N.01
Gennaio/Febbraio 1999

Accompagnare verso una risposta fedele per ricostruire la fedeltà

Davvero un bel successo l’ultimo romanzo di Louis Sepùlveda: Storia di una Gabbianella e del Gatto che le insegnò a volare, arrivato ormai alla 20a ristampa e spinto in pole position della notorietà grazie al film di Enzo d’Alò, che nel Natale scorso ha letteralmente invaso le sale dei nostri cinema. Un successo decisamente meritato, perché il romanzo è ricco di grandi valori, impersonati – si potrebbe commentare malignamente – da animali, forse perché fra gli “umani” sono diventati rari o più verosimilmente restano sommersi. Valori quali il rispetto, l’apprezzamento e l’amore per il diverso; la solidarietà del gruppo nelle imprese difficili ed impegnative; il forte richiamo contro l’inquinamento… Ma soprattutto, mi sembra, è la fedeltà alle promesse fatte, da mantenere a qualsiasi prezzo, il vero filo conduttore dell’intero romanzo. C’è da rallegrarsene, perché si poteva pensare ormai che la fedeltà fosse un valore perduto.

 

Fedeltà, questa dimenticata

Accompagnare verso una risposta fedele per ricostruire la fedeltà: sinceramente occorre dire che oggi è più facile scrivere un romanzo sulla fedeltà, soprattutto se i protagonisti sono degli animali, che dare orientamenti per riscoprirla, ridestarla e rilanciarla, e, per di più, in quel gioco fondamentale della vita che si chiama vocazione. Al giorno d’oggi, siamo onesti, ai giovani più che competenza la nostra società richiede fortuna o essere figli dell’arte, per cui il loro futuro si prospetta particolarmente problematico. Oppure si propone loro il modello dell’orso che dilania ed ingoia tutto con la prepotenza e la sopraffazione e questo diventa il prezzo giusto con cui imporre sul mercato la propria esistenza. Anche nelle nostre comunità ecclesiali, in particolare nei seminari e nelle case di formazione dei consacrati le cose non vanno poi chissà quanto meglio: pure qui c’è tutto che funziona all’insegna della provvisorietà e, spesso, con il risultato pratico della superficialità e del disimpegno nella routine e nello standard del quotidiano. Di conseguenza, il pericolo per noi, addetti al lavoro dell’educazione e della formazione dei giovani sulle cose grandi della vita, è quello di funzionare e far funzionare gli altri a “motore ridotto”, con uno stile di vita pagano tipo liberal-borghese, con la preoccupazione di non andare mai oltre la soglia del minimo richiesto, in modo da non superare il minimo sforzo. Si sta disimparando, ad esempio, la regola esigente della preghiera e della crescita personale, alimentando al loro posto l’utopia del comunitarismo, inteso come il puro stare bene insieme e della compiacenza vicendevole senza disturbarsi troppo e del ricorrere sovente ai luoghi comuni della condivisione con i poveri. Giovani vittime del permessivismo pedagogico, che ha paura di contestare le illusioni della vita ed i sogni fantasiosi invece che arrivare al sodo del problema del senso dell’esistenza e del cammino impegnativo della crescita verso una personalità riuscita e matura. Giovani che, tuttalpiù si lasciano prendere dalla seduzione di un ruolo da svolgere e si sforzano di raggiungere un titolo di “professionista”. E questa diventa la sola regola etica che giustifica l’esistenza, nel credere di salvarsi per quello che si fa, soprattutto se viene considerato e stimato dagli altri. Una educazione/formazione insomma costruita con materiali falsi, perché, alla fine, viene a mancare o ad essere molto debole quel muro maestro che è la consistenza della identità e nella scelta di vita. Guarda caso, ciò che è più assente in tutto questo è proprio la vecchia fedeltà.  Al più si trova routine di atti ripetuti ma non c’è fedeltà, che consiste in ben altro. Una fedeltà stereotipata, mentre, invece, la fedeltà vera è essenzialmente creativa. Questa è allora la famosa arca perduta, che da qualche parte bisogna pure ritrovare, per poter galleggiare alla meno peggio nel diluvio di questo passaggio di millennio. Eppure, insieme con amore e libertà, la fedeltà è una di quelle parole a cui si è ricorso di più, non solo nel mondo della Bibbia ma anche in questi 20 secoli di cristianesimo. Perché allora l’abbiamo perduta per strada o ce la siamo dimenticata nel fondo del bagaglio della nostra vita? Forse la fedeltà, nel passato, ha recitato troppo la parte del dovere imposto o dei semplici comportamenti esteriori da perseguire. E così ha fatto la fine di tanti altri valori grandi ma ridotti al manichino esteriore. Di conseguenza è stato facile buttarli nella soffitta delle cose vecchie e inadeguate.

 

Il punto di Archimede

Abbiamo appena detto che la fedeltà è troppo importante per traghettare le nostre vite nei mari alluvionali di questo nostro tempo. Ma qual è il punto di appoggio, il classico punto di Archimede, per risollevare il valore della fedeltà dall’ammasso delle cose sorpassate e rinverdirne l’esigenza per l’oggi? Certo non basta il romanzo di Sepùlveda, per quanto simpatico ed originale, o qualche altra favola di animali saggi pedagoghi dell’uomo computerizzato.

Affermava M. Buber: “Cominciare da se stessi: ecco l’unica cosa che conta. In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni altra presa di posizione che mi distoglie da questo inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per fare fallire completamente questa audace e vasta impresa. Il punto di Archimede, dal quale posso da parte mia sollevare il mondo, è la trasformazione di me stesso”[1]. Per non diventare persone con due vite, c’è allora da preoccuparsi prima di tutto non tanto di quello che c’è da fare, quanto di quello che si dovrebbe essere. Di conseguenza, farsi il gusto di essere e di diventare se stessi. Diventare docili a questa coscienza profonda. L’io può avere diversi padroni: il dovere, l’apparire, il perfezionismo, il potere, l’avere, il sapere, il riconoscimento da parte degli altri, il consumare il piacere immediato… La docilità alla coscienza profonda deriva dall’aver capito che la cosa più importante è che io diventi pienamente me stesso e che Dio è non l’antagonista della mia riuscita ma è il promotore incrollabile della piena realizzazione di me. Egli infatti da me non desidera altro né su di me ha altri sogni e perciò non ho paura di fare la scelta di mettere la realizzazione di questo mio essere profondo al primo posto nei miei interessi e nei miei impegni. Ogni cammino di fedeltà vera parte di qui. Ogni altro tipo di fedeltà è imposizione o comportamento esteriore, che, nel turbine delle mode di oggi, viene ben presto abbandonato. Ma, voler diventare se stessi è l’impresa più difficile che esista. È una dura fatica, perché molto presto ci si scopre fatti a pezzi disposti in ordine sparso ed oltretutto in balia della voglia di ognuno di fare secondo i propri capricci, senza intenzione di convergere insieme verso un obiettivo comune: così il mio corpo, così la mia sensibilità, così la mia intelligenza, così la mia volontà, così lo scrigno delle mie ricchezze più profonde. Ognuno per sé e guai a chi mi tocca!

Oltre a ciò, come se non bastasse, se proprio ci tengo a diventare me stesso, purtroppo mi trovo a remare in solitaria e, per di più, controcorrente, perché nella nostra cultura tutti gli aiuti abbondanti ed i ponti d’oro ti vengono forniti alla sola condizione di essere secondo il modello più reclamizzato oppure se sei disposto a nascondere l’originalità del progetto della tua esistenza nella sagoma dell’anonimato più banale. Sì, certo, il punto di appoggio di Archimede, cioè cominciare da se stessi. Però, chi te lo fa fare, visto il prezzo che c’è da pagare? È necessario che questo punto di appoggio aderisca a sua volta molto strettamente ad una roccia solida e questa non può essere altra che la fedeltà di Dio. Questo Dio che sogna la realizzazione piena di me stesso, a tale punto da desiderare nei miei riguardi un capolavoro unico ed irripetibile. Anzi, una realizzazione di me, che, se ben si considera, in quanto risposta al progetto del Padre, non è altro che lasciare emergere e trasparire nella mia persona il suo amore fedele. E ciò, nonostante tutti i tentennamenti e gli scossoni della mia crescita come uomo e come credente. Una crescita che non sarà mai lineare e costante, ma che procede in modo discontinuo, con progressi, stagnazioni, qualche volta anche regressioni. Ma nel profondo di me avverto, se gli so prestare attenzione ed ascolto, una potente energia vitale, che spinge in avanti le potenzialità del mio essere. Questa energia vitale è monopolio di Dio e sua manifestazione. Di lui che rimane fedele, nonostante tutti i miei scossoni ed i miei alti e bassi. A me rimane la libertà di fidarmi o no della sua fedeltà e delle belle attese che egli nutre nei miei confronti. Se mi fido sul serio, perché so a chi ho dato fiducia, nonostante tutte le mie fedeltà incompiute e le mie battute di arresto, la fedeltà della mia vita, poco alla volta, inizierà a produrre i suoi frutti e diventerà una continua e stupenda crescita. Così infatti matura la santità.

 

Perché non sia un desiderio “a monetina”

Sappiamo tutti che fine fanno i desideri che si possono esprimere alla vista di una stella cadente o lanciando una monetina in una fontana famosa. Semplicemente cadono con la stella o con la monetina e rimangono un bel desiderio. Come concretizzare allora in un itinerario di crescita questa presa di consapevolezza del Padre di Gesù che è Dio fedele e questo dare fiducia alla sua fedeltà ed alle possibilità straordinarie che lui ha posto in me? Queste infatti sono le due forze trainanti della fedeltà, che dal mio essere profondo si allargano a macchia d’olio nel mio vissuto quotidiano. Proviamo ad esprimerlo in 3 condizioni.

– La prima condizione è rievangelizzare noi stessi. Quello che conta per ciascuno di noi è scoprire che la vita cristiana consiste nell’evangelizzare continuamente se stessi. Ognuno può costatare facilmente che le proprie reazioni spontanee sono molto lontane dal Vangelo. Noi diamo per scontato che con una sufficiente pratica di vita cristiana siamo anche sufficientemente evangelizzati. Nulla di più falso. Occorre invece evangelizzarsi fino alle radici dell’essere. E questo è un lavoro che non finisce mai. Anche lo stato di vita, qualunque esso sia, non garantisce affatto che spontaneità e vita secondo il Vangelo automaticamente coincidano. Noi preghiamo e leggiamo il Vangelo, non per cercare delle informazioni ma per essere introdotti alla vita. Si tratta di una chiave preziosa per entrare nel profondo di noi stessi e scoprire la fedeltà di Dio scritta nelle esigenze vere del nostro essere. Imparare a condividere la vita del Signore, per ritrovare la nostra vera esistenza. Un contatto vivo con la Parola quindi, nel contesto della fedeltà alla preghiera. Questa è la base di tutte le altre fedeltà. Imbattermi nella fedeltà creatrice di Dio e mettermi ad operare in sinergia con lui con una mia fedeltà creativa.

– La seconda condizione è creare e costruire un ecosistema. Questo è diventato un problema di estrema attualità, dopo i disastri ecologici che abbiamo combinato o stiamo ancora perpetrando. Ci si è accorti finalmente che ogni specie vivente ha bisogno di un clima e di determinati elementi per nascere, svilupparsi e crescere. Peccato che ci arriviamo un po’ tardi e peccato soprattutto che ci accontentiamo di applicare questa esigenza al mondo degli uccelli, delle rane, delle alghe e di qualche altra specie vivente, mentre il problema dell’ecosistema è un’esigenza anche della vita spirituale e della crescita della persona. Un ambiente non per sopravvivere ma per vivere e perché ci sia felicemente vita in abbondanza. Essere dei cristiani veri, con qualsiasi vocazione, significa avere una forte vita dentro non semplicemente un lavoro da svolgere o una corsa alla celebrità. L’ecosistema spirituale in questione è essenzialmente un gruppo, una fraternità (non un albergo od un college), con cui condividere seriamente fede e dubbi e delle relazioni vitalizzanti, cioè che sanno incentivare questa vita profonda, che ci portiamo dentro. Nessuno può dubitare che gli stimoli veri ad una fedeltà sempre più determinata (= convinta e costante) siano forniti dalla testimonianza di chi condivide con noi la vita e le motivazioni del suo esistere e delle sue scelte. Questo è un luogo non di compiacenza vicendevole, come tanto sovente ci tocca incontrare anche nelle case di formazione e nei seminari, ma un luogo di edificazione reciproca nella fedeltà alla crescita.

– E la terza condizione sarà allora la figura dell’accompagnatore. A me sembra che, nella logica del nostro discorso, lo dobbiamo necessariamente configurare come una persona solida, non per la sua corazza inossidabile agli attacchi della ruggine della debolezza e degli alti e bassi, ma solido perché ha potentemente sperimentato nella sua vita che vale la pena dar fiducia a Dio e che, proprio per la sua consegna alla fedeltà creatrice e misericordiosa del Padre di Gesù, ha potuto fare un buon cammino di fedeltà, un cammino faticoso ma felice. Per questa esperienza di fedeltà di Dio, continuando fiducioso a dare la mano al Padre, da buon ecologista può offrire un contributo decisivo per creare quell’ecosistema, così necessario allo sviluppo della fedeltà creativa che dicevamo. Inoltre da buon discepolo del Dio fedele, non darà soluzioni magiche o posticce ai giovani che vogliono buttarsi nell’avventura di diventare se stessi. Egli, anzi, accetta di condividere la fatica di accompagnare, senza spaventarsi delle fedeltà ancora troppo incompiute o addirittura delle contraddizioni dell’infedeltà. Fare insieme un cammino che consiste nel provocare, mettendo ciascuno in faccia alle proprie responsabilità di fronte al progetto di diventare se stessi e poi giocare sulla scommessa di liberare a poco a poco, attraverso un bel discernimento ed incoraggiamento, quel progetto e cammino di fedeltà, che ogni giovane si porta dentro, verso la realizzazione piena della propria vita, in altre parole verso la compiutezza della propria vocazione.

 

 

 

Note

[1] Cfr. M. BUBER, Il cammino dell’uomo, Qiqajon, Magnano B. (VC) 1990. Per ulteriori approfondimenti e per avere indicazioni bibliografiche precise vorrei ricordare: AA.VV., La persona e la sua crescita, ed. PRH, Agence Lexies 1997; A. CENCINI, I sentimenti del Figlio. Il cammino formativo nella vita consacrata, EDB, Bologna 1998; L. SEPULVEDA, Storia di una Gabbianella e del Gatto che le insegnò a volare, Solani, Varese 1998; R. VOILLAUME, La vita religiosa nel mondo attuale, Ancora, Milano 1972.