N.06
Novembre/Dicembre 1998

La fraternità come luogo educante

Il Figlio di Dio nella Trinità in cielo è unico e non ha fratelli. Ma il Padre ha creato l’umanità di uomini e donne, per generargli molti fratelli e molte sorelle con lo stesso Padre. Gesù è unico nella famiglia umana di Nazaret. Ma ancora il Padre gli ha fatto fondare un Popolo nuovo di fratelli e sorelle, ha mandato nel mondo missionari per affratellare in Lui e tra sé tutti nell’unico Spirito.

Queste fraternità del Verbo e di Gesù non vengono da solitudine interna, ma da amore gratuito e elegante del Padre e appreso dal Padre. I primi sono fratelli per creazione. I nuovi fratelli non vengono da volontà di carne, né da legami di sangue, ma da Dio sono nati, generati e assegnati a Gesù con legame di fratello maggiore, dotato di grande responsabilità redentrice e salvifica per tutti. Fratelli nel Figlio dello stesso Padre. È la premessa biblico-teologica sulla fraternità che altri svolgono a lungo.

 

Le basi di un luogo educante

Oggi la fraternità si incontra e scontra con numerose sfide culturali, che dividono la situazione di fatto tra valore di vita e problema di difficile e complessa gestione. Nella famiglia che Dio ha inventato, alla genitorietà feconda e educativa paterna e materna, si aggiunge come luogo privilegiato di crescita educante, la fraternità di sangue di fratelli e sorelle. Meglio se fraternità maschile e femminile mista, più completa e promettente. e opinioni culturali non sono pacifiche.

La psicanalisi di Freud si attacca alla parabola biblica di Caino e Abele e vede come dinamica fondamentale della coesistenza di fratelli nella stessa famiglia, la conflittualità a causa delle tendenze a rendere esclusivo per sé l’amore dei genitori.

Per P. Ricoeur, E. Lévinas, e molti altri, fraternità è forma più prossima di alterità. L’altro, il fratello, è davanti a me. Mi domanda, mi interpella, mi invoca, mi convoca. Da esterno mi si fa intimo. Così suscita e motiva la mia vera libertà, mi fa responsabile verso di lui, partecipante con lui. Fraternità è sollecitudine, solidarietà, responsabilità, nelle relazioni interpersonali con il fratello, con tutti gli uomini perché fratelli. Esperienza privilegiata dall’io e tu, al noi.

La verità è bella, anche se variegata. La compresenza di fratelli o sorelle dello stesso sangue, con gli stessi genitori e parenti, in età generalmente vicina, con differenze di qualità, carattere e personalità, vocazione e missione, è quasi sempre arricchente, sviluppa esperienze assai valide per la vita e la crescita. Compone un tutto variamente integrato.

La compresenza di fratelli e sorelle, meglio se nello stesso numero, permette l’avvio di esperienze disinvolte e naturali di coeducazione maschile-femminile, ottimali per un avvio intimo, sano e crescente. Preparano, e spesso accompagnano, gli sviluppi nella coeducazione extra familiare e nella conduzione di ogni altra forma di incontro e relazione maschile e femminile in qualunque prospettiva.

L’unicità femminile di sole sorelle o maschile di soli fratelli, può compromettere la linearità degli sviluppi. Basterà non approfittarne, e supplire con lo sviluppo di buone relazioni esterne. Oggi la crisi di denatalità crea forti problemi alla fraternità. Se fratello è il membro di una fraternità, non è possibile fare esperienza di questa nella situazione di figlio unico, senza fratelli o sorelle (è poco anche uno/a). Questo “primogenito perpetuo” è costretto all’unico rapporto con due vecchietti, quali sono ai suoi occhi i genitori da venticinque-trent’anni in avanti e i loro amici adulti. Oggi la situazione si rimedia con l’asilo e la scuola o la strada, per sperimentarvi le “amicizie fraterne”. Lì i figli soli spesso sono più buoni e attivi che non in casa. Più spesso vi trasferiscono, e qualche volta vi compensano, le inquietudini accumulate nell’isolamento affettivo e sociale della casa e le deviazioni indotte dalla iper protezione nella unicità familiare, che giungono fino alla nevrosi per mancanza di integrazione tra pari.

Abbiamo ereditato dal passato, riconfermato e istituzionalizzato oggi, la fraternità adottiva, migliore della adozione isolata. I genitori procurano fratelli o sorelle, adottando altri figli e figlie e inserendole nella unità familiare di vita, affetto, libertà e intimità relazionale. Ho visto figli unici rifiorire trovando finalmente un fratello o una sorella con cui condividere l’infanzia e la crescita. O figli adottati rifiorire ritrovando un papà e una mamma, zii e nonni, ma soprattutto fratelli e sorelle per una vita completa.

Oggi incalzano veri drammi. Come vivere la fraternità in tempi di paternità o maternità incerta, tecnologica? Con madre senza padre, con padre senza madre? Con padri e madri assenti, sovraoccupati, indegni, non esemplari? Con lo stesso padre, non la stessa madre? Con la stessa madre, da diversi padri? Il pasticcio è grande. Dai ricchi la difficoltà si estende anche ai poveri, con aggiunta della miseria. Ne conseguono la fuga dal padre, il rifiuto conflittuale, ma anche la ricerca nostalgica del padre o di padri nuovi rassicuranti. In alcuni casi qualcuno è giunto ad accettare Dio e le sue comunità, dove si può ricuperare paternità e fraternità, almeno spirituale.

 

Nomi nuovi della fraternità

Oggi come sempre, ma più di sempre, assistiamo all’affermarsi di nomi nuovi della fraternità. Lo ha sperimentato anche Gesù. “I tuoi fratelli vogliono parlarti… Chi sono i miei fratelli? Chiunque fa la volontà del Padre mio… è per me fratello” (Mt 12,47-50).

Il primo nome nuovo e forte della fraternità è amicizia. “Meglio un amico vicino che un fratello lontano” (Pr 27,10). L’amicizia è il nome nuovo, laico, cultuale, ma anche cristiano, della fraternità. Ritrova, cerca, esprime l’essenza della fraternità al di fuori e al di là dei vincoli di sangue. Con gli amici si comunica, si fa larga comunione, si condividono vita, tempo, progetti, vicende affettive e attive, si confrontano idee, ci si abitua ad osservare le regole e la pratica delle virtù sociali. Nell’amicizia l’aggressività è incanalata e resa produttiva. L’amicizia nasce dal rapporto comune con valori e interessi che si condividono. Questi la motivano, la mantengono e la impegnano. L’amicizia facilita gli sviluppi della reciprocità: gli uni per gli altri, uno per tutti e tutti per uno. Matura alla alterità sana che mette a fuoco sia le similitudini, sia le differenze, che vengono integrate e scambiate. Tende a unificare gli universi di identità (quello che siamo) e di appartenenza (quello che ci sta a cuore) e partecipazione attiva (quello che vogliamo fare). Offre aiuti di rassicurazione e difesa. Lascia sussistere sfere e momenti di autonomia.

La crescita umana e cristiana, sociale e educata, oggi giunge a moltiplicare forme generose di fraternità a distanza, fino a sviluppare una nuova cultura della fraternità. Mio fratello in carcere, malato, handicappato, povero, non credente.. . Africano, americano, del mondo intero, diverso per colore, razza, religione…

La fraternità come socializzazione trova espressione in fenomeni crescenti sia nel mondo dei minori, sia in età più matura. Sono i rapporti stretti di banda, società di massa, gruppi giovanili piccoli, medi, grandi, associazioni e club, movimenti e comunità-comunione. In essi la dinamica della fraternità assume volti complessi in relazione a condizioni di età, cultura, fini e scopi, struttura, modi di distinguersi, opporsi o inserirsi nelle società più vaste di Chiesa e di mondo.

 

Fraternità e vocazione

Nella prima Chiesa la fraternità fu il nome di ogni rapporto intimo e profondo. Fratelli e sorelle nella fede e in Cristo, erano tutti i credenti in Lui e nel Padre comune. Praticavano l’insegnamento di Gesù. “Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8). Gli Atti adottarono il linguaggio. “Apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta” (1Cor 15,6). Diventò presto il segno: “tutti godevano di grande stima” (At 4,33). Fu linguaggio di Paolo: “Vi salutano tutti i fratelli che sono con me” (Gal 1,2).

Dopo alcuni secoli sono comparsi, ben definiti, i “Fratres” e le “Sorores” nella vita religiosa, legati da vincoli, non di sangue, ma di vocazione e missione, di affinità spirituale, da nuove forme di paternità e maternità. Oggi nella vita religiosa abbondano parole, teorie e documenti di “carità”. Sono meno profondi i fatti, spesso alla base di troppe uscite religiose e troppi abbandoni di giovani sacerdoti per crisi affettive. Tutto è ben teorizzato, non risolto. Si incolpano eccessivamente i giovani moderni e la formazione insufficiente. Invece ciò avviene perché nei tempi degli inserimenti nelle comunità mancano i fratelli e le sorelle, perché mancano i veri padri e le vere madri comuni per sentirsi tali. Quante difficoltà anche per chi resta, ma nella sofferenza, nella rassegnazione, anche nella solitudine. Per grazia o forse perché fuori è ancora peggio.

Il signum fraternitatis è elencato dalla Esortazione di Giovanni Paolo II fra gli elementi essenziali della vita consacrata. Il valore è letto nella Trinità e negli esempi di Gesù con gli Apostoli della prima Chiesa. Testimonia “quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme” (Sal 132). Oggi in Europa è diminuita la fratellanza di sangue o di affetti come motivo decisivo di vocazione. La sequela e le sue scelte si sono più personalizzate. Gli esempi belli continuano. Forse la fecondità vocazionale dei gruppi e movimenti ecclesiali, è su questa lunghezza d’onda.

 

Dinamiche pedagogico-educative

Le basi moderne della fraternità sono sviluppate da studiosi ben conosciuti. E. Lévinas dimostra che la responsabilità passivo-attiva per i fratelli mi fa libero. P. Ricoeur analizza l’alterità reciproca che completa e matura l’io-tu nella comunione del noi. M. Buber e G. Marcel indagano e in parte rivelano il mistero che l’altro porta sempre in sé e che può condividere J. Maritain ed E. Mounier sostengono la naturale socialità della persona umana. Al contrario per J.P. Sartre gli altri sono l’inferno. Secondo S. Freud i fratelli sono fattore primario dei processi di socializzazione educativa, soprattutto se le età sono ben scalate e così le differenze sessuali. Perciò la fraternità apporta tali valori alla comunità educativa. Le piccole comunità di formazione, anche vocazionale, dovrebbero ripeterne dentro di sé la forma, arricchendola di contenuti motivanti più alti di dinamiche più ricche e mirate.

Le forme nuove di vita consacrata, oggi in crescita felice, promettente e attraente, riservano grande attenzione alla vita in comunione come relazione fraterna. La esprimono anche nella denominazione frequente di Fraternità. I Movimenti ecclesiali sono basati saldamente su larga e forte fraternità. Attraggono e formano molti e molte che una volta sarebbero entrati/e in seminari o noviziati come Suore o Frati, che oggi non dicono quasi più niente d’interessante con le loro forme di Società, Ordine, Istituto, Comunità. Meglio essere Piccoli Fratelli e Piccole Sorelle e altri e altre simili.

In tempi di crisi delle vocazioni e di rinnovamento o rifondazione tutto il progetto persuasivo e formativo può essere coltivato con spirito e stile di Fraternità educante. Alla base stanno le Superiorità, che possono diventare Paternità-Maternità, calandosi in forme di Fraternità maggiore, maggiore solo per sanità, cultura, competenza. Senza distanziarsi, ma ritrovando alimento e stile in una permanente fanciullezza evangelica, fornendo occasioni educative non reperibili in altri ambiti.

La Fraternità, da clima e tema dell’itinerario educativo alla consacrazione, diventa obiettivo e risultato della intera formazione per la vita nella comunità e nelle opere future, valore da ripresentare e trasmettete nei ministeri e in tutte le opere apostoliche.

La Fraternità diventa valore assoluto, percepito e valutato, amato e voluto, costruito, difeso e ritrovato nelle difficoltà. I suoi volti sono la comunicazione profonda estroversa, la solidarietà generosa, l’unità, a condivisione e l’integrazione, la disponibilità, la stima, la confidenza, la fiducia. Ma anche la collaborazione crescente, spirituale, apostolica, formativa. Da parola e sogno, diventa realtà quotidiana nella correzione fraterna, di cui si parla molto, ma che è ormai prassi quasi impossibile e inesistente.

La Fraternità stabilita e maturata nel tempo di formazione si prolunga dopo. Diventa preziosa nell’insorgere delle crisi, tentazioni, difficoltà e fatica nel fare il bene, solitudine affettiva profonda. La crisi numerica delle vocazioni vicine allarga oggi la fraternità locale, nazionale, dando amici da lontano, da ricuperare con intima prossimità.

 

I nemici della fraternità nelle comunità e nelle persone

Nelle persone grave nemico è l’autismo che chiude in se stessi. Gli altri non esistono o non si vedono. Perciò non se ne tiene nessun conto. Non si chiede, ma neppure si dà nulla. Si nuoce a se stessi, ma si è ombre per il prossimo. Viene poi l’egocentrismo strutturale. Gli altri esistono, con tutto il mondo attorno, ma solo attorno a sé e per sé. L’altro è strumento per affermarsi, celebrarsi e farsi celebrare nella propria vanità, dominare e possedere. Occorre una vera rieducazione, che spesso dà solo la vita con certe sberle. Si trova sempre qualche simile disposto a reggere la coda. Personalità immature abbondano di conflitti, assenze, rivalità, distanze.

Nelle comunità sono nemici della fraternità il paternalismo e il mammismo che la smidollano e banalizzano. La direttività la raffredda o diffonde tensioni pericolose.

Il male si vince e si previene con bene. I giovani devono sentirsi come figli giovani in famiglia, sottosistema prezioso in crescita, in progressivo inserimento in forme di azione e relazione sempre più mature, perciò anche sempre più autonome.

Per tempo e progressivamente, bisogna istruirli sulla Fraternità. Motivarla con contenuti umani, sociali, soprattutto cristiani e perfino teologici. Farli vivere esperienze valide di atti comunitari nettamente fraterni: preghiera, eucaristia, abitazione e ambiente, rapporti e incontri, lavoro condotto in comune, progettazione e verifica, partecipazione attiva e attenta a incarichi, dove ognuno è valorizzato e valutato, dando e ricevendo.