Messaggio per le Comunità Ecclesiali d’Europa
Si è celebrato a Roma, dal 5 al 10 maggio 1997, presso la “Domus Mariae”, il secondo Congresso continentale sulle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata in Europa. Si sono incontrati 253 delegati provenienti da 37 nazioni d’Europa e rappresentanti di tutte le categorie vocazionali (sacerdoti, consacratile, laici e vescovi), con la partecipazione di alcuni esponenti delle chiese sorelle (Protestanti, Ortodossi e Anglicani). Il Congresso ha avuto il suo momento più intenso nell’udienza del Santo Padre con la presenza di oltre seimila rappresentanti di sacerdoti e consacratile, seminaristi e novizi/e.
1. Il secondo “Congresso continentale per le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata” ha segnato un singolare momento di grazia e di comunione per la Chiesa che è in Europa. L’incontro tra i diversi carismi e soprattutto lo scambio delle diverse esperienze e delle fatiche in atto, in campo vocazionale, nelle Chiese dell’Est e dell’Ovest sono stati un vero evento dello Spirito Santo, che ha dato nuovo vigore alla pastorale delle vocazioni nelle nostre Chiese.
Una domanda è più volte affiorata durante questi giorni: “È possibile oggi, in questa curva di storia, avere speranza in un futuro più promettente e più ricco di doni dello Spirito?”. Siamo convinti che la speranza sia la virtù d’obbligo per quest’ora; anche se essa sembra presentarsi con due volti diversi: in Oriente, è necessaria per accompagnare il faticoso cammino di avvio di una vera pastorale organica al servizio delle vocazioni, in un contesto non facile di ritrovata libertà; in Occidente, la speranza è necessaria per affrontare e attraversare positivamente questa stagione che si qualifica come tempo di crisi. Essa ci fa guardare oltre con fiducia creativa e non con animo rassegnato o rinunciatario.
2. Quando riflettiamo sulle vocazioni il realismo dei numeri sembra far riconoscere questo tempo come un’epoca difficile per la Chiesa. Siamo sfidati da una cultura della complessità e del soggettivismo, che non solo chiede un rinnovato slancio evangelizzatore da parte delle comunità cristiane, ma pone l’urgenza di conversione e di grande sforzo per restituire efficacia soprattutto alla pastorale giovanile in prospettiva vocazionale. Non si tratta di coinvolgere i giovani per un impegno a tempo determinato, ma di attivare dei cammini di fede capaci di essere terreno fecondo per risposte mature e definitive al Dio della storia che chiama sempre.
Non vogliamo certo ignorare che pure i dati statistici esprimono segnali di ripresa, soprattutto per quanto riguarda le ordinazioni sacerdotali; ma non ancora tali da controbilanciare il venir meno dei confratelli sacerdoti chiamati alla pace del Regno. Più lenta è la ripresa riguardante la vita consacrata; anche se da più parti si verifica la crescita qualitativa della testimonianza.
In questo tempo pesa sulle nostre spalle una duplice grave sproporzione: da una parte, quella tra la posta in gioco della nuova evangelizzazione, in un contesto europeo che si caratterizza come post-cristiano, e la scarsità numerica degli evangelizzatori. Ritorna sorprendentemente attuale la scena evocata dal Vangelo di Matteo: “La messe è molta ma gli operai sono pochi” (Mt 9,37). Dall’altra, si tocca con mano la sproporzione tra la fatica profusa e la povertà dei risultati. Anche sulla bocca di molti pastori, consacrati ed educatori, viene spontanea l’espressione dei discepoli di Gesù: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5,5). Tutto ciò non manca di provocare scoraggiamento e talora persino tristezza di fronte ad un difficile futuro, soprattutto in non poche comunità di vita consacrata che non vedono prospettive di ripresa.
3. Ma oltre il realismo dei numeri c’è il realismo della fede che incoraggia la speranza. Anche Gesù ha rilevato il grave divario tra le attese della messe matura e la pochezza degli operai. Anche Lui ha abbozzato una strategia per l’annuncio del Regno, i cui passaggi sono obbligati ed esemplari: il primo imperativo addita la preghiera: “Pregate”; poi chiama a sé i dodici e li manda. L’invocazione, la chiamata e la missione scandiscono i fondamentali criteri che soggiacciono ad ogni pastorale vocazionale. Alla luce di questa icona evangelica, l’esperienza di questo congresso ci ha fatto intuire che la speranza è possibile e può restituire vigore al diffuso e crescente impegno al servizio della pastorale vocazionale. Ma ad alcune condizioni.
Anzitutto è importante gettare sul nostro tempo uno sguardo sapienziale e riconciliato. È commovente ascoltare soprattutto nelle sorelle e fratelli dell’Est europeo, alle prese con i primi passi della pastorale vocazionale dopo la caduta dei regimi illiberali, esprimere le ragioni della speranza e credere nel futuro. Certo la cultura che si respira incide pesantemente sul modo di pensare e di scegliere delle ultime generazioni. La complessità e il soggettivismo possono rendere arduo l’orientamento della libertà dei giovani verso Gesù Cristo, riconosciuto capace di colmare l’attesa interiore e il movimento per il quale ogni uomo esiste. Ma il condizionamento culturale non è una novità del nostro tempo; un progetto vocazionale s’innesta sempre su una libertà da riscattare e da educare.
D’altra parte un serio e sereno discernimento ha messo in evidenza come anche i giovani d’Europa siano portatori di grandi valori, nei quali è concretamente possibile la proposta pedagogica della sequela evangelica. Tuttavia la speranza non viene incoraggiata soltanto da una visione sapienziale della storia, in cui non mancano serie nostalgie di Dio e chiari segni dell’azione dello Spirito; e neppure è confortata solo dal fatto che la struttura antropologica aperta alla trascendenza può essere disturbata ma non distrutta.
La speranza si fonda soprattutto sulla certezza che in ogni vocazione c’è un primato assoluto ed efficace di Dio, il quale è all’opera anche in tempi difficili, e resta il Signore della vita e della storia. Anche oggi può rinnovarsi il miracolo evangelico dei pani per le folle affamate. Ma pure oggi, come un tempo, Gesù non accetta il disimpegno dei discepoli, quasi una sorta di disarmo o di soluzione sbrigativa, come il rimando della gente perché ciascuna provveda a se stesso. Gesù prepara il miracolo coinvolgendo i discepoli: “Date voi stessi da mangiare” (Lc 9,13). Cinque pani e due pesci sono poco, ma sono tutto.
4. Ma questo Congresso non ha soltanto interrogato la speranza. Si è posta una seconda domanda: “È possibile oggi pensare realisticamente, per la pastorale delle vocazioni, un salto di qualità? È possibile quel sussulto profetico capace di liberare le nostre Chiese, e in particolare i sacerdoti e i consacrati, dalla patologia della stanchezza e dalla rassegnazione?”. Ci pare di rispondere positivamente se la pastorale vocazionale diventa “azione corale” della comunità cristiana, in tutte le sue espressioni.
Ciò chiede di superare alcuni atteggiamenti che possono far segnare il passo alla pastorale vocazionale e renderla fatica inefficace: come l’atteggiamento della delega, l’occasionalità delle iniziative o ancor peggio l’attesa fatalistica che la storia risolva i nostri problemi. La “coralità” è stata chiaramente richiamata durante la preparazione e la celebrazione di questo Congresso, e va tradotta in concreta prassi pastorale.
5. Anzitutto va richiamata la decisività della vocazione battesimale, la quale se portata a consapevole maturazione nel sacramento della cresima, costituisce il tessuto cristiano su cui può operare l’amore creativo dello Spirito e suscitare risposte sorprendenti. La coralità della pastorale vocazionale chiede la fede nel primato assoluto dello Spirito, sorgente di ogni carisma e ministero nella Chiesa per la Chiesa al servizio del Regno.
Ciò significa rianimare tutta la pastorale delle vocazioni con un grande “movimento di preghiera”, – nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nei gruppi, nelle famiglie – perché ogni vocazione è dono, e solo l’invocazione promuove una mentalità accogliente e un cuore disposto. Solo il radicamento in Dio rende possibile un altro primato: quello della testimonianza, che resta la fondamentale e convincente proposta vocazionale, mai sostituibile da nessuna strategia pastorale. L’uomo del nostro tempo, e i giovani in particolare, hanno bisogno di toccare con mano che il Signore Gesù è una persona veramente capace di affascinare e di gratificare le insoffocabili aspirazioni alla felicità; ma hanno pure esigenza di verificare che il radicalismo evangelico non è un’utopia, l’amore-agape non è un’astrazione, ma un’esperienza possibile e visibile già nel cuore di comunità pasquali, gioiose ed accoglienti.
È risaputo infatti che i giovani non entrano in una comunità o in un’istituzione in crisi; diventano invece pensosi e restano contagiati dalle persone e dalle comunità che sanno dare una limpida testimonianza del Cristo risorto, pure in mezzo alle difficoltà del nostro tempo. Anzi lo sguardo sapienziale su questa svolta suggerisce che la diffusa nostalgia o domanda di testimonianza è il primo dono che lo Spirito fa al nostro tempo, è la prima proposta di pastorale vocazionale; e ciò è la premessa storica anche di nuove vocazioni per le stagioni del terzo millennio.
6. La coralità richiesta dal salto di qualità della pastorale vocazionale suggerisce di prestare grande attenzione agli educatori, ai sacerdoti e ai consacrati soprattutto: alla mediazione educativa delle nostre comunità, come ha detto il Santo Padre nel suo intervento di apertura. Solo attraverso una sapiente presenza educativa, soprattutto nell’accompagnamento spirituale, la dimensione vocazionale può attraversare tutto il campo di azione nella pastorale della comunità cristiana alla scuola permanente del Cristo risorto, celebrato nei suoi misteri.
La domanda di guide spirituali è particolarmente forte: sia nelle Chiese dell’Est, dove c’è il ritorno di Dio dopo la sua esclusione sociale; e sia nelle chiese d’Occidente, dove ritorna la ricerca di Assoluto nonostante la sua emarginazione a causa di una cultura della distrazione. C’è ovunque una domanda di figure significative, capaci come il Battista, di indicare Gesù: “Ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1,36). Pertanto è necessario che gli educatori nella fede sappiano “osare” nel fare la proposta. La pedagogia di Gesù è chiara: non sono i discepoli ad esprimere il desiderio di seguire il Signore; ma è Lui a chiamare: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16).
7. Maria, Madre e modello di ogni vocazione, Regina degli apostoli, la donna pellegrina con la Chiesa nella storia, è nel cuore dei popoli d’Europa, per accompagnarli nel cammino di fede a riscoprire sempre di più Gesù, come il Signore della vita e come l’unico Salvatore del mondo. Maria è nel cuore delle giovani generazioni per aprirlo alla verità esigente ed appagante del Vangelo. Lei, la donna dell’ “eccomi”, che ha portato Gesù nel mondo, aiuti soprattutto i giovani a sperimentare la bellezza e la gioia di una vita senza riserve al servizio del Regno.