N.06
Novembre/Dicembre 1997

La dinamica dell’obbedienza nella direzione spirituale

Tra le cause della crisi della direzione spirituale e del suo abbandono negli ultimi decenni, c’è stato il rifiuto di ogni autorità, della “figura del padre” e l’accresciuto senso di autosufficienza anche nel cammino spirituale in linea con quel movimento di emancipazione che ha interessato molte categorie fuori e dentro la Chiesa. Dopo il Concilio Vaticano II, si è imposta una nuova valorizzazione dei laici, un concetto nuovo di autorità e di obbedienza, “umanizzante” perché attiva e responsabile. Un nuovo modo di praticare l’obbedienza si è diffuso tra presbiteri e Vescovo, tra i religiosi, nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali.

 

La crisi del modello obbedienza nella direzione spirituale

Anche la figura del “direttore spirituale” è stata messa in crisi, per quella carica di imperatività e di estrinsecismo, di obbedienza non motivata e di volontarismo che evocava. La stessa definizione di “direttore” è stata sentita come troppo insistente sulla centralità della sua funzione, e sono stati messi in dubbio sia l’accesso incondizionato alla vita intima del diretto, sia l’elaborazione dall’esterno della spiritualità di un cristiano che appariva perdere così ogni responsabilità personale.

Questo approccio molto critico, se è giustificato per degli abusi che certamente si sono verificati a causa di personaggi (chierici e religiosi!) non abbastanza rispettosi della libertà e della coscienza degli altri, consacrati o laici, troppo pii o troppo deboli, non è privo di problemi.

Nella tradizione monastica antica, infatti, come al Padre spirituale veniva richiesto moltissimo (doveva avere carità, saper vincere le proprie cattive inclinazioni, pregare per i suoi discepoli, avere il dono del discernimento, della purezza di cuore che abilita alla contemplazione, della profezia nell’annuncio della parola, e il tutto meglio se unito alla esperienza, alla scienza, alla conoscenza dotta delle Scritture[1]), così anche al discepolo era chiesto molto.

Quando è possibile il monaco deve affidarsi ai padri riguardo al numero dei passi da fare e delle gocce di acqua da bere nella sua cella, se in queste cose non vuole cadere[2].

L’obiettivo della paternità spirituale era di portare dalla schiavitù alla libertà dei figli di Dio, ma ciò poteva avvenire solo a patto che il figlio spirituale manifestasse tutti i pensieri del suo cuore e i movimenti dello spirito. Il monaco Giovanni Cassiano, grande maestro spirituale, esorta i discepoli a portare tutto allo scoperto davanti al padre spirituale affinché le suggestioni perdano il loro veleno[3]. Inoltre il figlio spirituale deve rinnegare se stesso, la sua volontà, per sottomettersi alla volontà di Dio; per questo si deve sottomettere ad un padre spirituale. A lui si deve obbedienza piena, egli parla in nome di Dio grazie al dono del discernimento (che però non tutti gli anziani hanno) e mostra con la sua vita come agire. Si tralascia dunque il proprio discernimento, ma a ragion veduta e non ciecamente, davanti ad un discernimento ritenuto maggiore del proprio, perché proveniente da un personaggio che unendo un grande cammino di purificazione ascetica a dei doni straordinari dello Spirito Santo è in grado di generare spiritualmente.

 

Direzione spirituale e vocazioni: chiedere obbedienza o no?

Cos’è la direzione spirituale a servizio dell’orientamento vocazionale?[4]. Quando si tratta di accompagnamento verso scelte vocazionali essa ha un ruolo importantissimo; e in essa l’obbedienza allo Spirito che conduce il chiamato attraverso tanti segni e messaggi: la direzione spirituale dovrebbe abilitare a riconoscerli con gli occhi della fede e ad accoglierli. La guida è nello stesso tempo uno di questi strumenti che il Signore utilizza e colui che ammaestra all’obbedienza alla propria chiamata. Ma il cammino della direzione spirituale per l’orientamento vocazionale è complesso.

È soprattutto qui, infatti, che dovrebbero emergere le ispirazioni dello Spirito che conduce un chiamato verso una risposta definitiva; è qui che si dovrebbero esaminare le motivazioni più profonde per fare discernimento negli inevitabili intrecci tra le motivazioni veramente germinative, quelle strumentali e quelle spurie. La continua verifica della vita concreta per valutare se è coerente con le esigenze della vocazione a cui ci si sente chiamati, se non si vuole che le inconsistenze minino alla base le scelte, è ineludibile. Così come è necessario il confrontarsi con i valori, se si vuole un’identità stabile e integrata, sostegno di ogni atto di autentica autotrascendenza verso Dio. Discernimento, verifica e confronto sono operazioni spesso dolorose, ma aumentano la libertà e l’autenticità dell’obbedienza, dunque fanno progredire nella santità e nella realizzazione della vocazione.

Quindi nell’accompagnamento spirituale con finalità vocazionali, è necessario rispettare la libertà del chiamato (“se vuoi”), però allo stesso tempo la si deve far incontrare con i valori più radicali del Vangelo e alla fine con Cristo stesso. È necessario educare nel senso di far emergere le indicazioni profonde del Maestro interiore, ma nello stesso tempo bisogna formare, modellare una personalità su un carisma della vita consacrata o su una spiritualità ministeriale, che hanno contenuti già prefissati, oggettivi. Più c’è obbedienza libera alla propria vocazione e più la persona diventa ciò che dovrebbe secondo Dio, con vantaggio per la vita della Chiesa e per l’avvento del Regno.

Il problema non è dunque obbedire più o meno al direttore spirituale, ma allearsi, guida e chiamato, per discernere e accogliere la volontà di Dio su quella persona, rispettando il suo mistero, ma anche favorendone l’apertura e la disponibilità a trasformarsi secondo il dono ricevuto. Se il cammino che si propone nella direzione spirituale, come in ogni altro ambito educativo, non tiene conto del mistero dell’uomo – in perenne tensione tra capacità di infinito e limiti materiali – rischia la duplice tentazione o di 

un certo autoritarismo che pronuncia oracoli rimanendo esteriore alla persona, ed approfitta del desiderio di dipendenza

o di un certo

liberalismo, che “lasciando fare” approfitta del desiderio di autonomia

finendo entrambi per soccombere l’uno alla tentazione del dominio, l’altro a quella dell’abbandono della persona.

In entrambi i casi l’individuo non è raggiunto dall’opera educativa, il mistero della persona non viene rispettato, ma viene tradito[5].

 

 

Pedagogia oggettiva o soggettiva e vocazione

La guida spirituale animata da realismo cristiano, come agisce? Non è né libertaria e permissivista, né autoritaria e paternalista. Parte dalla vita concreta del chiamato e prende in considerazione le sue domande, le sue lotte e le sue ansie. Esse sono occasioni preziose per arrivare al mistero della persona.

Il primo errore da evitare è lasciare il soggetto fermo al livello dei problemi che pone (= non direttività) senza favorire la discesa in profondità per scoprire la vera domanda sottostante che è quella che lo aprirebbe al Mistero di Dio. Una pedagogia solo “soggettiva” trascura, di fatto, la persona e la abbandona.

Il secondo errore è che sia la guida stessa a dare gli orientamenti (= direttività), non permettendo al chiamato di fare discernimento sulle risposte e autocorreggersi nella libertà per essere più autentico nella scelta delle motivazioni vocazionali. Una pedagogia solo “oggettiva” corre il rischio di far sì che i valori rimangano estrinseci, imposti e sopportati anziché interiorizzati.

L’unica via è quella di far incontrare il chiamato e i valori vocazionali attraverso un’educazione lenta e progressiva all’uso della libertà, che non è mai spontaneismo, né determinismo[6]. Bisogna superare la tentazione della ricerca di soluzioni facili, di certezze che derivino da esperienze immediate, illuminazioni che tolgano ogni dubbio, oppure da ragionamenti logici, matematici.

Per arrivare a decidere la propria vocazione, o per scegliere tra due beni il maggiore, non si può fare a meno di consultare i desideri e i responsi spesso contraddittori del proprio cuore, analizzare gli stati emotivi e i rapporti interpersonali, per arrivare ad una verità che non si presenterà mai come una certezza assoluta alla quale aderire senza rischi, e specificamente senza il rischio della fede.

La guida spirituale realista sa che l’appropriazione del vero e del bene, anche riguardo alla scelta vocazionale, non avviene immediatamente (= ottimismo), senza il travaglio della critica delle intenzioni e dei desideri del soggetto. Né i valori oggettivi di ogni vocazione cristiana sono una realtà estrinseca indipendente dallo sguardo e dal desiderio del chiamato da assumere una volta per tutte. Essi vivono se sono accolti in un’interiorità che continua a porsi domande e a lasciarsi chiamare, che continua a perdersi per ritrovarsi. L’oggettività è frutto di una soggettività autentica[7].

 

 

Obbedienza all’interno del colloquio spirituale

Si potrebbero individuare diversi livelli o tipi di rapporto spirituale che si stabiliscono tra la guida e il chiamato: l’intensità di essi influirà sul tipo di obbedienza. Il p. André Louf, studioso della spiritualità monastica antica ed esperto anche di scienze umane, distingue tre tipi di accompagnamento spirituale a livelli di profondità e di obbedienza crescente:

– il dialogo di accompagnamento, la forma più frequente e praticata da diverse figure (un fratello maggiore nella fede, un altro membro della comunità, un educatore, un amico ecc.); esso avviene in clima di fraternità e di amicizia spirituale, perciò la persona tiene in grande conto l’aiuto che riceve, ma prende le sue decisioni con una certa autonomia;

– la pedagogia spirituale, più specifica e meno comune, dove il maestro (o direttore) spirituale accompagna per un periodo più o meno lungo, ma molto intenso della vita spirituale in vista di un obbiettivo concreto: una scelta vocazionale, un periodo di formazione, il noviziato, una crisi o una svolta nella vita, una prova particolare. La guida qui può anche essere proposta da altri e deve essere competente per raggiungere l’obbiettivo specifico in un tempo a volte limitato. Riguardo all’oggetto specifico di questo accompagnamento il discepolo concede all’intervento del maestro o direttore spirituale la priorità su quello di ogni altro confidente o su quello della comunità;

– il padre spirituale: figura abbastanza rara, come è stata concepita nell’antichità e soprattutto in oriente, è dotato di un carisma particolare per cui egli partecipa alla paternità di Dio in un modo originale e intenso. È un dono che si riceve, non si può presumere di esserlo solo perché viene affidato il ruolo. Si stabilisce con lui un rapporto unico e irripetibile fonte di grazia, di generazione spirituale e di scelte decisive. A questo tipo di paternità, rara, si accede con una grandissima disponibilità e trasparenza di cuore e le si concede grande autorità su di sé, sempre nella libertà dell’amore, finché è necessario per il proprio cammino spirituale[8].

 

 

 

 

 

Note

[1] S. CONSOLI, La direzione spirituale nella storia, in AA.VV. La Direzione spirituale oggi, ed. Dehoniane Napoli, 1981, pp. 26-27.

[2] ANTONIO IL GRANDE, in Vita e detti dei Padri del deserto, 1, Roma 1975, p. 94, n. 38.

[3] G. CASSIANO, Conferenze spirituali 2°, X-XI, in S. CONSOLI, o.c., p. 28.

[4] Il CNV organizza da più di dieci anni seminari su questo tema. Vedi AA. VV. Direzione spirituale e orientamento vocazionale, EP, Milano 1993; AA.VV., Direzione spirituale e accompagnamento vocazionale, Ancora, Milano 1996; AA.VV. Direzione spirituale e maturità umana, Ancora, Milano 1997.

[5] F. IMODA, Sviluppo umano, psicologia e mistero. Piemme, Casale Monferrato 1993, p. 13.

[6] F. IMODA, o.c., p. 355-57. 

[7] Ivi, p. 356.

[8] A. LOUF, Generati dallo Spirito, ed. Qiqajon, Bose 1994, pp. 54-59.