Un luogo, un segno: La Tenda. Il centro di spiritualità delle suore Piccole figlie dei Sacri Cuori di Parma
“La pastorale vocazionale è e deve essere in rapporto con tutte le altre dimensioni, ad esempio con quella familiare e culturale, liturgica e sacramentale, con la catechesi e il cammino di fede del catecumenato; con i vari gruppi d’animazione e di formazione cristiana (non solo con i ragazzi e giovani, ma anche con i genitori, con i fidanzati, con gli ammalati e gli anziani…) e di movimenti (dal movimento per la vita alle varie iniziative di solidarietà sociale)”. Così il Documento Nuove vocazioni al n. 26g.
Leggere queste, e molte altre espressioni del recente documento, è per me come riposarmi dopo una lunga salita e guardare l’orizzonte. Ci siamo arrivati, insieme. E la pianura è fertile e bella, anche se lontana.
Dal 1975 le mie strade si sono intrecciate con quelle della pastorale vocazionale italiana. Ne ho visto tante fasi, tanti sussulti, tante stanchezze. Nel cuore sempre un pensiero tenace, di quelli che uno non si dà da solo e che ti infastidiscono, come il fatidico chiodo della scarpa che c’è, ma non sai bene da dove spunti. Eppure devi camminare e convivere con quel chiodo che ti serve per avere una scarpa almeno presentabile ed utile, non tuttavia comoda!
La ferialità non banale di questa impostazione, la genericità tutt’altro che priva di specificità mi fanno respirare in un’aria amica. E così il brano che ho citato all’inizio è la descrizione (presunzione la mia?) non dico di quello che la mia comunità è, ma almeno di quello che sogna di essere. In questi ultimi anni, sei per la precisione, la comunità si è trasferita in una casa-tra-le case di Parma: non troppo al centro, non troppo in periferia.
Ha preso il nome di “Comunità la Tenda”, rifacendosi al simbolo biblico. Da Genesi in poi la tenda è luogo ospitale ed amico in cui il nomade riposa e fa riposare, vive e racconta, soffre e spera. Affacciato alla tenda Abramo vede i tre personaggi che gli annunciano il compimento della promessa, e nella stessa tenda, quasi coperta e nascosta in essa, Sara sorride di incredulità e di gioia. Una promessa che entra non in una casa, ma in una tenda: precaria è la dimora, esposta ai venti, fragile, bisognosa di essere periodicamente sradicata e rizzata. È povera la realizzazione della promessa e deve essere povero colui che l’accoglie e l’annuncia. Non gli appartiene.
E poi ancora, all’interno di questo simbolo, un’altra Tenda, quella del convegno che il libro dell’Esodo descrive e canta, nello stupore per quel Dio che faccia a faccia, anche se in una nube, racconta a Mosè ciò che gli sta a cuore. Mistero e ferialità, quotidianità ed eterno: in una tenda, uguale a quella di tutti, eppure silenziosa e custode del mistero.
La Tenda in cui io abito è, quindi, una comunità religiosa, piccola piccola, in cui la vita concreta ha portato a far incontrare la pastorale giovanile con tutte le altre dimensioni della pastorale.
È semplicemente successo che … siamo invecchiati. Io e i giovani che ho conosciuto! Così loro sono diventati genitori ed ora hanno degli stupendi bambini. Ed io, per quello strano gioco che il tempo intesse con la vita della religiosa, mi sono ritrovata a continuare ad insegnare, e a star in contatto coi gruppi giovanili, (soprattutto di Azione Cattolica e qualche scout) e ad ampliare le mie relazioni con bambini ed adulti. E la pastorale vocazione stava lì, a continuare ad interpellare il mio servizio. Non ci si può tirare indietro quando la vita stessa ti chiama a rispondere a delle urgenze.
Una chiave di lettura essenziale è sempre stata la dimensione ecclesiologica del Vaticano secondo, in quell’esperienza del sentirsi popolo di Dio, in quel tendere insieme alla santità lasciandosi interpellare da un orizzonte comune che inizia già qui, ma ci richiama oltre. E qui, da sempre Parola e liturgia. Soprattutto Parola letta e vissuta nel suo momento più alto che è la celebrazione liturgica: liturgia delle ore e liturgia eucaristica.
Non sapevo e non so proporre altro. L’anno liturgico è grande maestro, è grande cammino, è grande abitazione in cui si celebra la vita. E così la mia casa: luogo di vita in cui la Vita si celebra. E tutti possono entrare, non è un giardino in cui le aiuole sono belle, ma intaccabili. C’è la cappella, che è tutto. Ma accanto c’è la cucina, dove si condivide quello che si porta. C’è una sala per gli incontri, ma c’è anche il corridoio in cui, passando, a volte si dicono cose più essenziali che negli incontri di gruppo. Perché la persona è al centro, perché la persona non va incontrata solo ufficialmente.
Se potessi raccontare ciò che vivo, direi tutto e nulla: sono cose piccole piccole, ma sono le relazioni tra persone e la loro piccola storia, è vibrare con la grande storia e i suoi problemi. È credere alla sfida di questa nostra Europa senza sfuggirvi, senza pensare che la modernità sia impermeabile al vangelo. Ed allora anche la preghiera che il Papa ha incastonato nel messaggio per le vocazioni di questo anno mi trova in una sintonia intensa: Maranatha! “Lo Spirito e la Sposa dicono: vieni! Vieni ad incontrare il Verbo incarnato, che vuole renderti partecipe della sua stessa vita”. Il Verbo, dice Giovanni, pose la sua tenda fra noi. Essere comunità. “Tenda” è, ancora una volta, simbolo di quell’azione pastorale che prima di essere azione è “passività” accogliente. C’è un dinamismo dello Spirito che va invocato, affinché i nostri luoghi siano “luogo” in cui incontrare il Verbo. L’invito del documento di passare dalla paura alla speranza, può divenire possibile solo in questa in-vocazione che trova nella Parola le parole per dirsi. Stare insieme per imparare a raccontarsi, per apprendere a dire di sé ciò che non diciamo perché non riusciamo a decifrarlo. Il Verbo fatto carne è cifra interpretativa di tutta la nostra esistenza.
La vocazione della comunità religiosa-apostolica è, mi pare, proprio questa: rendere dicibile e udibile una Parola che non ha altro linguaggio se non quello della comunione. Essere luogo di incontro, di scambi, di confronto. Ma luogo vivo, in cui non si ha paura dei problemi scottanti, in cui non si entra già vaccinati e in cui la fatica del Vangelo è di tutti perché è giogo, è giogo da portare, soave sì, ma giogo… “Vieni, e scopri la storia d’amore che Dio ha intessuto con l’umanità: Egli vuole realizzarla con te”. Così il Papa. Persona ed umanità in un bipolarismo che traccia orizzonti in cui ogni vocazione può vivere, libera.
Ecco, il documento più volte lo ribadisce, da una prospettiva di libertà, di interazione e di valorizzazione di tutte le vocazioni, scaturisce una capacità di rispondere all’unica vocazione alla santità. Sogno una comunità così e un po’ ci vivo. Già e non ancora. Come sempre!