N.03
Maggio/Giugno 1998

Il giovane europeo tra chiamata e risposta

L’esperienza vocazionale è possibile viverla come un insieme di alcune decisioni che lo Spirito Santo aiuta la persona a prendere. Tentiamo, rischiando un eccessivo livello di approssimazione, ma con il pregio di qualche chiarezza, di fare una fotografia del giovane europeo collegata alle decisioni che una vocazione esige. È un approccio forse troppo funzionale, ma almeno utile per un lavoro pastorale. Dire giovane europeo è affermazione molto generica, perché l’Europa non è solo quella latina (Italia, Francia, Spagna e Portogallo) o quella occidentale, o del Nord. Oggi dire giovane europeo significa sicuramente confrontarsi con tutti i giovani dell’Est, di queste nazioni in forte cambiamento e riorganizzazione anche pastorale, significa pensare ai giovani che convivono con la guerra da quasi dieci anni. Esistono però alcune tensioni, alcune domande che legano tra loro i giovani europei e proprio in esse ci sono quegli elementi che li aiutano a decidere della propria vita.

 

 

 

Decisione per una scelta di vita

Vocazione vuol dire decidersi per la vita. Non sempre nel giovane di oggi la vita è un bene apprezzato e custodito, spesso è luogo di decisioni estreme, di paure e angosce.

 

– Il bisogno di sentirsi interpretati e rappresentati

Oggi non esiste più un progetto, un’utopia che possa fungere da supporto per l’azione, esiste invece sempre più un attraversamento smarrito di un territorio senza una vera direzione. Questa generazione ha bisogno di avere dei riferimenti in interlocutori non paternalistici, che non ti vogliono imporre la loro verità ma che sono disposti ad ascoltare il tuo malessere, la tua paura.

C’è un momento in cui i giovani non si riconoscono più semplicemente nel rapporto con mamma e papà o la sorella, hanno bisogno di riconoscersi con gli altri, di non vergognarsi delle loro emozioni e delle loro paure. Gli altri sono altrettanto spaventati anche se recitano delle parti e mettono in piedi spesso dei personaggi di bullismo, prepotenza, di capo tribù. Occorre qualcuno con cui giustamente ci si può confrontare, con cui si può parlarne.

I giovani di oggi hanno bisogno di occasioni per mettere in scena le loro situazioni, hanno bisogno di qualcuno che simpatizzi col loro bisogno d’amore e interpreti l’amore frustrato, il loro bisogno di essere accettato e la loro paura di rischiare il rifiuto.

Se questa è la percezione di sé che hanno i giovani e dei rapporti che vivono, hanno soprattutto il bisogno di vincere la disperazione a cui sono destinati senza la considerazione, il rispetto e l’amore che li dovrebbe circondare, piuttosto che di enunciazioni astratte e intellettuali. Da qui entra immancabilmente una percezione positiva di sé, una fiducia nella vita e tutti quei valori che stanno alla base della costruzione di una propria identità positiva.

 

– I nuovi modelli comunicativi

Il mondo giovanile si trova immerso e a suo agio in un modello comunicativo che l’adulto fatica a fare suo e che utilizza spesso in termini solo strumentali. Il modo di parlare dei giovani è più legato all’accostamento di immagini, di particolari, di elementi non consequenziali che a una sequenza rigorosa di strutture logiche del pensiero. La musica, l’immagine, il gioco elettronico, la realtà virtuale lo immergono in un mondo che rischia di esplodere e di non creare ponti con la realtà, nel confronto e nello scambio. Si rischiano mondi di comunicazione paralleli, che si confrontano solo per misurare il grado di non annessione possibile.

 

– La difficoltà a decidersi

Le scelte definitive o che hanno una parvenza di non ritorno sono sempre rimandate. Si pensa che da ogni situazione umana si possa ritornare indietro per una sorta di reincarnazione e ciononostante si rimandano le decisioni fondamentali. Eccedenza di opportunità, mancanza di responsabilizzazione dei genitori, clima famigliare comodo, senza confronto, difficoltà strutturali, carenza di luoghi di mutuo sostegno, mancanza di impiego di energie che guardano al futuro, possono essere le concause del fenomeno. Sta di fatto che i giovani si sentono abbandonati in una piazza, anche se hanno voglia di fare un corteo. Una comunità che non pone ideali grandi, condivisi da tutti e in cui crede, non aiuta a prendersi la propria responsabilità.

 

– Vive una vita frammentata sempre alla ricerca di nuove emozioni

I giovani sono desiderosi di affidarsi a qualcuno, ma non sanno a chi raccontare se stessi. Poche sono le esperienze di amore incondizionato che incontrano sul loro cammino. Sembra che passato e futuro abbiano perso valore e l’unica dimensione che conti sia il presente che, peraltro, vivono spesso con disagio. L’esperienza religiosa, in questa situazione, è vista come fuga dal presente, come uscita dalla storia ed é quindi difficile integrarla nella vita quotidiana.

Nello stesso tempo i giovani sono alla ricerca di sempre nuove emozioni, spingendo l’esplorazione sul significato della vita fino al limite massimo: la morte. Su di essa e su quello che c’è dopo tornano a riflettere con insistenza, esprimendo volontà di andare oltre le risposte della cultura dominante.

Ma, paradossalmente, sperimentano una grande incapacità di elaborare l’esperienza. della morte di persone ad essi vicine, cioè il lutto e non trovano adulti che li accompagnano in una ricerca faticosa ma indispensabile per trovare le ragioni di una speranza che non deluda.

 

– Ha difficoltà nel progettare il futuro

Tutti i giovani sia dei Paesi poveri sia di quelli industrializzati vivono traumaticamente il rapporto col futuro, sia perché se ne sentono derubati dal mondo adulto, sia perché non vengono garantite le condizioni minime di un progresso che sappia rispondere alle attese ultime dell’uomo. Nei Paesi più poveri non sempre il passare degli anni significa miglioramento delle condizioni di vita. Aumentano le possibilità di conoscere quello che avviene in tutto il mondo, ma ancor più cresce la consapevolezza di esserne esclusi perché degrado e povertà non accennano a diminuire.

Mentre nel mondo occidentale cresce la disoccupazione – che rende difficile o impossibile fare progetti – all’Est si consolida uno stato di dipendenza nei confronti di un occidente sempre più ricco e potente, invasivo di prodotti e non sempre di idee. Fa eccezione la musica che importa e esporta i valori di libertà e di fratellanza, di pace e di mondialità.

 

 

 

Decisione per una scelta di fede

Vocazione è andare oltre una vaga religiosità per incontrare una proposta forte del Dio di Gesù Cristo, che avviene nella libertà della fede. Il giovane europeo:

 

– vive una nuova ricerca religiosa e spirituale

Nei Paesi dell’Est la domanda religiosa dei giovani esplode inaspettata in questi anni, anche se per molti è un fatto da ricuperare, dopo anni di silenzio educativo. Oggi, contrariamente a qualche decennio fa, nei nostri paesi occidentali, i giovani sono tornati a porsi domande religiose. Sono sensibili a esperienze forti, eccezionali, capaci di far superare atteggiamenti di indifferenza che sembrano ancora persistere in certi ambienti secolarizzati. Quella dei giovani di oggi è una domanda di trascendente, che, nei Paesi di tradizione cristiana, si sviluppa su sentieri nuovi. Appare però una ricerca spesso disorientata, che non sempre incontra le proposte della comunità cristiana rischiando di perdersi in un nuovo paganesimo, in movimenti confusi e deludenti come la New Age o esperienze magiche e settarie.

 

– Esprime una forte esigenza di radicalità

Il clima di libertà che caratterizza le nuove generazioni nei confronti degli adulti e delle ideologie porta i giovani, che si pongono domande religiose, a compiere scelte più consapevoli e quindi a volere il massimo dall’esperienza religiosa. 

Non si accontentano di appartenere sociologicamente a un modo di pensare, a dei riti collettivi, a delle abitudini e tradizioni, ma vogliono cogliere il centro della esperienza religiosa. La figura di Gesù Cristo esercita ancora un fascino particolare per i giovani che vivono negli ambienti legati alla comunità cristiana o che ritornano alla fede dopo averla abbandonata nella prima adolescenza.

Non sempre, però, sono aiutati a fare di Gesù il centro della esperienza di fede, la vera risposta al bisogno di Dio. Neppure sono aiutati nella ricerca di un Padre che faccia breccia nei cuori e vinca l’insicurezza e la solitudine. Si comprende come il problema pastorale oggi non sia costituito tanto dal rifiuto aprioristico della religione, quanto dal modo in cui la fede dichiarata diviene (oppure non diviene) fede vissuta.

 

 

 

Decisione per una scelta di Chiesa

Decidersi per Cristo è decidersi per la sua comunità che è segno e strumento di comunione tra gli uomini e con Lui.

 

Il  volto della Chiesa per i giovani come si presenta oggi?

Le Chiese europee sono molto diversificate tra di loro per tradizioni, per esperienze fatte. Per esempio rispetto al mondo giovanile è indubbio l’apporto e la sterzata di impegno che vi ha inscritto la celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù in Polonia, in Spagna, in Francia. È comunque in atto una nuova primavera, fatta di consapevolezza che i giovani sono esigenti e che si deve osare di più nel fare proposte cristiane, abbandonando vecchie impostazioni antiromane da una parte e fondamentaliste dall’altra. Forse c’è ancora una popolazione di educatori “vecchia” che non sa interpretare il nuovo dei giovani, le loro domande religiose, che sono precedenti a qualsiasi visione anti-istituzionale degli educatori. Detto in termini più semplici: ai giovani oggi va proposto con chiarezza il significato della persona di Gesù, prima di impelagarlo nelle discussioni sull’assetto istituzionale della Chiesa. A chi ha bisogno di una madre occorre proporne il volto accogliente. Quando vi sarà accolto anche lui darà il suo personale e originale contributo per renderlo più bello.

 

La pastorale giovanile: le scelte da fare o i nodi da sciogliere

– Pastorale giovanile non selettiva

È il problema della vita di gruppo su cui è impostata tutta la nostra pastorale giovanile, rischiando un’esagerata selettività e un orizzonte angusto, anche se la scelta del gruppo è funzionale a una formazione più profonda e personale. Sta tra la pastorale del bonsai, come isolamento e soffocamento nel piccolo e la pastorale della convocazione, come coinvolgimento di tutti i giovani anche in incontri di massa, nei loro ambienti o con i loro linguaggi.

 

– Pastorale giovanile vocazionale

È il rifiuto di ridurre la pastorale giovanile a un insieme di attività che tengono i giovani occupati, attorno al prete, in parrocchia intanto che non sanno che cosa fare, che non hanno deciso, non hanno lavoro, stazionano in attesa che capiti qualcosa nella vita. Sta tra la pastorale della proposta globale, fatta di gruppi generici in cui si affronta tutta la gamma delle esperienze di vita e la pastorale vocazionale, che invece tende ad interessarsi dei giovani a partire dalla vocazione che stanno vivendo o cercando di capire.

 

– Pastorale di rete

È la scelta di mettersi in accordo con tutte le forze educative del territorio per offrire al mondo giovanile tutta la passione formativa, consapevoli del bisogno dell’intervento di tutti, della sinergia di molte figure educative. È all’opposto della pastorale dell’autosufficienza, che crede di educare se isola, di formare, se tiene in riserve protette, di preparare se fa dei corsi appositi, mentre vuole aprirsi a una pastorale della collaborazione, che condivide con tutti i valori e l’esigenza di proposte significative.

 

– Pastorale progettuale

Si sceglie di seguire una traccia che si orienta a grandi mete, a una figura di giovane credente come è voluto e amato da Cristo e dalla Chiesa, non si accontenta di utilizzare le eventuali occasioni o di vivere di buon senso. Esige che si superi la pastorale del momento forte, che si muove giustamente a livello emotivo, straordinario, puntuale, ma che ha bisogno di orientarsi a una pastorale della scelta educativa, cioè della fatica quotidiana di far crescere, di ridefinire la propria esistenza quotidiana alla luce delle esperienze fatte.

 

 

Decisione per una affettività aperta al dono

Vocazione è esprimere al massimo la capacità di amare, con la creatività e la generosità che ciascuno è stimolato a vivere. Il giovane europeo:

 

– domanda un massimo di relazioni e si esprime con nuovi linguaggi (musica, corporeità, arte…)

Il forte desiderio di relazioni, la globalizzazione dell’informazione e dei mezzi di comunicazione di massa favorisce i contatti tra i giovani che comunicano con i loro nuovi linguaggi (musicali, artistici in senso lato…). In tutte le latitudini la musica, i ritmi, le espressioni della corporeità sono strumenti attraverso cui passano i “manifesti” del modo di vivere dei giovani, di pensare, di mettersi in comunicazione con gli adulti, di condividere ideali e sogni. Navigare in Internet è per loro naturale: ma davvero questo basta per far sentire i giovani protagonisti di nuovi mondi, abitanti di un villaggio globale?

 

– sperimenta fragilità e solitudine di fronte allo sviluppo e al consumo

Per i paesi industrializzati l’esorbitante numero di occasioni, di proposte, di iniziative, di offerte di beni materiali e di consumo minaccia gravemente la capacità di scegliere, di decidere, di orientarsi. Tutto ciò accresce la fragilità delle nuove generazioni. È per loro difficile trovare riferimenti morali soprattutto riguardo alla vita affettiva e sessuale. Desiderano “altro” rispetto a quanto propone loro la società degli adulti, anche se le fonti dell’etica diventano per loro sempre più soggettive. Nello stesso tempo negli altri Paesi la fragilità dei giovani è accentuata dalla mancanza di beni indispensabili per una vita dignitosa mentre il consumismo dell’Occidente, offesa a tanta povertà, propone modelli di vita che spesso distolgono le migliori energie da obiettivi di crescita umana, culturale e sociale.

 

– subisce sempre più un sequestro biologico dei genitori

In un clima di apparente libertà i giovani non sono lasciati liberi di fare decisioni che vanno oltre la normalità: scuola, università, lavoro, discoteca, rapporti affettivi, gestione dei beni personali. Su scelte di cambiamento c’è un muro: volontariato, esperienza missionaria, servizio civile, vita di comunità, coinvolgimento in progetti che tolgono dal mondo familiare… La libertà di non litigare, alla fine toglie il respiro e trascina con sé l’incapacità di progettare. Nei paesi del Nord Europa e dell’Est la pressione familiare è meno forte, c’è meno sequestro, e più abbandono.

 

– domanda di risignificare l’esperienza affettiva e la sessualità

Nel campo della affettività i giovani di oggi vivono una sessualità senza tabù, ma con molte paure. Dicono: “La rivoluzione sessuale ci ha lasciato il divorzio, l’AIDS, l’herpes, stupri all’ordine del giorno. Al posto dell’esplorazione della sessualità, ci è rimasto il caos sessuale. Facciamo ancora sesso, ma non ci innamoriamo più. La buona notizia è che siamo una generazione che crede poco nelle chiacchiere e molto nell’azione. Rifuggiamo ideologie e dogmi a favore di un pragmatismo essenziale in tutti i campi della vita. Siamo meno prevenuti e meno sessisti di ogni generazione precedente, eppure i sondaggi dimostrano stranamente che siamo facilmente soggetti al bigottismo. In quanto generazione, molti di noi sentono il dovere di riportare ordine nella confusione lasciata dai nostri predecessori” (Slacker manifesto). 

È un lato della vita, come tanti altri in cui si inscrive un paradosso esistenziale. Nel momento più bello di una avventura d’amore, scoppia la paura della morte. Nel massimo della socializzazione si inscrive la paura della violenza. Nel massimo della comunicazione e delle relazioni si affaccia lo spettro della solitudine. Le semplificazioni igieniche sulla sessualità non rispondono al dramma dell’affettività giovanile. Nel massimo della competizione niente trattiene dal premere sull’acceleratore della morte.

 

– deve fare i conti con una subcultura omosessuale come elemento di disturbo nella ricerca delle motivazioni

È molto diffusa o per lo meno in espansione la subcultura della omosessualità, che oltre ad essere provocata da situazioni fisiologiche viene artatamente incentivata da modelli comportamentali devianti. Stabilire relazioni con persone dello stesso sesso è meno impegnativo che stabilirle con l’altro sesso. C’è una sorta di chiusura nel proprio mondo, di patto tra uguali che non impegna ad uscire da se stessi verso la novità, l’imponderabile, una nuova creatura, un confronto radicale, come si ha tra maschio e femmina.

La carenza della figura paterna nell’educazione probabilmente ha i suoi influssi anche su questa esasperazione della affettività o prolungamento della fase naturale di attenzione al proprio sesso. Il dialogo e l’attenzione al rispetto delle persone non va confuso con la inettitudine a proporre una sessualità orientata al dono entro il progetto di Dio. Questo fenomeno può intervenire a intorbidare la ricerca della propria vocazione, a interrompere un necessario cammino di crescita verso l’eterosessualità, ad approfondire paure e suggerire fughe.