N.01
Gennaio/Febbraio 1998

I sentieri della gioia per un mondo giovanile sedotto dalla new age

Restringiamo subito il campo delle nostre riflessioni lasciando da parte esiti di inchieste sociologiche e di studi psicologici sui sentimenti di euforia o disforia che accompagnano il mondo dei giovani. Scegliamo piuttosto di lasciarci educare dalla Parola, seguendola liberamente, più per provocazioni puntuali che attraverso un’esegesi sistematica.

Teniamo solamente come attenzione di sottofondo la patina un po’ nebulosa della new age che porta a cercare un equilibrio tra ogni elemento, ogni sentire e pensare, accomunando, in un acquario senza troppe onde, diversità o valori contrastanti. Per questo la nostra ricerca si snoderà sui passi di una giovane donna, Rut, che vive in un mondo agreste, lontanissimo da noi nel tempo, ma abitato da un soffuso desiderio di serenità e di pace solcato prematuramente da dolori e solitudini profonde.

Un viaggio in compagnia di Noemi, madre più che suocera di Rut, verso la Casa del pane quella Betlem che diviene meta di ogni uomo in profonda ricerca di ciò che sazi la sua fame di pace,. per sempre. In Rut vogliamo indicare i giovani che incontriamo, a cui ci sentiamo a volte “stranieri”; in Noemi ci identifichiamo noi adulti, educatori ed educati allo stesso tempo: educati anzitutto da Dio, poi dalla storia, poi da ogni giovane che incontriamo. Tutto deve educarci, condurci fuori per ritornare all’originale novità di una fede gioiosa e feconda.

 

 

Una terra deserta, come il cuore

Betlem non aveva più pane, non era più fonte di gioia quando, al tempo dei giudici, narra il Libro di Rut, Elimelech e sua moglie Noemi cercarono possibilità di vita in terra straniera. La vita era grama se nacquero loro due figli che, già nel nome, portavano il marchio del dolore: Maclon (Malattia) e Chilion (Fragilità). Cercavano libertà in terra straniera, lontano da quelle tradizioni, da quegli usi, da quelle parole che erano tutta la ricchezza di Israele.

Sembra un po’ la storia del figlio prodigo. Sembra un po’ la storia di tanti nostri adolescenti che vanno, lontani e stanchi, perché il pane della comunità cristiana si è fatto scarso per loro. Vanno e cercano un pane che li soddisfi, un futuro su cui non vogliono scommettere troppo, già malaticcio, a volte, nelle premesse, proprio perché con il respiro corto. Eppure ci vanno con la voglia di accasarsi, di imparare usi e costumi.

Scrive Manuel, un diciassettenne che appartiene agli hip hop (gruppo importato dall’America che veste abiti larghissimi e si dà ai graffiti): “Noi vogliamo comunicare con i colori quello che sentiamo, andando al di là delle parole e dei concetti. Per questo disegniamo sui muri o sui treni. Per capirci bisogna avvicinarsi ed entrare nel nostro mondo, senza giudicarci prima. Quello che abbiamo da dire è chiaro. Basta volerlo capire”. Può capitare che, in questo sforzo di avvicinarsi per capire, gli educatori restino irretiti nei lacci dei compromessi, quasi che, scendendo a patti con gli adolescenti, si potesse comprare la loro fiducia. Anche Noemi si era accasata in terra straniera: “dieci anni” sono molti; due nuore straniere erano il segno di un radicale mutamento di mentalità. Dio entra con la sua irruenza in questa situazione, visita le due donne con il dolore per dare loro la forza di alzarsi e tornare. È lo shub della conversione, un ritorno fisico e geografico che simboleggia un più profondo ritorno del cuore. Alle donne che l’accolgono a Betlem Noemi dice addirittura di aver cambiato nome. “Chiamatemi Mara, perché l’Onnipotente mi ha tanto amareggiata! Io ero partita piena e il Signore mi fa tornare vuota. Perché chiamarmi Noemi, quando il Signore si è dichiarato contro di me l’Onnipotente mi ha resa infelice?” (1,20-21). Infelice, vuota (sahar, cioè deserta) è la situazione esistenziale di Noemi. Potrebbe sembrare il punto di partenza peggiore per essere scelta da Dio a dire qualcosa di nuovo alla sua nuora e alle donne che si erano mantenute fedeli a Betlem.

Quali prerequisiti per condurre qualcuno ad incontrarsi con il Signore della pienezza e della vita? Non mi pare che Noemi potesse definirsi tale. Eppure Dio la sceglie: Noemi diviene il segno di una novità inaudita.

La bellissima espressione che Rut pronuncia per indicare la sua volontà di seguirla passa attraverso una testimonianza che può apparire fragile, sicuramente segnata dalla sconfitta. Il Dio che Noemi sta ritrovando è colui che l’ha lasciata sola e non le ha risolto i problemi esistenziali. Tuttavia è il Dio che “visita” il popolo e Noemi lo ha sentito dire, anche se da lontano. Quello che colpisce in questo inizio di ritorno è la profondità degli affetti e la gratuità assoluta di un legame che non cerca nulla per sé. Ci sono parole intense che esprimono tutto ciò, parole insistenti, ripetute, quasi fino al limite del bisticcio.

Noemi conduce con sé Rut non perché abbia già le risposte pronte, ma perché sa abitare il conflitto, sa restare fedele, puntando con coerenza verso quella meta a cui il cuore la conduce. Rut non riesce a formulare un esplicito atto di fede nel Dio di Israele ma afferma: “Dove tu andrai io andrò, dove ti fermerai io mi fermerò. Il tuo popolo sarà il mio popolo, il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove tu morrai io morrò e vi sarò sepolta” (1,16-17).

C’è in questi distici che si richiamano specularmente tutta la forza di un’umanità presa così sul serio da lasciar trasparire il mistero di Dio. Dio è Dio di una persona di una storia, di un volto e di un cuore di donna che continua a cercarlo come Colui che dimora nella Casa del pane e sa sfamare chi si avvicina. È il tempo della mietitura quando le due donne giungono a quella casa.

 

 

Mi hai parlato al cuore

Inizia una seconda fase del cammino in cui Rut e Noemi (i giovani e noi) sono invitate a mettere in atto tutte le loro potenzialità. Anche qui la nota dominante è costituita dalla capacità di relazioni semplici ed immediate. Le parole di Noemi rivelano interesse alla persona di Rut, non vogliono esporla a fatiche eccessive, ma contemporaneamente non la sottraggono al rischio e alla fatica: “Dove hai faticato oggi?” (2,19).

Poter parlare con questa franchezza con i nostri ragazzi, ogni sera, senza paura che essi fatichino. Allora sapranno tirar fuori quello che hanno spigolato, magari non granché, ma frutto del loro impegno. Ci sono alcuni passaggi nel comportamento di Noemi ed anche in quello di Booz, il parente che diverrà il riscattatore, che possono costituire uno specchio per le nostre relazioni educative.

Accogliere

Noemi accoglie nella propria casa la nuora come “figlia”; così pure Booz riceve la giovane tra i suoi servi e la lascia spigolare.

Incoraggiare

“Va’”, invita Noemi; “rimani con i miei giovani”, invita Booz.

Provvedere

“Vieni, magia, bevi…”. Booz sa farsi attento alle necessità fisiche, come Noemi che invita Rut a riposarsi della giornata e a raccontare…

Velare

Qui soprattutto l’atteggiamento di Booz va evidenziato: egli dice ai suoi garzoni di lasciare appositamente cadere spighe perché Rut possa raccoglierle. Avrebbe potuto darle sacchi già pieni, ma sarebbe stato umiliante.

 

Ecco, questi atteggiamenti fanno crescere nei nostri giovani la gioia, perché, non sottraendoli dall’impegno li conducono, poco a poco, ad affrontare la fatica e a saper donare ciò che, laboriosamente, hanno potuto ottenere: “Rut tirò fuori quello che era rimasto del cibo e glielo diede” (2,18).

 

 

La menuakh

Noemi si pone una domanda circa le sue responsabilità nei confronti di Rut: “Non devo io procurarti una situazione di serenità (menuakh) perché tu sia felice?”.

Alla domanda della suocera corrisponde, nel testo biblico, una situazione ben precisa. Non vogliamo soffermarci su quella. Ci interessa piuttosto il clima di tenerezza e di serenità diffusa che pervade anche situazioni scabrose, al limite del lecito… Noemi non teme di affrontare i disagi, gli intrighi, le contraddizioni dell’amore e della sessualità. Ne parla con la sicurezza e la libertà di chi sa leggere il progetto di Dio scritto nella dualità uomo-donna.

Il pansessualismo diffuso ci impedisce, a volte, di affrontare con chiarezza con i nostri giovani il tema dell’amore ed allora si pecca o di intransigenza o di lassismo. Saper camminare sull’aia, all’aria aperta e saper vedere la dolcezza di un’amicizia pulita e la fragranza di feste che profumano di natura… Condurre i giovani a riscoprire come ci si può divertire imparando a guardare la rugiada che scende sui campi… Poesia? Forse! Ma credo che tra questa poesia e la contemplazione intercorra un legame stretto.

Non si legge all’inizio della Parola “ed era molto buono… molto bello”? Bello e buono quel rapporto uomo donna in cui è racchiuso il segreto della felicità? Se non si raggiunge una maturità in campo affettivo la via della felicità è preclusa.

Ed allora la preoccupazione di Noemi non è semplicemente, come può suonare la traduzione italiana quella di offrire a Rut una “sistemazione”, ma piuttosto quella di condurla in uno stato di serenità in cui il cuore abbia trovato l’ubi consistam, o come direbbe S. Agostino il pondus (“Amor meus et pondus”).

L’amore di Rut e Booz si colloca nella dinamica dell’alleanza e da essa trae la sua forza e la sua profezia. La sana laicità di un amore vissuto nelle sue valenze più umane, purificate e rese forti anche dalla sofferenza, dalla ricerca, dall’impegno, conduce a quella maturità che consente sia un’apertura alle dimensioni coniugali che a quelle verginali dell’amore.

Un altro consiglio di Noemi è molto opportuno: “Sta quieta, figlia mia, finché tu sappia come la cosa si concluderà” (3,18).

Se dapprima Rut era stata invitata alla intraprendenza, a rompere gli indugi e ad usare tutte le sue qualità, intellettuali, affettive, fisiche, ora è invitata alla prudenza che le consente di rispettare i tempi, di non bruciare le tappe, di non ergersi a protagonista di un progetto di vita in cui un Altro è Colui che conduce i passi di tutti.

 

 

Benedetto Colui che fa rivivere!

L’itinerario che abbiamo cercato di seguire sui passi di Rut e Noemi ci conduce allo stupore e alla lode vedendo un frutto inaspettato all’inizio. Inaspettato perché il futuro di queste donne era segnato dalla sterilità; inaspettato perché Rut non rientrava nelle vie ufficiali che Dio avrebbe dovuto percorrere per concedere la salvezza!

Il figlio che nasce da questo delicato intreccio di sofferenze, timori, amori appena abbozzati, attenzioni, dialoghi, desideri, è l’antenato del Messia. Rut vede il suo nome associato alla benedizione delle grandi madri di Israele: Rachele e Lia. Giungere a questa benedizione, che è fonte di gioia, è possibile perché un itinerario di paziente ascolto, di lettura sapienziale degli eventi, di interpretazione anche coraggiosa della Parola e delle sue indicazioni ha saputo condurre Noemi ad una comprensione non statica dell’esistente.

Quando Giovanni Paolo II parla del “genio femminile” forse intende riferirsi anche a questo modello di donna astuta e sapiente. Rut si è lasciata sospingere in un’avventura di cui all’inizio non era consapevole e forse, solo alla fine, quando contempla quel figlio che è “figlio di Noemi” come acclamano le donne di Betlem si renderà conto che, in realtà quello è il figlio suo, consegnato alle sue future fatiche e che dovrà riconsegnare alla comunità dei credenti perché sia “obed” servo da cui potrà nascere quella stirpe di servi che il Signore benedice e a cui riserva la gioia dei servi fedeli.

Ma dobbiamo pure notare che anche Noemi riscopre la propria fecondità tenendo sulle ginocchia il figlio della promessa e dell’attesa dei veri poveri. Condurre i giovani sui sentieri della felicità, quella che nasce dalla logica evangelica del chicco di grano, aiuta anche ogni educatore a rileggere il proprio modo di essere fecondi nell’orizzonte del Regno.