N.06
Novembre/Dicembre 1997

Comprendere per vivere il voto di obbedienza nella formazione alla vita consacrata oggi

La Vita Consacrata (VC) è un po’ come il moto perpetuo: non si può comprendere ed esprimere se non in chiave dinamica. Una dinamica che attua e realizza un movimento (una tensione) di quotidiana sequela della voce di Cristo, di perenne disponibilità al soffio leggero dello Spirito, di infaticabile testimonianza dell’amore del Padre.

Questa dinamica, per meglio esprimerci, è relazione dialogica con il fondamento e il fine, il punto di partenza e di arrivo della VC stessa, l’amore di Dio. La VC in questa incessante sequela ha espresso il meglio di sé lungo l’arco della sua lunga e benedetta storia. È sufficiente andare alla considerazione della straordinaria ricchezza dei carismi e delle forme ministeriali con le quali la VC li ha espressi lungo i secoli fino ad oggi; oppure ricordare la vivace varietà delle vite di molte persone consacrate, autentici pellegrinaggi della fede e affascinanti avventure umane.

In forza di ciò non esiste un ritratto o una statua della VC: non sarebbe credibile e nemmeno sarebbe possibile pretendere di mettere fermi e in posa coloro che vivono al soffio dello Spirito. Piuttosto la VC ci consegna una serie di istantanee che, una dopo l’altra, esprimono e descrivono un movimento, una relazione, una tensione, verso cui la VC non si stanca di rivolgersi e che rappresenta il suo dono specifico alla Chiesa. In questa chiave di lettura dinamica possiamo considerare i voti, da sempre elemento fondante e tipicamente espressivo dell’idèntità della VC. L’Esortazione apostolica “Vita consecrata” li descrive in questo modo:

I consigli evangelici sono dunque un dono della Trinità Santissima. La vita consacrata è annuncio di ciò che il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito compie con il suo amore, la sua bontà, la sua bellezza[1].

E ancora, più avanti:

(I consigli evangelici) sono espressione dell’amore che il Figlio porta al Padre nell’unità dello Spirito Santo. Praticandoli, la persona consacrata vive con particolare intensità il carattere trinitario e cristologico che contrassegna tutta la vita cristiana[2].

I consigli evangelici, dunque, richiamano la VC alla sua chiamata originale, la indirizzano sul cammino della sequela verso quella realtà d’amore, di bontà e di bellezza alla quale è irresistibilmente attratta. I voti, in altre parole, indicano la strada della sequela e ritmano i passi di questo perenne andare verso Dio, unico bene, vero amore, piena libertà dei consacrati.

In questa luce siamo invitati a considerare il voto di obbedienza e il cammino di formazione che conduce ogni giovane chiamato a dare alla propria vita la forma che il progetto del Padre, l’amore di Cristo e il soffio dello Spirito hanno pensato per lui.

Se è vero che la formazione di ogni vocazione è un lento e paziente cammino di con-formazione a Cristo, nel caso della formazione al voto di obbedienza è necessario che questo principio pedagogico venga ribadito ed evidenziato nella sua valenza sostanziale e strategica. Il voto infatti chiede la disponibilità di mettere in gioco alcune dimensioni costitutive della vita dei giovani, come la pienezza dell’amore e della libertà che vanno rispettate e valorizzate in quanto santuari di umanità e di divinità. L’obbedienza del consacrato infatti può diventare espressione della sua piena e realizzata umanità e delle sua trasparente e generosa esperienza di Dio. In questo caso è segno efficace e contagioso della bellezza, della bontà e dell’amore di Dio, volontà buona intorno alla quale vale la pena di costruire e rischiare la vita. E ancora, è segno eloquente e trasparente di una vita realizzata e felice e per questo veramente beata.

Mentre dunque ci poniamo di fronte al tema dell’introduzione al voto di obbedienza, mettiamoci prima in ascolto obbediente della realtà antropologica e teologica che ne costituisce il fondamento.

 

 

L’obbedienza che rivela l’amore

In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. (1 Gv 4,9-12).

Ogni definizione, per definizione, costringe un concetto o un’idea dentro una specie di gabbia o di casella, all’interno della quale sia possibile guardarla, studiarla e conoscerla. A questa regola non sfugge nulla, e il pericolo sempre presente di ogni definizione è quello di essere inadeguata ad esprimere ciò che intende descrivere.

Però, ci sono alcune realtà che non perdono il loro significato neppure dentro una scatola interpretativa come può essere una definizione. Al contrario, la loro ricchezza di significato, nel momento in cui viene messa a fuoco rivela tutta una sua dimensione che non può essere né interamente afferrata né totalmente compresa, ma solo intravista, intuita. In una parola, tutto il suo mistero. È allora che la definizione diventa una specie di balbettio, un andare a tentoni e per similitudine, un’affermazione per negazione (attraverso la rassegna di ciò che essa non è). È allora che ha più significato il silenzio che la parola e la tensione verso il significato apre alla relazione con la realtà più che alla comprensione delle idee.

L’apostolo Giovanni nella sua prima lettera dice questo al riguardo di Dio: nessuno lo ha mai visto e nessuno arriverà mai a conoscere il suo mistero insondabile. Ciò che noi conosciamo di Lui lo dobbiamo alla relazione che Egli per primo ha stabilito con noi: relazione che introduce nel mistero attraverso l’amore che Gesù è venuto a rivelare. In questa relazione d’amore Dio si rivela, fa conoscere il suo nome e chiama i suoi figli ad una partecipazione piena, perché abbiano vita vera nel suo nome. La tensione verso la qualità di questa relazione, l’amore, secondo l’apostolo identifica quelli che hanno fatto piena esperienza della realtà dell’amore di Dio.

Veniamo introdotti in una dinamica molto simile quando ci accostiamo alla definizione di voto di obbedienza: lo possiamo dire e comprendere soltanto all’interno di una relazione, di un rapporto dinamico e di amore. È quello che appare in modo evidente anche nella definizione del voto di obbedienza del documento Vita consecrata:

L’obbedienza, praticata ad imitazione di Cristo, il cui cibo era fare la volontà del Padre, manifesta la bellezza liberante di una dipendenza filiale e non servile, ricca di senso di responsabilità e animata dalla reciproca fiducia, che è riflesso nella storia dell’amorosa corrispondenza delle tre Persone Divine[3].

Possiamo comprendere pienamente il voto di obbedienza e introdurre ad un cammino di formazione verso di esso soltanto all’interno di una dinamica che evoca la ricchezza misteriosa della relazione con l’amore di Dio e la tensione verso l’espressione libera di questa realtà. L’obbedienza ci consente di accostarci più da vicino alla relazione di Cristo con il Padre, alla relazione dei credenti con la bontà di Dio, allo stile di relazioni che esprime la consacrazione della propria vita all’amore di Dio.

 

 

Manifestazione di libertà

La vita e l’opera di Gesù di Nazaret manifestano agli occhi dei discepoli la pienezza dell’identità del Figlio. Egli realizza in sé l’incontro tra due dimensioni apparentemente antitetiche: l’obbedienza e la libertà. In Gesù esse convergono verso un unico obiettivo che ha la capacità di esprimerle nella loro ricchezza, senza mortificare il loro dinamismo interiore: la volontà buona del Padre. È proprio la volontà del Padre la Verità nella quale obbedienza e libertà sono una sola realtà in stretta relazione dinamica. E Gesù lo rivela chiaramente ai suoi e tutti coloro che ne ascoltano la voce e scrutano la dinamica. E Gesù lo rivela chiaramente ai suoi e tutti coloro che ne ascoltano la voce e scrutano le azioni.

È veramente libero perché il suo unico cibo è fare la volontà del Padre e non si lascia tentare né allettare dall’inganno del potere, dalla vanità della gloria, dalla sicurezza del possesso, dalla comoda conformità alla Legge. In queste realtà non c’è relazione, ma dipendenza. In esse non c’è movimento, ma schiavitù.

È veramente obbediente perché vive pienamente la disponibilità a lasciarsi attrarre dal progetto del Padre, fino alla sua espressione più autentica e trasparente: il mistero pasquale di passione – morte – risurrezione. In esso la relazione si realizza in un modo così intenso che nessuna catena e schiavitù, nemmeno quella oscura e gravosa della morte possono contenere la sua Gloria di Figlio prediletto del Padre.

La vita di Gesù è dunque la manifestazione di come l’obbedienza, nella relazione con la verità che è la volontà buona di Dio, è espressiva della libertà autentica e dell’amore pieno.

 

 

Libertà e obbedienza

La VC comprende l’essenza dei consigli evangelici, e del voto di obbedienza in modo particolare, in questa manifestazione di libertà e di amore. Lo afferma anche l’Esortazione Vita consecrata:

(La VC) ripropone in modo particolarmente vivo l’obbedienza di Cristo al Padre e, proprio partendo dal suo mistero, testimonia che non c’é contraddizione tra obbedienza e libertà[4].

Proprio in questo consiste il voto: esso esprime insieme

l’atteggiamento del Figlio che svela il mistero della libertà come cammino di obbedienza alla volontà del Padre e il mistero dell’obbedienza come cammino di progressiva conquista della vera libertà[5].

È interessante notare e sottolineare la correttezza “dinamica” e “relazionale” di questa riflessione dell’Esortazione post-sinodale. Ciò che appare in rilievo non è tanto il versante morale del voto, quanto quello relazionale: esso è rapporto d’amore che mette in gioco la possibilità umana di mettersi in relazione con la verità di Dio (la libertà) e la capacità di aderire alla sua volontà (l’obbedienza). Per questo lo spazio strategico del voto legato agli atteggiamenti più che alle opere: essi sono lo spazio dinamico della relazione, laddove la persona sceglie il “modo” nel quale vuole agire e in quale misura desidera aderire alla verità che ha scoperto “adeguata” al suo anelito verso la felicità. Come per Gesù, così per la VC il voto di obbedienza vuole dunque essere la manifestazione di come l’obbedienza, nella relazione con l’amore di Dio, è espressiva della stessa libertà autentica e dell’identico amore pieno.

 

 

La via della mediazione

La VC vive questa manifestazione della dinamica dell’amore in una dimensione propria: la comunità. Ci viene ancora una volta in ausilio l’Esortazione Vita consecrata quando afferma:

La vita fraterna è il luogo privilegiato per discernere e accogliere il volere di Dio e camminare insieme in unione di mente e di cuore[6].

Appare chiaro come l’accento è posto non soltanto sull’ambiente comunitario come luogo fisico nel quale si pongono in atto atteggiamenti e dinamiche obbedienti, ma anche sulla modalità comunitaria di vivere la relazione cui introduce il voto di obbedienza. Libertà e obbedienza infatti, esprimono nella comunità tutta la loro carica dinamica, dal momento che vengono “innescate” da una logica comune: la mediazione. La manifestazione piena della libertà e dell’obbedienza nella VC percorre la via privilegiata della mediazione. È nella mediazione comunitaria che la libertà cessa di essere un’idea astratta e virtuale e inizia ad essere stile di vita virtuoso, che è confronto e incontro, progetto e desiderio comune. È nella mediazione comunitaria che l’obbedienza viene raffinata e riportata all’essenza del suo fondamento di valore, a scapito di una mal-intesa indipendenza e una mal-intenzionata dipendenza. La mediazione comunitaria, infatti è tensione comune verso quella verità dell’amore che si rivela con il nome di carità. Una verità che non ammette la solitaria impresa di temerari pionieri, tanto è profonda, alta e grande; ma invece richiede la comune attenzione e disponibilità di una comunità di persone che rinunci di farsi misura e centro del progetto di Dio e metta al servizio dell’ascolto del progetto di Dio tutta la libertà e creatività, obbedienza e capacità di fiducia di cui è capace. Nella logica della mediazione, tensione viva verso la verità dell’amore (la carità), assumono un peso specifico ed un significato proprio termini “delicati” come autorità e fraternità, dialogo e paternità. La mediazione ha la forza di svelarli nella loro valenza positiva e profetica:

“contro lo spirito di discordia e di divisione, autorità e obbedienza risplendono come segno di quell’unica paternità che viene da Dio, della fraternità nata dallo Spirito, della libertà interiore di chi si fida di Dio nonostante i limiti umani di quanti lo rappresentano”[7].

 

 

La formazione nella logica della con-formazione

Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,4-8).

Possiamo affermare ora di avere davanti a noi gli elementi più importanti che ci consentono di impostare il percorso formativo al voto di obbedienza in un istituto di vita consacrata. Abbiamo infatti messo in evidenza i tre punti di riferimento del nostro modo di intendere il voto stesso, e cioè:

– Cristo e la sua obbedienza filiale sono il fondamento esemplare e il significato pieno dell’obbedienza dei credenti: in lui essa è manifestazione dinamica dell’amore al Padre e della piena libertà della sua persona;

– la VC si specchia in questa dimensione dinamica nella quale obbedienza e libertà sono elementi indispensabili di una sequela che è tensione verso l’amore, la bontà, la bellezza di Dio;

– la via della fraternità e della mediazione sono il luogo e la modalità in cui libertà e obbedienza entrano in relazione dinamica e conducono i consacrati alla verità piena dell’amore: la carità di Cristo.

In questa triplice prospettiva affrontiamo il versante pedagogico del nostro tema.

 

 

Secondo il modello di Cristo

L’azione educativa della VC è fondamentalmente un cammino che accompagna e guida la persona chiamata a riconoscere la propria immagine di figlio amato dal Padre nell’icona di Cristo, Figlio prediletto, primogenito tra molti fratelli. Il modello dunque della formazione è Cristo. Il suo modo di amare, il suo modo di essere libero sono il riferimento nel cammino di formazione ai consigli evangelici. In modo particolare, l’icona della “kenosi” descritta nell’inno della lettera ai Filippesi evidenzia la dinamica di questo cammino che forma alla sequela:

“tutta l’azione educativa tende a creare nel giovane quella stessa totale disponibilità o quel sentimento d’amore immenso che ha spinto il figlio a farsi uomo, a divenire servo, umile e obbediente, libero di dare la vita per amore”[8].

Cristo e la sua esperienza di obbedienza al Padre non sono soltanto il modello “formale” della formazione. Al contrario, proprio perché l’obbedienza totale e generosa di Gesù al Padre lo rende persona del tutto libera e capace di amore, questo fa di Cristo il modello essenziale e strategico del cammino di formazione. In altre parole, la formazione al voto di obbedienza non si basa su un modello cultuale o di perfezione morale, ma su una persona vivente, Cristo, e sul suo modo di incarnare in maniera esemplare la relazione al Padre e la realizzazione della sua umanità. In questo quadro insieme teologico e antropologico prende vita il processo di formazione[9].     

Nell’obbedienza di Cristo, espressione piena del suo amore e della sua libertà, è contenuta l’immagine del giovane consacrato che si vuole formare.

 

 

Formazione come con-formazione

In questa logica si riesce a comprendere la riflessione di Vita consecrata che delinea l’obiettivo centrale del cammino formativo (“la preparazione alla totale consacrazione di sé a Dio nella sequela di Cristo, a servizio della missione”[10]) e l’itinerario che conduce ad essa (“si tratta di un itinerario di progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo verso il Padre”[11]).

È chiaro che in questa dimensione di con-formazione a Cristo, di assimilazione dei suoi sentimenti, di configurazione al suo modello di figlio, l’obbedienza intesa come espressione matura di libertà e amore non è soltanto un obiettivo finale nel cammino di formazione, ma risulta essere elemento strategico e dinamico. In altre parole, nella progressiva espressione della sua disponibilità all’ascolto, nel crescere della sua scoperta della relazione con la volontà buona di Dio, nell’esperienza sempre più compiuta dell’abbandono fiducioso (in una parola, nell’obbedienza), il giovane chiamato progredisce nel suo cammino di conformazione. La crescita nella dinamica dell’obbedienza diventa movimento e tensione verso la scoperta piena della propria verità e liberazione della propria umanità. La coscienza della propria identità di consacrato e l’espressione della carità sono dunque i segni visibili di un riuscito processo di con-formazione che è l’anima della formazione e avviene ad opera della tensione dell’obbedienza credente.

L’obbedienza, quindi, emerge in primo piano nel cammino formativo e si pone come elemento nodale: è insieme possibilità di realizzazione della relazione con il progetto del Padre e compito per una piena maturazione della personalità dei chiamati e in modo particolare della loro libertà. In essa si rivela e si mette in gioco tutta la dimensione dinamica e relazionale che è insita nel cammino formativo.

 

 

Dalla libertà all’obbedienza e viceversa

L’itinerario che introduce al voto dell’obbedienza è un’autentica sfida alla libertà del giovane chiamato. Può forse apparire più logico e più facile il contrario: al voto dell’obbedienza si giunge dopo aver piegato la volontà e la libertà a vantaggio della sottomissione e della dipendenza. Se ancora oggi esistesse qualcuno che la pensa così, è bene chiarire che questo non ha niente a che fare con il significato vero dell’obbedienza, la quale è fondamentalmente valore espressivo di amore e libertà e non del loro contrario.

Abbiamo parlato di autentica sfida, perché il valore della libertà si pone come obiettivo e metodo formativo nel cammino verso l’obbedienza, impegnando ad un tempo la qualità della proposta dei formatori e verificando la tensione della risposta dei giovani in formazione. Infatti, non si può mettere una persona in cammino verso la comprensione e l’espressione di una donazione totale e generosa della sua vita secondo il progetto che ha scoperto in Dio, se non dentro l’esperienza dinamica della libertà, luogo della sua verità, spazio della sua relazione, energia del desiderio di dono autentico.

La libertà è dunque il vero centro della formazione all’obbedienza, punto di partenza e di ritorno. Come far crescere la libertà e con essa la maturità dei giovani chiamati? Possiamo delineare due dimensioni specifiche della VC e per questo tipicamente formative della libertà del giovane chiamato alla vita consacrata.

 

Libertà e mediazione comunitaria

La VC, come abbiamo già evidenziato, è chiamata a vivere la sequela nella mediazione della vita fraterna: in essa i consacrati cercano insieme la volontà di Dio e uniscono i loro cuori e la loro volontà nell’espressione visibile del suo progetto. La via della mediazione comunitaria è concreta espressione di una relazione libera e perciò obbediente all’amore del Padre.

L’esperienza della mediazione comunitaria forma la libertà dei giovani chiamati alla ricerca della verità di Dio (il suo progetto) nell’amore e nella relazione con coloro con i quali condividono una stessa vocazione. La fraternità, il dialogo, la correzione fraterna, il perdono, il servizio dell’autorità, la paternità spirituale, divengono autentica mediazione di quell’identità nuova alla quale il Signore chiama i suoi figli, nella quale possono riconoscere il loro vero volto e il loro progetto di vita.

L’obbedienza a questa chiamata instaura una relazione d’amore e di disponibilità verso tutti coloro che ne sono mediazione. E, dall’altro versante, la scoperta della propria verità rende i giovani chiamati ancora più capaci di libertà che si esprime in creatività e generosità; disponibilità e freschezza di tensione verso Dio.

La mediazione della comunità, quando è autentica e convinta, può diventare vera esperienza formativa della libertà e quindi dell’obbedienza.

 

Libertà e dipendenza

L’esperienza della libertà si accompagna normalmente con quella della dipendenza. L’ideale di una libertà totalmente legata ad una situazione di indipendenza da ogni tipo di relazione è utopia oppure condanna alla solitudine. Piuttosto, dal momento che la dipendenza è un dato di fatto della nostra vita, possiamo scegliere liberamente da cosa e da chi dipendere:

L’uomo è libero non nella misura in cui non dipende da nessuno (cosa impossibile), ma nella misura in cui sceglie di dipendere da ciò che ama e che è chiamato ad amare (cioè dalla verità alla libertà), al punto che l’intensità dell’amore per essa determinerà anche la libertà di dipendere e il suo chiamato ad amare (cioè dalla verità alla libertà), al punto che l’intensità dell’amore per essa determinerà anche la libertà di dipendere e il suo grado di libertà generale[12].

Il cammino di formazione della libertà e dell’accoglienza passa attraverso il confronto con la dipendenza. Il giovane chiamato alla vita religiosa cresce nella sua libertà quando fa l’esperienza di voler dipendere non dall’imposizione di un altro, ma precisamente dalla sua libera scelta della carità verso i fratelli e dell’amore verso Dio. Spesso la carità diventa impegno esigente e quotidiano, e insieme anche consolante e dolce, capace di spingere lontano da se stessi e molto vicino all’amore senza limiti di Dio. Così è anche l’obbedienza all’amore del Padre: esigente e quotidiana, piena di consolazione e di fascino, capace di rivelare orizzonti molto più ampli del ristretto ambito della propria presunta indipendenza fino a mettere in relazione con l’amore di Dio. L’esperienza della libertà che accoglie come buona per la vita l’obbedienza all’amore è esperienza di libertà vera.

Potremmo chiudere questo intervento come lo abbiamo iniziato: parlando del moto perpetuo della VC. In realtà esso si è rivelato nella sua attualità e potenzialità proprio parlando del voto di obbedienza. Continuiamo a credere e evidenziare che la VC è santuario dell’incontro tra amore di Dio e quanto esiste di più autenticamente umano, come la libertà e l’amore espressi nel consiglio evangelico dell’obbedienza. Da questo incontro fluisce un percorso virtuoso, frutto dello Spirito, che vivifica la Chiesa e la rende oggi attenta alla chiamata del suo Dio, accogliente verso gli uomini e coraggiosa nell’essere “buon segno”dei tempi. Un percorso virtuoso ricco di tensione verso l’autentica esperienza di Dio e la piena maturità umana che la VC custodisce come esperienza di obbedienza e tesoro di amore e libertà. Alla ricchezza di questo tesoro è necessario continuare ad accostare le giovani generazioni, perché non manchi mai alla sua Chiesa la manifestazione viva dell’amore di Cristo verso il Padre e della libertà che è frutto dello Spirito.

 

 

 

 

 

Note

[1] GIOVANNI PAOLO II, Vita consecrata. Esortazione apostolica postsinodale, 1996, n. 20. In seguito l’Esortazione verrà citata semplicemente con la sigla VC seguita dal numero cui il testo si riferisce.

[2] VC, 21.

[3] Ivi.

[4] VC, 91.

[5] Ivi.

[6] VC, 92.

[7] Ivi.

[8] A. CENCINI, Formare alla libertà, in Testimoni, 10/1996.

[9] Cfr. A. CENCINI, Ivi.1

[10] VC, 65. 

[11] Ivi.

[12] A. CENCINI, Liberi nel cuore, in Testimoni, 8/1997.