N.06
Novembre/Dicembre 1997

Come educare i giovani in parrocchia all’obbedienza della fede

Se dovessi riassumere in una frase l’esperienza personale e pastorale circa l’educazione dei giovani all’obbedienza direi che “l’educazione all’obbedienza nasce da una vita d’obbedienza”. Mai come in questo caso il significato etimologico dei termini educare e obbedire esprimono il contenuto e la metodologia dell’azione stessa.

E-ducere – obbedire: accompagnare, condurre fuori, dare retta. I due termini si richiamano reciprocamente (non ci può essere vera educazione senza obbedienza) e nello stesso tempo esigono un’altra categoria, quella della relazione interpersonale. Ripercorrendo la mia esperienza cristiana, colgo quattro cardini su cui si impernia la mia vita d’obbedienza.

 

 

I quattro cardini

Tutto inizia quando, sicuramente per una grazia particolare di Dio, da una situazione fissa – dove tutto era scontato e definito – per un incontro avvenuto in un particolare momento della mia vita, avverto la chiamata ad uscire da me e a lasciarmi condurre dalla Parola di Dio che quel mio amico di gioco e di avventure mi proponeva come norma di vita. Così scopro che tutto nasce, cresce e arriva a maturazione dentro una relazione personale concreta, sensibile, che apre e mette in rapporto con Dio-Persona, Tu unico e definitivo di ogni uomo.

In questa relazione di chiamata e risposta di cui la Parola accolta e vissuta è “sacramento”, (intendo questo termine come luogo d’incontro dove si celebra un’alleanza tra Dio che è Padre e me), si sperimentano l’unità del proprio essere, la gioia dell’esistere, la bellezza e la grandezza della propria identità percepita come amata da Dio e fatta per Lui. In questo momento l’obbedienza risulta adesione piena di slancio e d’amore, “necessaria” per la realizzazione di se stesso. L’esperienza fatta si deposita nel profondo del cuore, direi che diventa profezia di una “terra” che si sa concreta, reale, e nello stesso tempo, da raggiungere. Si stagliano così dentro due cardini, il fratello e la Parola. Sono queste due realtà, profondamente collegate tra loro, le “mani” del Padre che ti si offrono per l’accompagnamento.

La mia esperienza si sviluppa ulteriormente: accanto e insieme a me ci sono altri giovani che ora sono in cammino. L’unicità della Meta, dell’Origine, della Strada contiene una chiamata chiara ed inequivocabile: la fraternità. È la scoperta di un terzo cardine fondamentale perla realizzazione personale: mi piace scorgere nella vita di comunione coi fratelli “l’abbraccio del Padre” che per la crescita e la realizzazione di ciascuno stringe a sé in un unico abbraccio. Innanzi tutto essa è vita di noi con Gesù, e vita di Gesù tra noi. Qui obbedire è fondamentalmente amare l’altro, perdersi nell’altro, misurarsi con l’altro. Il modello è Gesù Cristo che si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce, per questo dicevo che è vita con Gesù. Il frutto è la presenza del Signore che ha promesso di essere lì dove due o più sono uniti nel suo nome. È un’esperienza profondamente arricchente, la dimensione personale che è venuta più in risalto è quella della libertà; da sé, dai propri progetti, dai propri limiti; dall’altro, dal suo giudizio; dai metri della produttività e dai canoni del successo.

Giungo al termine degli studi di teologia con questa “ricchezza” interiore e affronto così il “mondo” con questa libertà. C’era un ulteriore scoperta da fare, la scoperta del quarto cardine, grazie al quale la vita di comunione diventa vita di unità, riflesso di quella vita trinitaria che Gesù ha portato sulla terra. Perché “quell’abbraccio” nel quale ero stato attratto e avvolto potesse raggiungere altri, tutti quelli che avrei incontrato nella mia vita, devo legarmi stabilmente e concretamente ad altri, donando continuamente le mie proprietà, i miei affetti, le mie intuizioni, perché tutto quello che possiedo, penso, faccio possa essere riflesso del Padre. Anche qui si presenta un’ulteriore chiamata “…mi ami tu più…” (Gv 21,15) e si apriva un’ulteriore cammino: “…ti porterà dove tu non vuoi…” (Gv 21,18).

La solenne promessa di obbedienza fatta il giorno della ordinazione sacerdotale nelle mani del Vescovo e il successivo abbraccio rende compiuto il cammino, che di lì ripartiva nella quotidianità di una comunità presbiterale, nella quale concretamente, l’amore di Dio mi fa vivere.

 

 

L’incontro con il Signore da parte dei giovani e la conseguente esperienza di sequela

Una sera vengono a farci visita dei ragazzi, i quali erano stupiti che dei giovani preti (eravamo due), dopo alcuni mesi di attività pastorale, non avessero proposto e intrapreso nessuna iniziativa per coinvolgere i giovani della parrocchia. Candidamente rispondiamo che quelle cose che si aspettavano da noi (incontri-dibattito, gite), potevano farle anche da soli; noi avevamo da raccontare loro un modo di vivere, di rapportarsi… se erano interessati potevano venire a trovarci.

Non diamo ulteriori spiegazioni. Il sabato successivo vengono in tanti e continuano a venire: il Vangelo scandisce i nostri incontri e permette, man mano che singolarmente ci si apre alla grazia, l’Incontro. Quello che costato è che questi giovani, man mano che entrano in rapporto personale col Padre, condividono con altri la loro vita, con una generosità e totalitari età sorprendenti. Capisco più profondamente il “venite e vedrete” di Gesù ai due discepoli di Giovanni il Battista e soprattutto il “vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere…” che Gesù annuncia a Natanaele.

Il secondo capitolo del Vangelo di Giovanni a mio avviso fa cogliere questa dinamica della sequela: dalla testimonianza-invito, attraverso l’incontro con Gesù che illumina e reinterpreta la vita, al coinvolgimento di altri, alla intimità col Padre nella quale si risulta introdotti. La vita come obbedienza diventa logica, anzi non si riesce a concepirla al di fuori dell’obbedienza.

Sento di poter dire che ciascuno di quei giovani ha chiesto “Signore cosa vuoi che io faccia?”, e questo continuano a farlo non in una dimensione intimista, ma relazionale. Molti di essi vivono oggi la loro vita di sposi, di padri, di operai, di impiegati, o liberi professionisti come risposta ad un’interpellanza sempre nuova di Dio e in una continua tensione al discernimento.

In questi anni, nove fra ragazzi e ragazze hanno maturato una scelta alla vita consacrata.

Certamente riflettendo su tale esperienza vengono fuori anche delle linee metodologiche che hanno nella Parola vissuta, nel Fratello e nella comunità le dimensioni qualificanti. Nella prassi della comunicazione costante delle esperienze interiori, nei colloqui regolari e nei momenti di verifica comunitaria gli strumenti concreti per una maturazione personale, che rimane sempre e solo opera dello Spirito Santo.