N.04
Luglio/Agosto 1998

La dimensione ecclesiale della ricerca vocazionale nel tempo della giovinezza

“Nella Chiesa, comunità di doni per l’unica missione, […] ogni vocazione è ‘necessaria’ e ‘relativa’ insieme. ‘Necessaria’, perché Cristo vive e si rende visibile nel suo corpo che è la Chiesa e nel discepolo che ne è parte essenziale. ‘Relativa’, perché nessuna vocazione esaurisce il segno testimoniale del mistero di Cristo, ma ne esprime solo un aspetto. Soltanto l’insieme dei doni rende epifania l’intero corpo del Signore. Nell’edificio ogni pietra ha bisogno dell’altra (1 Pt 2,5); nel corpo ogni membro ha bisogno dell’altro per far crescere l’intero organismo e giovare all’utilità comune (1 Cor 12,7)”[1].

Il Catechismo dei Giovani/2 “Venite e vedrete” (CdG), propone, accanto all’esigenza della personalità della sequela, anche la dimensione ecclesiale nella quale svolgere la ricerca vocazionale ed entro cui articolare la risposta di vita. Particolarmente i capitoli 5° e 6° presentano le conseguenze radicali dell’incontro con Gesù: si è chiamati a ridisegnare il proprio progetto di vita nella partecipazione convinta alla Chiesa, comunità dei discepoli di Gesù.

 

 

La comunità ecclesiale: da oggetto di conoscenze a soggetto di comunicazione salvifica

Abitualmente nei testi di Catechismo, si trova almeno un capitolo dedicato alla comunità ecclesiale e qualche altro capitolo dedicato alle azioni liturgiche che essa realizza. Nel CdG invece, il tema della Chiesa e della sua attività percorre trasversalmente quasi tutto il testo. Ed in questo modo “la comunità ecclesiale ritrova il suo significato più pieno: essa è il soggetto che racconta la grande avventura della speranza. Racconta a parole, annunciando il Vangelo del Risorto. Racconta, prima di tutto, però, con i fatti, facendo sperimentare nel suo ritmo di esistenza (la vita ecclesiale e la vita sacramentale) che davvero è possibile sperare e vivere nella speranza”[2].

Il soggetto dell’annuncio cristiano, nella scelta del CdG, è la comunità ecclesiale. Essa, che ha vissuto un’esperienza, sperimentata come salvifica, avverte la gioia e la responsabilità di proporla ad altri perché la stessa esperienza continui. Evangelizzare significa comunicare ad altre persone quegli eventi di cui si è fatto personalmente esperienza: “quello che le mie mani hanno toccato e i miei occhi hanno contemplato …”[3].

 

 

Una Chiesa accogliente e ospitale in cui i giovani sono protagonisti

Una caratteristica fondamentale della comunità ecclesiale è quella del suo farsi accogliente ed ospitale nei confronti dei giovani. Ricordiamo un certo clima di sospetto presente nei decenni scorsi tra giovani ed istituzioni ecclesiali, proveniente dal non lontano tempo della contestazione e carico di diffidenza verso tutto ciò che sembrava apparire volontà di presenza autoritaria.

Ai giorni nostri pare che le cose siano cambiate. La Chiesa in Italia è invitata ad un rinnovato ascolto dei giovani, aprendosi alla complessità della loro vita, ai loro percorsi del tempo dell’impegno e del tempo libero, ai loro crocicchi, nelle loro piazze, dentro le loro aspirazioni. Le grandi convocazioni giovanili – pensiamo a Parigi e a Bologna lo scorso anno – sono il segno di una Chiesa impegnata ad entrare nel linguaggio giovanile, a non disinteressarsi della loro musica, ad apprezzarne gli apporti positivi, a valorizzare tutto ciò che di buono e di bello è presente nel mondo giovanile.

“Se Bologna ha voluto significare qualcosa nella pastorale giovanile italiana, non è stato l’aver dovuto usare un concerto di musica che piace ai giovani per poterli attrarre, perché ormai siamo alla frutta e i giovani non ci ascoltano più. La Chiesa non ha bisogno di questi mezzi per aggregare i giovani. È stato invece per la Chiesa un voler entrare in un linguaggio che per molti giovani è rimasto l’ultima possibilità di esprimersi, di uscire dalla loro solitudine, di dirsi nella gioia e nell’entusiasmo della vita”[4].

La comunità ecclesiale è invitata costantemente a non considerare più i giovani solo o soprattutto come “problema”, e neppure come semplici “destinatari” dell’azione pastorale, ma innanzitutto come “risorsa”. Occorre pensare ai giovani non solo come soggetti recettivi dell’annuncio, ma anche come protagonisti e quindi – contemporaneamente – evangelizzati ed evangelizzatori. È questo il primo impegno vocazionale da affidare ai giovani, così come spesso ricorda loro Giovanni Paolo II, quando li invita a farsi annunciatori e testimoni del Vangelo verso i propri coetanei: i giovani missionari dei giovani, i giovani evangelizzatori dei giovani!

Si legge nel mandato che i giovani stessi si sono dati a Parigi, in occasione della 12a Giornata Mondiale: “Le nostre comunità cristiane devono essere case accoglienti. Ognuno di noi deve adottare un altro giovane, non per portarlo in Chiesa, sarebbe troppo poco, ma per fargli scoppiare in cuore la gioia di vivere fino ad incontrare il Signore. Se accanto a noi ci sono giovani che non amano la vita fino a volersela togliere, vuol dire che non siamo stati cristiani a sufficienza”.

 

 

La fraternità ecclesiale come itinerario vocazionale

Tra gli itinerari pastorali vocazionali suggeriti nel Documento già citato Nuove Vocazioni, vi è quello della comunione ecclesiale. Insieme alla liturgia e alla preghiera, al servizio della carità e alla testimonianza-annuncio del Vangelo, il tema della fraternità ecclesiale è indicato come uno dei percorsi privilegiati di maturazione vocazionale. È proprio grazie a queste esperienze ricordate che la primitiva comunità cristiana cresceva vocazionalmente: “…si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme”[5].

L’esperienza concreta della fraternità ecclesiale è perciò una componente essenziale nel discernimento vocazionale. Mancando questa esperienza, non viene meno qualcosa di accessorio o di facoltativo, ma viene a mancare un aspetto essenziale e fondamentale per la maturazione vocazionale dell’individuo. “Se ogni vocazione nella Chiesa, è un dono da vivere per gli altri, come servizio di carità nella libertà, allora è anche un dono da vivere con gli altri. Dunque lo si scopre solo vivendo in fraternità. […] Al contrario, non può avvertire alcuna attrazione vocazionale chi non sperimenta alcuna fraternità e si chiude al rapporto con gli altri o interpreta la vocazione solo come perfezione privata e personale”[6].

Ne consegue, per gli animatori vocazionali, una costante attenzione nell’accompagnamento personale dei giovani alla formazione di questa dimensione ecclesiale della vocazione: la capacità di relazione e di dialogo, di collaborazione e di condivisione, di accoglienza e di perdono, di servizio e di gratuità. Oltre alla formazione personale dei giovani a quelle che potremmo definire le “virtù comunitarie”, sono da favorire le esperienze di accoglienza giovanile in comunità, invitando i giovani in ricerca vocazionale alla concreta “vita fraterna in comunità” nei suoi ritmi di preghiera, di lavoro apostolico, di mensa e di distensione, di comunicazione e di scambio. A questo proposito ricordiamo l’esperienza positiva, presente in varie Chiese particolari e in diversi Istituti di vita consacrata, delle comunità di accoglienza. In esse si realizza l’invito di Gesù “venite e vedrete”: “In queste comunità o centri di orientamento vocazionale, grazie a un’esperienza molto specifica e immediata, i giovani possono fare un vero e graduale cammino di discernimento”[7].

 

 

La comunità ecclesiale come luogo di incontro con i diversi “modelli vocazionali”

L’annuncio vocazionale diviene significativo ed efficace se passa attraverso la testimonianza concreta della vita. Una comunità ecclesiale impegnata costantemente a crescere nella fraternità e nella condivisione, diventa un segno credibile e un richiamo che interpella: è il luogo dove si fa concretamente esperienza di Chiesa nella varietà delle vocazioni specifiche; è il luogo dove si possono incontrare vocazioni felicemente realizzate nella loro mutua integrazione; è il luogo dove ciascuno dovrebbe incontrare il fascino di una vocazione specifica da cui sentirsi attratto. Ecco: la comunità ecclesiale come l’ambiente in cui incontrare la gioia vocazionale nella varietà di modelli che sanno manifestare una piena realizzazione e una profonda serenità per quello che sono e che hanno scelto di vivere.

“Oggi troppi adolescenti mancano di modelli. I quindicenni mancano di ventenni che diano loro il gusto di avere cinque anni in più, mancano di quarantenni che diano loro il gusto di diventare adulti, mancano di settantenni che tolgano la paura di invecchiare. Gli adolescenti hanno bisogno di genitori realizzati che contagino loro il desiderio di diventare padre e madre; hanno bisogno di professionisti che non tornino a casa ogni sera imprecando contro quello che fanno e contro il presente, ma che diano loro il desiderio di assumersi la responsabilità di una vita di lavoro; hanno bisogno di cristiani capaci di infondere in loro la gioia di credere; hanno bisogno di cristiani impegnati e sorridenti che li invoglino alla scelta di un servizio generoso ai più bisognosi, a un impegno sociale e anche politico fatto con uno spirito cristiano; hanno bisogno di religiosi e preti felici che diano loro il gusto di consacrare la vita”[8].

 

 

La comunità ecclesiale come luogo di servizio ai fratelli e di impegno vocazionale

La maturazione vocazionale di un giovane si autentica moltissimo nell’esperienza concreta del servizio e dell’impegno responsabile. È proprio nella comunità ecclesiale, della quale si sente partecipe, che un giovane può esprimersi in svariate forme di servizio ai fratelli: dall’animazione alla catechesi, dal servizio liturgico alla carità, dal volontariato all’impegno a favore di chi è nel bisogno e nella necessità.

È importante perciò prevedere nel cammino di discernimento vocazionale qualche significativa esperienza di servizio ecclesiale, accompagnato e verificato continuamente. D’altra parte, la decisione vocazionale, spesso scatta proprio grazie ad una forte e significativa esperienza di servizio e di impegno a favore degli altri. Inoltre, sarà importante aiutare il giovane a scoprire continuamente le motivazioni profonde del suo impegno: è il Signore che lo invia e che si fa incontrare nel volto dei fratelli a cui è mandato.

Ogni vocazione è anche missione. Il Signore chiama per inviare. Lui stesso, Figlio unigenito e prediletto, si è fatto instancabile apostolo e missionario del Padre. Ed ha affidato alla comunità degli apostoli, che aveva costituito e formato, il compito di continuare la sua missione nel mondo intero. Noi oggi siamo chiamati a continuare l’edificazione della Chiesa, nella varietà dei carismi e dei ministeri, per far giungere a tutti la buona notizia del Vangelo.

 

 

 

Note

[1] Nuove Vocazioni per una nuova Europa. Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa (a cura delle Congregazioni per l’Educazione Cattolica, per le Chiese Orientali, per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica), Roma, 5-10 maggio 1997, Libreria Editrice Vaticana 1998, pp. 41-42. D’ora in poi questo testo verrà citato come Nuove Vocazioni.

[2] R. TONELLI, Il Catechismo dei Giovani per un progetto di Pastorale giovanile, in “Note di Pastorale Giovanile” 32 (1998) 2, p. 35.

[3] Cfr. 1 Gv 1,1-3.

[4] D. SIGALINI, Un contesto pastorale per il CGD/2, in “Note di Pastorale Giovanile” 32 (1998) 2, p. 46.

[5] At 6,7.

[6] Nuove Vocazioni, pp. 65-66.

[7] Nuove Vocazioni, pp. 66-67.

[8] AA.VV., Adolescenza. Una stagione importante per la vita, (a cura di G. AVANTI), Paoline, 1992, p.198.