N.02
Marzo/Aprile 1998

II CDV e il suo Direttore: una interpretazione “spirituale”

E’ doverosa una breve “premessa”. Se capisco bene, il senso di questo intervento va nella linea di un “contributo esperienziale”, per far emergere una “tipologia” del Direttore del CDV, oggi. A parte l’avversione quasi insuperabile a parlare in prima persona, ho costatato praticamente l’impossibilità a scindere la figura del Direttore dallo stesso CDV, per cui le immagini tendono a “sovrapporsi”; raccontare del Direttore è in definitiva raccontare del proprio CDV: e questo, però, credo potrebbe essere un primo dato da registrare, cioè una certa identificazione. C’è da aggiungere, per onestà, che quanto andrò dicendo fotografa una certa “realtà” ma a partire dalle ‘intenzioni’: si sa che poi l’esecuzione degli intenti lascia sempre qualche lacuna da colmare. Tra l’ideale e l’esperienziale, dunque, con la più sincera convinzione, questo sì, e con discreti limiti. 

 

 

Privilegiare il taglio spirituale

Per me significa un dato di fatto molto semplice. Essendo Padre spirituale in Seminario mi porto questo tipo di deformazione professionale che non è difficile avvertire. Ma questo dato mi suggerisce una seconda notazione, che si potrebbe qualificare di tipo esperienziale, ed è che non sempre il cosiddetto “multincarico” viene per nuocere.

Certo ci sono dei limiti; e certe lamentele che toccano specialmente i Direttori di piccole Diocesi non solo le capisco, ma le condivido. Anch’io ho provato ad essere contemporaneamente insegnante in Seminario, Direttore dell’Ufficio Catechistico, Padre Spirituale, Direttore del CDV… senza contare altri balzelli minori… Non è serio. Ma che il Direttore del CDV sia piantato come un albero in un certo terreno pastorale (dalla parrocchia ad altro incarico diocesano), può costituire la solidità della struttura di base del Direttore e l’opportuno veicolo del suo ancoramento a tutta la realtà pastorale della sua Diocesi.

Questo mi sembra tanto più vero in quanto, come si sa, “il vocazionale” più che un settore è una “dimensione” di tutta la pastorale. In questo senso ben venga il multi-incarico, quando non è spropositato.

 

 

Un direttore “non direttivo”

Prendo in prestito un po’ dal mondo della pedagogia: c’è un tipo di educazione e di rapporto educativo, chiaramente direttivo: proposta, regola di vita, disciplina, verifica, eventuale correzione, rilancio…

Un secondo tipo è di rapporto criptodirettivo: nella sostanza come il primo, ma con metodologie più velate e più “furbe” per fare andare le cose come si è già deciso.

Ed infine un metodo educativo cosiddetto “non direttivo” che non rinuncia ai valori e alle proposte, ma tende a valorizzare al massimo le ‘risorse’ delle persone e a responsabilizzarle in libere scelte personali.

Anche questo, in certo senso, è una deformazione dei Padri spirituali chiamati ad ascoltare molto più che a vendere una propria merce per quanto buona e attraente essa possa essere.

Così mi pare di cogliere la tipicità di un direttore che, come mi sforzo di fare anch’io:

 

– Cerca di cogliere e valorizzare possibilmente “tutto l’esistente.

Ovviamente va distinto il CDV come nucleo operativo o Consiglio ristretto che si può chiamare Segreteria, Ufficio, Comitato esecutivo, Organismo di servizio o quant’altro. Ma il Centro Diocesano Vocazioni nella sua interezza viene definito come luogo di comunione (Cfr. P.P.V. n. 54). All’inizio del mio lavoro ero un po’ travagliato da questo dilemma: compiere una “selezione” rigorosamente rappresentativa o coinvolgere le sensibilità vocazionali il più ampiamente possibile? Ad esempio cooptare al CDV: un membro di Istituti di vita apostolica maschile e femminile; un membro di Istituti o realtà missionaria…; un membro del Seminario; un membro degli Istituti secolari; una famiglia…, possibilmente senza dimenticare nessuna componente vocazionale, ma anche senza doppioni, oppure sganciarmi dal rigido criterio della rappresentatività? Mi sono reso conto che, almeno come partenza, il problema andava un po’ capovolto: non assolutizzare la struttura, sia pure vocazionale; coinvolgere subito i soggetti vocazionalmente più sensibili e poi sollecitarli ad allargare in modo rappresentativo.

La mia esperienza mi insegna che non è da temere il “sovraffollamento”. Bisogna combattere invece con tutte le forze la tendenza a burocratizzare il CDV, che sarebbe come il suo spegnimento. Il minimo di burocrazia necessaria deve scaturire da una esperienza di comunione vocazionale di persone motivate e sensibili su dei contenuti concreti di cui si dirà. Non mi dilungo a descrivere come questo lavoro paziente e praticamente infinito ho cercato di favorirlo sia direttamente sia attraverso i membri stessi del CDV. È un lavoro che non finisce mai: ogni inizio d’anno va rinnovato e rilanciato.

 

– Cerca di far sprigionare il “Progetto Vocazionale dal “Progetto Diocesano.

Anche questo è un modo non direttivo di favorire l’animazione vocazionale. Mi spiego con dei riferimenti molto semplici, che sono certo comuni a tutte le Diocesi. Anche là dove non c’è propriamente una programmazione diocesana espressa con degli obiettivi precisi, con modalità e tempi, il tutto concordato dal Consiglio Pastorale Diocesano e dal Consiglio Presbiterale, c’è un Vescovo; ed i Vescovi, si sa, scrivono le Lettere Pastorali o qualcosa di simile, facendo particolare appello agli organismi diocesani. A loro volta i Vescovi tengono conto della programmazione della CEI e delle circostanze della Chiesa universale (ad esempio: Giubileo, Congresso Eucaristico…). Non entro nei meriti dei contenuti che tutti conosciamo e di quelli più specifici della mia Diocesi: posso solo affermare che queste linee pastorali Diocesane sono miniere ricchissime dal punto di vista vocazionale.

Il CDV della mia Diocesi fa immediatamente una rilettura vocazionale delle Lettere Pastorali del Vescovo che, con lo stesso titolo, diventa ogni anno l’ispirazione di fondo del programma vocazionale.Contemporaneamente questo lo fa anche l’Ufficio perla Pastorale Giovanile proponendo le iniziative dell’anno: lectio divina per giovani, Esercizi Spirituali, giornate specifiche…; il CDV non si sovrappone: si coinvolge ed offre dei cammini di proseguimento con un taglio vocazionale più preciso, (mese vocazionale, settimane, Ritiri vocazionali, cammini di discernimento). È una esemplificazione per concretizzare quella specie di formula programmatica non direttiva che ho annotato nello schema: esserci, (esserci subito); essere in comunione, (non in aggiunta); essere in modo propositivo, (valorizzando in senso vocazionale il cammino pastorale della Diocesi).

 

– Cerca di rendere “ordinario” per la Pastorale ciò che può apparire “straordinario”: certo, nella sostanza, più che nella forma.

Non si possono fare 365 Giornate vocazionali all’anno, né un Ritiro vocazionale tutte le settimane, ma occorre tendere anche la pastorale ordinaria non manchi di “vitamine vocazionali”. Anche a questo proposito porto un esempio: il mese vocazionale per noi è il mese di gennaio: è il mese del Patrono della Diocesi, da sempre si fa la Giornata pro-Seminario. Abbiamo dilatato il richiamo dedicando ogni festa e ogni domenica di gennaio ad un tema vocazionale:si incomincia con il 1° gennaio, solennità della Madre di Dio: richiamo alla vita e alla pace. Poi c’è l’Epifania: vocazione missionaria; il Battesimo di Gesù: vocazione alla fede e al Battesimo…; e via via, passano tutte le vocazioni cristiane.

Abbiamo constatato che in tutti e tre gli anni (A B C) i richiami liturgici sono opportunissimi per far risaltare tutte le vocazioni, senza forzature. E così il CDV offre un sussidio catechistico-liturgico che aiuta a vivere vocazionalmente queste giornate e questo mese. Molti lo utilizzano; qualcuno ci ringrazia per la ricchezza vocazionale che vi scopre; qualcuno ringrazia perché ha preso il “virus” e anche nelle domeniche successive si scopre affetto da “sindrome vocazionale”. È come un orizzonte che si instaura in maniera stabile e diventa naturale vedere, parlare, sottolineare, pregare in quella direzione. Questo è il più grande successo!

 

 

Una tensione costante: l’attenzione al territorio

L’attenzione all’esistente e la prospettiva di rendere vocazionalmente robusta la pastorale ordinaria, necessariamente porta di conseguenza a dare il massimo impulso alla “presenza” sul “territorio”. Questo avviene certamente attraverso “presenze sporadiche” che il CDV assicura per servizi vocazionali di vario genere; serate di preghiera, incontri giovanili, Giornate, settimane vocazionali. Ma la presenza sul territorio deve diventare il più possibile “stabile” per la presenza in loco di un “nucleo di persone”, fortemente motivate, in collegamento con il Centro e che ripropongono in zona le iniziative e lo stile del CDV.

Per questo, da qualche anno, con uno sforzo non da poco (in termini di tempo e di spazio), si sono costituite le cosiddette “équipes zonali” o vicariali che corrispondono agli otto Vicariati in cui la Diocesi è divisa.Ogni équipe è composta da un gruppo di persone (più o meno sulla decina) che rappresentano le diverse vocazioni cristiane ma soprattutto che “credono” nell’animazione vocazionale. Sono, in genere, persone già molto impegnate nella pastorale: catechisti e membri del Consiglio Pastorale e che, come tali, hanno accesso ai punti nevralgici della pastorale sul territorio.

In Diocesi abbiamo la fortuna di avere cinque Monasteri di vita contemplativa: quattro femminili e uno maschile ed un numero notevole di Istituti religiosi oltre, evidentemente, al Seminario diocesano. Sono certo punti focali di rilevanza diocesana ma hanno giustamente una capacità di richiamo anche nell’ambito immediato del proprio territorio particolare. I collegamenti sono garantiti dagli incontri periodici del CDV a cui partecipano anche rappresentanti delle équipes vicariali e da visite che vanno dal centro alla periferia. A questo proposito un buon ruolo è giocato dai seminaristi che rendono un prezioso servizio al direttore (torna il discorso multincarico)…

 

 

Un’azione ispirata all’imperativo primario dell’orazione

L’imperativo vocazionale primario è ben noto a tutti noi e certamente continuamente citato: “La messe è molta, gli operai sono pochi, pregate dunque, il Padrone della messe che mandi operai nella sua messe”. Nessuno di noi, evidentemente, mette in dubbio questo cardine della pastorale vocazionale, che il Piano Pastorale per le Vocazioni definisce non un mezzo dell’animazione vocazionale, ma “il mezzo”, in certo senso “il motore”. Ma non è facile avere il “coraggio della coerenza” fino in fondo, in ordine a questo “primato e fondamento” di tutto l’impegno vocazionale. Il Direttore del CDV deve scommetterci e giocarsi fino in fondo.

Anche al riguardo forse giova qualche esemplificazione. Abbiamo fatto scaturire il nostro “progetto” vocazionale diocesano da una grande comune preghiera. Una “lectio” sulla pagina di Lc 1,5-79 che riguarda la vocazione e la nascita di Giovanni Battista. La formulazione stessa del piano sgorga dalla preghiera di ascolto della Parola: “che sarà mai di questo bambino?” ci chiediamo pensando al potenziale vocazionale della Diocesi, e sullo stimolo di questa domanda ci interroghiamo sulle mete e sulle modalità, terminando sull’onda dell’inno di Zaccaria (benedictus). Ogni incontro del CDV, o promosso dal CDV, inizia e termina, o si svolge interamente, in un clima di preghiera. E non per ragioni formali o di aggiustamento, ma per una logica di sostanza. Questo fa parte di quell’autoeducazione alla preghiera che rende plausibile e feconda la proposta agli altri. Anche come Regione stiamo approfondendo particolarmente questa pista: “Preghiera e vocazioni”, soprattutto in rapporto al mondo giovanile.

Tra le varie iniziative che mi trovo a promuovere sul versante della preghiera voglio mettere l’accento sul cosiddetto “monastero invisibile”. L’espressione è di Giovanni Paolo II ed è stata ripresa dal Piano Pastorale e da altri documenti ufficiali, diventando ormai un termine tecnico affermato. Per monastero invisibile si intende quella rete di preghiera che percorre, per così dire, in modo sotterraneo (invisibile) gruppi, comunità, fedeli piccoli o grandi, sani o ammalati e che costituisce praticamente una “supplica incessante” al Padrone della Messe. Sono sempre più convinto che per un Direttore di CDV questo impianto di orazione costituisce l’obiettivo primario dei suoi sforzi: è il fondamento e la premessa indispensabile per tutto il resto. Occorre accendere questi cenacoli ardenti ed alimentarne la vita.

A questo proposito aggiungo che il CDV ed il suo Direttore non devono accontentarsi della semplice “proposta a distanza” e neppure di un “appalto” concesso una tantum a qualche gruppo di preghiera particolarmente fervente. Occorre trovare delle vie di collegamento e di presenza tenendo conto certamente anche delle équipes vicariali. Personalmente ho anche cercato di rendere il monastero invisibile il più possibile monastero visibile pubblicando sui nostri strumenti di informazione diocesana tutti i gruppi, comunità, parrocchie che pregano espressamente per le vocazioni, segnalando l’ora del giorno o della notte in cui garantiscono questa preghiera.

 

 

Conclusione

Dai pochi accenni che ho raccolto per raccontarmi insieme col mio CDV di Novara si potrebbe trarre una certa conclusione. A mio avviso (e per quanto riesco nelle mie scelte concrete), il Direttore del CDV con il mandato del Vescovo che rappresenta deve operare un triplice investimento:

– investire in preghiera, (in coerenza con l’imperativo fondamentale);

– investire in persone (dando loro assoluta precedenza sulle strutture, necessarie come servizio);

– investire in comunione, cioè in Chiesa, (in armonia con quell’immagine di Chiesa-comunione che è uno dei frutti più tipici del Concilio).

E poi si tratta di amministrare con la massima diligenza ciò che germoglia e cresce, cercando innanzitutto di non impedire l’azione di Dio e la ricchezza dello Spirito.

Insomma, ci vorrebbe un Direttore che crede: sì, un credente.