre viene proclamato il testo biblico “l’uomo lascerà suo padre e sua madre” (lo sposo si alza, saluta e si stacca dai suoi genitori) “si unirà alla sua donna” (lo sposo va a “prendere-accogliere” la sposa la quale si alza, saluta e si congeda dai suoi genitori) “e i due diventeranno una carne sola” (i due si incamminano insieme in mezzo alla comunità-popolo e si dispongono come “sacerdoti del Sacramento del Matrimonio” in un luogo significativo del presbiterio, comunque, sempre “di fronte” e non “di spalle” alla comunità).
Attraverso una adeguata educazione della comunità e degli sposi circa la scelta dei testimoni, è importante che venga maggiormente valorizzata la loro presenza, prevedendo, secondo il cammino di fede degli sposi, una dichiarazione-presentazione alla comunità circa “la dignità” degli sposi a celebrare in Cristo e nella Chiesa la loro vocazione sponsale.
Altri segni-gesti. Il rito nuziale, mantenendo l’essenzialità della forma attuale potrebbe essere introdotto dalla domanda del celebrante: “N. e N., cosa domandate alla Chiesa”? con una risposta formulata dagli sposi. Il Rito potrebbe, inoltre, contemplare l’Invocazione allo Spirito Santo o il Canto del Veni Creator e/o l’invocazione dei Santi (magari col nome di alcune coppie di sposi santi!).
“Io, N., chiamo te, N., come mia/o sposa/o”
E ancora. Perché non ipotizzare, nella formula della promessa, la possibilità di sostituire al verbo di “proprietà-conquista” “prendo”, il verbo biblico “chiamo”: “Io, N., chiamo te, N., come mio/a sposo/a”? Quando un uomo lega una donna a sé e lega la propria vita a quella di lei, e viceversa, in quel momento diventa “uno che chiama”, un propositore di senso e di vocazione alla vita dell’altra/o.
La preghiera dopo la promessa può essere arricchita dalle parole della Scrittura: “N. e N., il Signore che vi ha chiamato è fedele e non deluderà la vostra speranza”. Non è il prete che “li sposa”, non sono loro due che “si sposano”, è Dio che li unisce in una nuova storia-vocazione-missione. Al termine della Liturgia evidenziare in modo chiaro che loro due non tanto si sono sposati-sistemati con la benedizione di Dio e della comunità, ma che, ora, inizia la loro vocazione-missione.