Cristo testimone fedele del Padre
Sì, Cristo “testimone fedele”. Tutta la sua vita e la sua missione lo rivelano. Obbedisce al progetto salvifico del Padre che lo porterà a nascere nella povertà di Betlem; a vivere trenta anni per noi a Nazaret, sconosciuto umile “operaio”. In questo silenzio operoso, un “flash”, un “lampo” di gloria; a dodici anni nel Tempio: a Maria e a Giuseppe Egli dichiara con forza la sua missione: “Devo occuparmi delle cose del Padre mio” (Lc 2,49). E poi il “ritorno” a Nazaret soggetto a loro.
In questo silenzio e in questo lavoro “poco gratificante”, già si intravede, come sulla croce, il nostro quotidiano, perché “tutto è grande se grande è l’amore”. Trent’anni. Battesimo nel Giordano, rivelazione della Trinità. Sarà il Padre che farà la “presentazione” di Gesù affermando: “Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Lc 3,22).
Forte la testimonianza all’inizio della vita pubblica che darà al Cristo la certezza di essere mandato e sostenuto dall’Amore del Padre e lo farà fedele sempre, suo testimone, anche nei contrasti, anche quando i suoi paesani consci della sua umile vita a Nazaret gli “contrastano” la sua origine divina: “Non è egli forse il figlio del carpentiere?” (Mt 13,55). Tentano di ucciderlo! Ma Gesù continua nella sua fedeltà. Cristo testimone fedele del Padre sta di fronte alle nostre coscienze e ci interpella. Questo “mistero nascosto nei secoli”, questo Verbo che in principio era presso Dio ed era Dio (cfr. Gv 1,1), ora ha preso la nostra fragile umanità. “Umiliò se stesso” (Fil 2,7), ci dice Paolo e divenne “cuore” del mondo.
Questo il disegno del Padre che portò il Figlio per sentieri “osceni” di povertà, di umiliazione, di sofferenza, fino alla “follia” della Croce. “Mistero inaudito, l’Incarnazione – canta San Leone Magno -. Cristiano conosci la tua dignità! Ricorda che il Figlio di Dio è entrato nella tua storia, è diventato centro della Chiesa, centro della tua anima, ti ha divinizzato”.
Cristo parla con autorità, reso forte della testimonianza del Padre, nel Giordano e sul Tabor, resta fedele al progetto di Dio che lo porta al rifiuto della “proposta di gloria”, di “successo” di “dominio” sugli altri che gli si presentano con le tentazioni dal deserto alla Croce.
Afferma con forza di essere Figlio di Dio e questo sarà il motivo che lo porterà alla condanna a morte. Testimonia la sua obbedienza: “Faccio quello che il Padre mi ha comandato”… “Come mi ha insegnato il Padre, così io parlo”… “Io e il Padre siamo una cosa sola”… “Chi ha visto me ha visto il Padre”… “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Gv 14,31; 8,28; 10,30; 14,9; 7,16).
Gesù afferma con forza che il Padre gli ha reso testimonianza. L’atteggiamento della sua anima è sempre di piena fiducia nel Padre. Nel Padre nostro ci insegna a chiedere: “Sia santificato il tuo nome” (Mt 6,9), ci sollecita a domandare a Dio ciò che Egli ha fatto e desidera che noi facciamo. Gesù ci invita a fare come lui e realizzare il progetto del Padre nella nostra vita. Egli è il modello perfetto che sta di fronte alla nostra coscienza. “Io sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6). Cristo, fedele rivelatore dell’Amore del Padre “che fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,45), ci sollecita alla misericordia.
Aperto al perdono accoglie i peccatori e li rimanda giustificati. Uomo libero dai condizionamenti umani, sempre fedele alla sua missione, guarda in faccia uomini e cose e non teme l’impopolarità e l’odio nello smascherare falsità e vizi. Cristo ci vuole come lui, sicuri dell’amore del Padre che “veste di splendore i gigli del campo e nutre gli uccelli dell’aria” (cfr. Mt 6,25-34).
Fedele alla sua missione di redentore, ci ricorda con la sua vita e le sue parole, l’eterno destino di gloria che con il Padre ci ha preparato. Soprattutto l’apostolo Giovanni ci ricorda “quasi divina sinfonia” le parole di Gesù, il suo grazie al Padre, la sua preghiera per noi: “Questa è la vita eterna: che conoscano te… e colui che hai mandato, Gesù Cristo”… “Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato” (Gv 17,3.24).
Con lui dobbiamo vivere la nostra vita, affrontando con fedeltà e coraggio gli eventi talora misteriosi che la segnano ricordando che lui è andato a prepararci un posto. Alla luce della fedeltà vissuta da Gesù Cristo, vediamo in “filigrana” quella di alcune figure bibliche.
Cristo “vera posterità” di Abramo
“Abramo (…) esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Gv 8,56). Sono parole di Gesù che ci orientano a capire l’intima grandezza del patriarca. Teologi ed esegeti hanno sempre messo in luce la sua fede, la sua obbedienza ai comandi del Signore: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre…” (Gn 12,1). Gesù dice che Abramo “esultò” nella speranza… L’esultanza del patriarca è preludio di quello che canterà la Vergine molti secoli dopo: “Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore” (Lc 1,47).
Vide il mio giorno e se ne rallegrò: vide la mia nascita, vide il dono del Padre, vide il mio amore per gli uomini, vide la passione e la risurrezione. Abramo si rallegrò perché migliaia di anni prima aveva visto lo splendore del volto di Cristo. Chi entra nel mistero di Dio, pur in mezzo alle prove e all’oscurità e sofferenza di certe situazioni, può gustare la gioia della presenza del Signore e della sua fedeltà. È fuori dubbio che l’aver visto il giorno di Cristo, diede ad Abramo certezze supreme. Egli sentiva che Dio non si smentisce. Il Signore gli aveva parlato, l’aveva scelto, gli aveva rivelato una posterità gloriosa.
Abramo invita anche noi, scelti, chiamati e privilegiati per aver visto il giorno del Signore a fare come lui. Ci invita a camminare nella gioia, nella speranza, nella fiducia, anche nell’oscurità della fede, ricordando che Dio è fedele.
Gesù Cristo figlio di David
Davide, tipo del Messia che deve venire dalla sua stirpe, chiamato da Dio e consacrato mediante l’unzione. Incaricato di essere pastore di Israele, risponde alla sua vocazione con un profondo attaccamento a Dio, abbandonato alla sua volontà (cfr. 1 Sam 17,37; 2 Sam 7,18-29). È pronto ad accettare da parte sua qualsiasi cosa: “Eccomi; faccia di me quello che sarà bene davanti a lui” (2 Sam 15,26).
Evocare Davide, per i profeti, significa affermare l’amore geloso di Dio per il suo popolo e la sua fedeltà all’alleanza (cfr. Is 55,3; Ger 23,5; 33,15-17).Questa storia gloriosa non deve far dimenticare l’uomo, che ebbe le sue debolezze e le sue grandezze, ma deve piuttosto ricordarci che ciò che conta è il desiderio di conformare la propria vita ai progetti dal Signore.
Geremia: una “figura” del Cristo
Fare il profeta non è un mestiere di moda in tempi di “riflusso” nel privato. Geremia è una “singolare” figura di profeta a cui il Signore chiese di non formarsi una famiglia per essere tutto al suo servizio. Quando Dio lo chiama, Geremia non ha la prontezza e l’ardore di Isaia che risponde deciso: “Eccomi manda me…” (Is 6,8). È molto insicuro… teme le sofferenze che gli verranno dalla sua azione profetica.
È un dramma di tensioni e d’incertezza quello che Geremia vive. Si rifiuta di ripetere le parole del Signore perché minacciano castighi e distruzione. Ma poi si arrende a quel Dio che lo aveva scelto ancor prima della sua nascita ed “esce” in quel celebre grido: “Tu mi hai sedotto Signore ed io mi sono lasciato sedurre… Hai fatto forza ed hai prevalso…”. Dopo il suo “sì” Geremia è fedele a ripetere il messaggio di JHWH. Ricorda con forza e coraggio a Gerusalemme le sue infedeltà (cfr. Ger 7,28).
Il timido e dolce profeta ora parla con le parole che Dio stesso gli ha messo sulla bocca. Rimprovera la città per la sua idolatria, per le ingiustizie che compie. Per questa sua fedeltà va incontro a sofferenze, ma questo è il “prezzo” della testimonianza (cfr. Ger 11,18-23).
Pietro: la missione nella fedeltà e nell’amore
Pensando a Pietro la prima cosa che si presenta alla riflessione, non è la sua fedeltà ma quella del Cristo. Il Maestro conosceva la triplice negazione di Pietro eppure lo chiamò (cfr. Mt 26,33-35). In Pietro, Cristo aveva visto un’anima ardente entusiasta, che lo avrebbe amato, con una fedeltà sfociata nel martirio. Per la sua impulsività e presunzione Pietro riceverà, come nessun altro, ammonimenti da Gesù che, sul lago di Tiberiade, lo rimprovera per la poca fede (Mt 14,31) e giunge a chiamarlo “satana” perché “non pensa secondo Dio” (cfr. Mt 16,23). Pietro, malgrado le sue debolezze, ci ricorda che Gesù vuole testimoni vivaci, ardenti, sicuri perché un apostolo stanco, sfiduciato, non può trasmettere fedeltà!