Quando un CDV è frutto ed è a servizio di cammini di comunione
Le domande che ci assillavano nel settembre del 1991 erano di questo genere: “Dopo ventitré anni è possibile riaprire un seminario? E su quale modello? Con quali criteri?”. La riapertura del Seminario Minore non pareva opportuna per la scarsezza di mezzi e di forze. Inoltre si era venuto a creare un “buco” di oltre vent’anni che scoraggiava ogni iniziativa; mancava l’humus all’interno del quale un discorso di questo tipo avrebbe potuto attecchire. D’altro conto la nostra diocesi denuncia una mancanza di vocazioni che con l’andare del tempo si è fatta sempre più preoccupante. Certamente questa situazione ci ha spinto a rivalutare e a potenziare la Pastorale Vocazionale, anche se la pressione maggiore veniva dalla constatazione che una Chiesa senza vocazioni è come una madre sterile.
Come tentativo di rispondere a tutto ciò il Vescovo invitò due sacerdoti appena ordinati a prendersi cura di due giovani in ricerca vocazionale. Iniziava una forma di vita comunitaria che poco a poco c’indicò la strada. Constatavamo che all’interno della comunità e nella comunione di vita con gli altri Dio parlava più chiaramente al singolo. È come se la comunità facesse da altoparlante. Si cercava di mettere in luce ogni aspetto della vita comune: dal lavoro all’apostolato, dallo studio al riposo, dall’aggiornamento alla vita di preghiera. Si lavorava in casa e in curia, si frequentava l’Istituto di Scienze Religiose, si pregava insieme durante la giornata con la liturgia delle ore e si celebrava giornalmente l’Eucaristia. I colloqui personali, anche con il vescovo, erano il luogo privilegiato per mettersi nella verità, all’ascolto di Dio.
Ci preoccupava il reale inserimento nella chiesa locale; in questo modo si creavano quei rapporti che fanno sentire membra di un corpo, parte di una famiglia. Da qui l’aiuto costante ad alcuni parroci nei fine settimana, l’assidua presenza agli incontri del clero, una fattiva collaborazione nei momenti comuni diocesani. Importante il rientro settimanale in famiglia: era l’occasione per andare più in profondità nel rapporto coi genitori e coinvolgerli nel giusto modo nel discernimento vocazionale. Talvolta, infatti, era necessario il distacco netto, e quindi responsabilizzante; altre volte si sono dovuti risolvere dei rapporti problematici coi familiari.
I dieci giovani che in quattro anni hanno potuto vivere e frequentare la comunità avevano un’età compresa tra i diciannove e trentacinque anni. Sono definiti “vocazioni adulte”, ma abbiamo voluto proporre questo periodo di cammino senza preoccuparci dell’ulteriore prolungamento degli anni di formazione. Potevamo costatare in parte quanto l’ingresso al Seminario Maggiore fosse facilitato. Era,. inoltre, un periodo propizio per il discernimento vocazionale in quanto il giovane, non vivendo in seminario, si sentivameno sottoposto a pressioni esterne. Non vogliamo affermare che tali strutture non siano adatte al discernimento vocazionale, ma che esse sono pensate ed organizzate soprattutto per la formazione dei candidati. Dinanzi alla paura dei nostri giovani di scelte totalitarie e alla visione di ammirazione-a-distanza che essi hanno della vita consacrata, strutture più agili di accompagnamento e mediazione ci sembravano più adatte.
Alla fine del quarto anno abbiamo dovuto portare delle variazioni a quest’impostazione. Motivi pastorali hanno determinato lo spostamento dei sacerdoti che componevano la comunità ed abbiamo notato la scarsa attitudine dei presbiteri diocesani alla vita comune. Non per mancanza di volontà, ma per evidente carenza d’educazione a questo stile di vita e per fragilità di motivazioni. In questo periodo si va aprendo un capitolo nuovo. Sempre convinti che la condivisione dell’esperienza quotidiana, alla luce del Vangelo, sia un metodo efficace per l’accompagnamento e il discernimento vocazionale, una nuova piccola esperienza comunitaria va prendendo forma.
Si è partiti in ogni caso da premesse diverse. Innanzi tutto il passato ci ha insegnato che l’adesione alla vita comune deve essere una scelta libera. Per questo tipo d’esperienza non è sufficiente un assenso “formale” alla volontà dei superiori. Se in altre occasioni ciò può bastare, in questo frangente non intervengono “strutture” esterne a sorreggere la decisione. Per capirci: ad esempio, in un seminario, se gli animatori incontrano delle difficoltà, l’adesione a Cristo, la vita spirituale, il regolamento, le norme consuetudinarie, l’autorità dell’incarico ricevuto, il cammino ministeriale ecc., rappresentano dei validi appoggi per sostenere e “sostenersi”.
Nella nostra esperienza il perno, il nucleo, è rappresentato dalla vita di comunione tra noi presbiteri. Ciò si rende visibile e verificabile nella vita comune. Le altre “strutture” sono secondarie, anche se importanti. È evidente che la testimonianza della mutua e continua carità sia il segno imprescindibile della “sequela Christi”. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). È l’amore che porta nella collettività la presenza di Gesù che chiama (Mt 18,20). È l’amore che testimonia l’autenticità e la bellezza della chiamata. È proprio l’amore reciproco che vogliamo per questa comunità come la norma delle norme, la premessa di ogni altra regola.
Mi rendo conto che spesso noi presbiteri diocesani siamo troppo proiettati “ad extra” la pastorale ci fa trascurare tanti aspetti della vita del presbiterio che da soli sono un formidabile annuncio vocazionale.
Non parlo del semplice ritrovarsi, ma dell’esperienza della “famiglia soprannaturale” che possiamo avere tra noi. Che poi non è altro che ‘esperienza dei discepoli con Gesù. Abbiamo ricavato da questi anni anche altri suggerimenti, ma è chiaro che alcune scelte dipendono dalle circostanze e dalle disponibilità. In ogni modo ci sembrava opportuno che questa comunità si potesse appoggiare ad una parrocchia: per la fase di discernimento potrebbe essere meglio, anziché una situazione “super partes” come il seminario.
Attualmente la nostra piccola esperienza comunitaria presenta una caratteristica singolare: siamo in tre e ciascuno dirige un ufficio diocesano; il Centro Diocesano Vocazioni, il Centro Famiglia Diocesano, l’Ufficio Catechistico – settore Giovani. Si può ben immaginare il volume di lavoro, ma dobbiamo affermare che la collaborazione sta dando i suoi frutti. A partire dalla programmazione cerchiamo di procedere in un cammino unitario, arricchendoci e sostenendoci reciprocamente. Ci sono innegabili vantaggi per la comunicazione tra gli uffici (!) che è comunicazione umana e allo stesso tempo, divina. Forse prima di studiare varie forme di comunicazione per annunciare il Vangelo della vocazione ai giovani d’oggi, potremmo spendere un po’ più tempo per comunicare veramente tra noi…