N.06
Novembre/Dicembre 1998

Il vocabolario della fraternità e l’orizzonte culturale

Lo scopo di questo contributo è di definire, in riferimento al vocabolario che delimita l’esperienza della “vita fraterna in comunità”, una mappa concettuale ad essa sottesa ponendola a confronto con la percezione degli stessi termini nell’orizzonte socio-culturale attuale, come in un più ampio universo di pensiero, per registrarne differenti accezioni di significato. L’evidente stringatezza del testo, che segnala percorsi di lettura, più che esaurirne le potenzialità, muove da un’osservazione più volte ripetuta circa la portata delle riflessioni, e più radicalmente dello stesso lessico, elaborate all’interno della comunità cristiana e che trovano riscontro nella produzione dei documenti magisteriali.

In riferimento all’oggetto, “vita fraterna” un momento significativo della riflessione ecclesiale, ripreso dalla stessa Esortazione Apostolica Vita consecrata, è costituito dal documento preparato dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, La vita fraterna in comunità del 2 febbraio 1994 (il testo è reperibile in “Regno/Documenti”, 39 (1994), 271-228). Il documento, che si segnala per l’aderenza alla concretezza del vissuto, può essere assunto come momento di confronto per registrare alcuni nessi logici tra termini con i quali viene ad essere circoscritto e precisato il senso della “vita fraterna”, ma anche lo scarto che sembra segnalarsi in riferimento all’orizzonte culturale extra-ecclesiale. In particolare, tra i molti passaggi, possiamo segnalare questi, da cui è possibile estrapolare una rete di concetti significativi da sottoporre ad analisi.

Cristo dà alla persona “due fondamentali certezze: di essere stata infinitamente amata e di poter amare senza limiti (…) In forza di questo amore nasce la comunità come un insieme di persone libere e liberate dalla Croce di Cristo. Tale cammino di liberazione che conduce alla piena comunione e alla libertà dei figli di Dio chiede però il coraggio della rinuncia a se stessi nell’accettazione e accoglienza dell’altro con i suoi limiti, a partire dall’autorità. (…) La comunione è un dono offerto che richiede anche una risposta, un paziente tirocinio e un combattimento, per superare lo spontaneismo e la mutevolezza dei desideri. L’altissimo ideale comunitario, comporta necessariamente la conversione da ogni atteggiamento che ostacolerebbe la comunione” (cfr. nn. 22 e 23).

Queste indicazioni debbono essere accostate, al di là del contenuto di verità che comunicano, contestualizzandole sia immediatamente a livello di trascrizione nei predicati vissuti nell’ambito giovanile delle realtà sottese, sia, approfondendo la riflessione, in riferimento ai presupposti di fondo sui quali si elaborano in un orizzonte culturale più ampio. Ci limitiamo solo ad alcune considerazioni in merito al tema della “fraternità”, della “comunità”, della “libertà/autenticità”, particolarmente suggerite dai brani segnalati, offrendo un esempio di una ricerca suscettibile di più significative ricognizioni.

 

 

Fraternità

La sottolineatura della fraternità, nell’immaginario giovanile sembrerebbe profilarsi, riduttivisticamente, nel senso della complicità propria del gruppo ristretto, all’interno del quale tendono ad essere giustificati i singoli comportamenti ed in cui vengono ricondotte le relazioni significative. È evidente a questo proposito una difficoltà a percepire la fraternità, più che quale dato da riconoscere come evidente nel costituirsi del sodalizio umano, come una qualificazione da attribuire a quelle persone che si costituiscono come trama relazionale dei vissuti dei giovani. In una prospettiva più strutturale e culturale possiamo leggere la crisi e la rinascita di un’antropologia della fraternità attraverso un lucido saggio di R. MANCINI, Esistenza e gratuità. Antropologia della condivisione, “Orizzonti nuovi”, Cittadella, Assisi 1996. L’Autore muove da una puntuale critica dell’affermazione di un modello antropologico che, ricondotto alla figura tipo dell’homo oeconomicus, si prefigge l’affermazione di sé, perseguita attraverso l’accumulazione dei beni, dei poteri e delle garanzie, prima tra tutte quella fornita dal dominio esercitato su coloro che, rispetto all’io o al noi, sono “gli altri” (p. 11). Di questo paradigma Mancini mostra la paradossalità e negatività in quanto non può essere esplicabile nel senso dell’universalizzazione effettiva del comportamento, e parla a questo riguardo di un’antropologia dell’antifraternità. La ricostruzione dell’idea di fraternità, attraverso la lezione di alcuni pensatori del ‘ 900 porta l’Autore a rivalutare quei concetti di comunicazione, gratuità, condivisione, che definiscono non solo la mappa semantica della fraternità, ma gli stessi tratti di un vissuto alternativo rispetto ai presupposti propri dell’homo oeconomicus, valori da ricomprendere nel loro spessore autenticamente umano, anche per l’esperienza vissuta della fraternità cristiana. Il testo si apre anche alla considerazione di quelle realtà strutturate in senso comunitario e nella prospettiva della condivisione in cui la fraternità che si sviluppa in relazioni di gratuità trova un luogo di originale espressione, tra cui le stesse fraternità religiose.

 

 

Comunità

Il tema della comunità, come luogo in cui si costruisce l’identità aperta della persona secondo la dinamica delle relazioni fraterne, è il secondo termine che può essere analizzato alla luce delle tendenze socio-culturali in atto, particolarmente nel mondo giovanile.

Un dato vistoso emerso all’interno degli studi sociali è dato dal riferimento, a volte puramente nominale, alla “complessità”, come cifra di un cambiamento prodottosi in cui l’immagine della solidità sociale, espressa da una comunità capace di elaborare propri e coerenti orizzonti di valore, ha ceduto il posto ad una considerazione compromissoria del vissuto sociale col conseguente emergere di logiche corporativistiche, che frantumano l’unità della comunità civile. Alla base di tali tendenze si coglie l’affermazione rivendicata dei diritti dei singoli attori sociali, prescindendo, comunque, da una più ampia progettualità di tipo comunitario. Su questo tema la bibliografia si presenta assai vasta, anche in vista di una equilibrata valutazione.

In prospettiva sintetica ed insieme problematica si può rimandare ai contributi raccolti in AA.VV., Il caso Europa. Evangelizzazione e processi di omologazione culturale, Disputatio, 3, Glossa, Milano 1991.

In riferimento ad un processo di ridefinizione e costruzione di un ethos civile può essere di utilità: G. PIANA, Attraverso la memoria. Le radici di un’etica civile, Cittadella, Assisi 1998.

Una riflessione attenta a puntualizzare il tema della comunità secondo la prospettiva sociologica, precisa nel rilevare singole prospettive di approccio, è riscontrabile nel contributo, ricco anche di orientamenti bibliografici, di G. COCCOLINI, Comunità, Rivista di Teologia Morale, 30 (1998), 301315; ed anche nella voce “Comunità” in L. GALLINO, Dizionario di sociologia, Utet, Torino 1983, 149-152 (bibl.).

È affiorante, nella nostra cultura, attraverso frange periferiche, ma comunque presenti, un’idea di forma comunitaria di vita che presenti tratti alternativi rispetto ad una cultura giudicata, sulla scia dei parametri elaborati all’interno dei movimenti giovanili del ‘68, borghese ed individualista. Il fenomeno dei “centri sociali”, che ha assunto i tratti anche della rivolta violenta si pone come un’esplicitazione di questi presupposti ideologici. È importante ravvisare, al di là dell’emergenza vistosa e chiassosa, la matrice culturale di questi fenomeni.

Di una certa utilità può essere il ritorno alla considerazione di alcune teorie sulla società, sul suo carattere repressivo e sulle istanze liberalizzatrici, proposte da H. MARCUSE nei suoi saggi L’uomo ad una dimensione ed Eros e civiltà, pubblicati in Italia da Einaudi (ed. originali: 1964 e 1955). È questo un contesto in cui si ripropone all’interno dei vissuti giovanili in senso forte il tema della comunità.

Un altro, immediatamente associato alla parola comunità, è quello legato all’azione di recupero dei comportamenti devianti, particolarmente nell’area della tossicodipendenza. Comunità qui è sinonimo di luogo terapeutico, che si pone a parte rispetto alla più ampia comunità sociale verso la quale non senza difficoltà ci si orienta al termine del trattamento di recupero. La considerazione del tema della comunità come luogo rifugio, quasi nei termini di una specie di narcisismo allargato, di luogo a calda tonalità affettiva, nel quale si è riconosciuti, contro tutte le tendenze spersonalizzanti connesse con il mondo sociale più allargato, deputato ad elaborare in senso più autentico le relazioni, è presente nel mondo giovanile. La vistosa domanda di relazione affiorante nel repertorio dei desideri, si pone, però, in un contesto ed in una struttura antropologica fortemente contrassegnata da una povertà di relazionalità di base. Povertà di relazioni significative che si esprime in modo emblematico attraverso la moltiplicazione di situazioni massificanti proprie dei riti del fine settimana, in un contesto di “anonimato comunitario”. La ricerca di sicurezza, della presenza costante accanto a sé di quelle persone che costituiscono la nicchia relazionale del giovane è segnalato dalla vistosa diffusione della comunicazione attraverso la telefonia personale. Il fenomeno può essere indice, oltre che di insicurezza e di ricerca di conferma della presenza degli altri, anche di difficoltà a gettare un ponte di relazione con nuove persone, con quelle realmente accostate negli incontri quotidiani e non solo con quelle raggiunte attraverso il ponte satellitare del telefono cellulare. Non manca, comunque, la presenza di esperienze di gruppi di impegno, anche se nell’inevitabile moltiplicazione delle appartenenze, che al di là del compito perseguito attraverso l’azione, contribuiscono a plasmare in modo più costruttivo il senso di comunità e a qualificare il processo di comunicazione.

Per questi dati è sufficiente scorrere le indagini elaborate sull’universo giovanile come: A. CAVALLI – A. DE LILLO (a cura di), Giovani anni 90. Terzo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, “Studi e ricerche, 328”, Il Mulino, Bologna 1993, ed in particolare i capp. III-IV-V sul tema dell’immagine della società, dell’associazionismo e dell’ambito politico.

Così se la risignificazione all’interno dell’orizzonte culturale globale e di quello giovanile in particolare può essere supportato dalla ricerca di luoghi affettivamente significativi affiorante all’interno dei desideri dei giovani, non va dimenticata la difficoltà a recepire in senso forte l’orizzonte di comunità, strutturate istituzionalmente. Più facilmente si potrà vedere in esse dei luoghi di rifugio temporaneo, delle “stazioni di servizio” in cui effettuare una salutare “ricarica” di sé e non come appartenenze forti, capaci di decidere e plasmare l’identità della persona. La stessa povertà relazionale (simultanea ad una vistosa mendicità relazionale) rende necessario un impegnativo lavoro formativo per lo sviluppo della qualità del vissuto e del dialogo interpersonale per il quale non è sufficiente la semplice costituzione del contesto comunitario. A questo proposito, occorre segnalare che i testi proposti in apertura dal documento Vita fraterna in comunità, colgono questo aspetto problematico che non può essere eluso.

 

 

Libertà e autenticità

È ancora il Documento di riferimento a segnalare come particolarmente appropriata a descrivere la vita fraterna in comunità, l’esperienza della libertà raggiunta attraverso una liberazione dell’amore consegnata col dono dell’amore divino ricevuto e intesa come luogo in cui ritrovare, in un cammino con l’altro, anche con chi esercita l’autorità, i tratti di una più profonda esperienza della verità di sé. È in gioco nel testo un’accezione forte di libertà, come tratto che qualifica la persona matura, quella che non è portata a definire riduttivisticamente la libertà come possibilità di scelta in vista del criterio del piacere e del dispiacere. Connessa a questa dimensione di libertà è anche la considerazione che essa non è guadagno raggiunto fronteggiando l’altro, ma attraverso l’incontro paziente con l’altro. L’orizzonte della libertà di ciascuno si definisce solo all’interno del riconoscimento e della promozione della libertà dell’altro. Ancora l’esperienza della libertà non è pensabile attraverso un’astrazione, ma è delineabile solo nei tratti di un luogo concreto in cui questa libertà diventa lo statuto dei rapporti tra le persone. Una libertà che, comunque, impegna alla doverosa responsabilità nei confronti dell’altro. È diffuso, comunque, l’accostamento della libertà al tema dell’autenticità personale e all’autenticità delle relazioni strutturate nella comunità. Si tratta allora di percorrere il dato culturale della libertà, nel quale è inevitabile registrare un affollamento di significati e variazioni concettuali spesso di notevole entità, che segnalano l’equivocità di consenso attorno alla delimitazione e alla precisazione del concetto.

In questo senso possono essere tenute presenti le osservazioni contenute nella voce Libertà e responsabilità composta da G. PIANA per il Nuovo Dizionario di Teologia Morale (a cura di F. COMPAGNONI – G. PIANA – S. PRIVITERA, Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1990, 658-674).

Per una riflessione attenta a cogliere all’interno della storia del pensiero la variazione del concetto si può segnalare: A. BAUSOLA, La libertà, “Itinerari filosofici”, La Scuola, Brescia 1985 (con antologia di testi).

Il nesso libertà/responsabilità, oltre che nell’articolo di Piana, può essere ritrovato in G. COCCOLINI, Responsabilità, “Rivista di teologia morale”, 26 (1994), 141-159 (bibl.)

L’accostamento al tema dell’autenticità (termine in cui si esprime non solo l’autoaffermazione personale, nei termini di confronto con la realtà extrasoggettiva, ma come espressione dell’originale profilo della persona), contribuisce a rileggere il tema della libertà all’interno della nostra cultura.

Puntuale la ricognizione del concetto da parte di G. COCCOLINI, Autenticità, “Rivista di teologia morale” 28 (1996), 569-581. Si segnala in particolare la riflessione di Charles Taylor che ha inteso riabilitare l’idea morale dell’autenticità di fronte a fautori della risoluzione del problema dell’io nei termini dell’autorealizzazione individualistica (cfr. C. TAYLOR, Radici dell’io, Feltrinelli, Milano 1993 e ID., Il disagio della modernità, LaTerza, Roma-Bari 1994).

Questa contrapposizione tra autenticità ed autorealizzazione domanda ulteriori chiarimenti, ma può rappresentare un punto di confronto con l’attuale cultura giovanile. In essa il termine libertà appare, a differenza di quanto prospettato nel documento vaticano, più un diritto da far valere, che una realtà interiore, sintetica della persona e soggetta ad un cammino per la sua costruzione. Libertà diventa così sinonimo di autoaffermazione, autorealizzazione, più che di autenticità. Ripensare il nesso all’interno della cultura giovanile tra libertà ed autenticità comporta così un’attenta disamina dei cortocircuiti dei processi di liberazione o delle immagini di libertà presenti. La visione cristiana della libertà come dono e compito necessita, per una sua adeguata comprensione di un humus antropologico capace di affondare, al di là di visioni superficiali, nel terreno delle dimensioni profonde della persona. È in gioco nella cultura giovanile l’idea per cui la libertà sia un attributo che valorizza gli ambiti di vita dell’uomo (tempo libero, spazi liberi…) più che ad un’accezione di essa come dimensione costitutiva dell’uomo, nella sua autentica consistenza. Educare la libertà, tenendo in seria considerazione la sete di libertà segnalata dalla cultura giovanile, comporta anche una diversa percezione della realtà ecclesiale e una cura per non smentire nelle forme effettive di vita quanto richiesto a livello di riflessione sulla fede cristiana e sul vissuto ecclesiale.

 

 

Conclusione

L’operazione compiuta, o meglio abbozzata, risponde ad un’esigenza avvertita sia da parte del mondo giovanile, come dalle stesse strutture ecclesiali. Il confronto sulla portata dei significati, che in modo troppo sbrigativo sono ripetuti all’interno del circuito linguistico ecclesiastico, con una cultura ed un vissuto in cui essi sembrano riproporsi, anche se con accenti differenti, appare necessario in vista di un discernimento e una valutazione necessari alla validità e alla vitalità di quelle stesse esperienze per le quali espressioni come “fraternità”, “comunità” e “libertà” acquistano valore strutturante.