Vocazioni: dalla comunione alla vita fraterna
Perché questo Convegno? Sapevamo che il tema è di attualità sia dentro la vita della Chiesa sia nella società contemporanea. Gia il prof. Andrea Riccardi, storico, della comunità di S. Egidio, introducendo la riflessione, ha messo a confronto il bisogno di aggregazione e il valore della fraternità. Ha ricordato come il nostro secolo con i cento milioni di morti per le guerre, l’urbanizzazione e la scomparsa della società rurale, la trasformazione della famiglia, il cambio di ruolo della donna; ma anche con la nascita di forme nuove di aggregazione (i partiti, i sindacati, i movimenti, ecc.), ha cambiato l’antropologia. E soprattutto con la rivoluzione individualista, sono cambiati i modi; ci si aggrega sempre meno per motivi ideologici o ideali e sempre più per affinità individuali. Ciò ha avuto riflessi non piccoli sul senso e sui modi dell’appartenenza alla Chiesa. L’impegno evangelico di costruire la comunità cristiana continua, ma la situazione contemporanea ci fa apparire la Chiesa come composta da un minoranza motivata e impegnata che porta il peso di una maggioranza che compie qualche atto religioso (Card. Martini). Eppure c’è spazio per il Vangelo della fraternità: esso ha una sua forza debole perché permette l’umanizzazione di rapporti altrimenti duri, ingiusti, violenti. Dall’inizio la Chiesa ha seminato carità e solidarietà, civiltà e incontro di popoli e culture. Anche oggi, benché le aggregazioni ecclesiali siano deboli rispetto al passato, sono una provocazione significativa in una società frammentata e competitiva: nella Chiesa ci si accetta anche se diversi, pur nella difficoltà; ci si tratta da fratelli con un unico maestro e Signore. C’è un grande bisogno di rapporti aperti e solidali, perché ci accorgiamo che non si nasce già fratelli, ma tutti dobbiamo diventarlo, anche i fratelli di sangue; ma occorre una fraternità aperta a tutti i credenti, universale, solidale con i più piccoli, per essere autentica.
Ma per noi del CNV trattare questo tema in chiave vocazionale ha anche un altro significato. Siamo alla fine di un viaggio che in questi ultimi anni ci ha condotto a riscoprire e ristudiare i fondamenti della pastorale delle vocazioni di “speciale consacrazione”. Dopo la preghiera, la liturgia e l’ascesi, ci siamo messi alla ricerca di quei valori che caratterizzano per la loro novità evangelica le vocazioni di speciale consacrazione. La verginità per il Regno dei cieli è apparsa subito l’evento centrale e l’unico che le accomuna tutte. Dopo povertà e obbedienza, siamo passati a riflettere sulla “nuova fraternità” che nasce tra quei discepoli che hanno in comune il dono della Verginità per il Regno. Non è anch’essa una specie di “finestra” aperta sulla realtà finale, una anticipazione escatologica della comunione con i fratelli in Dio, cui tutti siamo destinati? Pur realizzata in forme diverse, è anch’essa un valore di fondo di tutte le vocazioni di speciale consacrazione, ha un potere esplicativo e di attrazione verso di esse notevolissimo. La pastorale vocazionale non può che metterlo al centro del suo annunzio e della sua testimonianza, dell’accompagnamento e del discernimento delle vocazioni.
Suor Elena Bosetti, con la sua solita passione e competenza, percorrendo alcuni testi biblici, ha confermato la centralità del nostro tema che ha definito “il sogno di Dio: dare famiglia”. Sogno infranto e ricostruito proprio da Gesù che chiama i discepoli a lasciare tutto e a fare una comunità nuova attorno a lui e una fraternità speciale tra quelli che sceglie per una missione particolare. A tutti chiede di mettere in secondo piano i legami sociali, affettivi e di sangue, anche i più stretti. Nel discorso della montagna (Mt 5-7), in quello “ecclesiastico” (Mt 18) e nel suo testamento (Gv 13-15), Gesù imposta la nuova famiglia che vive di un cuore solo e di un’anima sola pur essendo sparsa nel mondo.
Da don Tullio Citrini, teologo, sono venute alcune precisazioni fondamentali circa l’essere eletti-chiamati come il fatto fondante la comunità ecclesiale e non viceversa. Con la Chiesa, lo Spirito costituisce un popolo di “con-vocati” prima di tutto per essere cristiani. Poi si stabiliscono alcune vocazioni che per il loro ministero garantiscono la continuità della Chiesa e la sua fecondità. A sua volta solo da una comunità veramente radicata in Cristo, nella sua Parola e nell’Eucaristia, nella missione e nella carità, sorgeranno vocazioni, la cui generazione ed educazione non è certo frutto di tecniche o sapienza umana. Il compito è quello di rifare il tessuto cristiano delle comunità se si vogliono avere le condizioni favorevoli a tutte le vocazioni!
Il p. Fabio Ciardi, esperto di vita consacrata, ci ha messi di fronte alla storia della Chiesa con le sue innumerevoli forme di comunità fraterna, sorte soprattutto nella vita consacrata e nel presbiterio (da Pacomio, Basilio, Agostino fino ai chierici regolari e alle moderne Congregazioni). L’intenzione originaria, manifestata da molti fondatori nelle parole finali della loro vita, era la medesima: favorire la comunione e far crescere l’amore reciproco come il vero cuore di ogni comunità. Anche oggi sorgono nuove forme di vocazioni laicali e consacrate caratterizzate proprio da questo elemento che sembra prevalente nella loro identità: fare comunità fraterne, mantenere una unione forte pur nella diversità dei doni. C’è una “effervescenza carismatica” che in parte si sta stabilizzando in forme ecclesiali, in parte è ancora in movimento, ma con alcune caratteristiche che si possono già vedere: il legame alla Chiesa universale, la comunione tra vocazioni diverse, lo spazio dato ai laici, l’apertura ecumenica. Se lo Spirito sta rimettendo la vita fraterna al centro della dinamica ecclesiale, anche nella pastorale vocazionale il valore della comunione, così come viene realizzato in questi “laboratori” di forme nuove, deve essere proposto decisamente perché è attraente e provocante.
Nella tavola rotonda, condotta da P. Giorgio Liverani, don Beppe Roggia (formatore salesiano), suor Tilla Brizzolara (educatrice e direttrice del settimanale diocesano di Parma) e Mons. Giancarlo Bregantini (Vescovo di Locri) hanno presentato non solo delle esperienze, ma le loro riflessioni su come la storia personale e familiare li ha preparati a vivere la fraternità, e su come in una comunità religiosa apostolica o in un presbiterio diocesano si possono aprire degli spazi nuovi di fraternità tra consacrati o preti che testimoniano il Vangelo con i rapporti vicendevoli e accolgono i giovani che ne sono attratti. Qui forse è emerso più che altrove come la verginità per il Regno vissuta insieme dà alla fraternità una serie di caratteristiche nuove, che danno maggiore trasparenza al volto della Chiesa e sono apostolicamente più accoglienti ed efficaci. Un tema questo che è rimasto uno degli obbiettivi del Convegno ancora da approfondire, non esplorato in tutte le sue potenzialità.
Il contributo pastorale e pedagogico di p. Amedeo Cencini, ha cercato di mettere in luce come solo uscendo dall’individualismo pastorale si esce dalla crisi vocazionale. Il soggetto storico della chiamata è la comunità cristiana con tutti i suoi operatori, nella misura in cui promuove una cultura vocazionale. Dai percorsi comunitari classici (liturgia, comunione, carità, annuncio) si arriva alla chiamata personale, rivolta a tutti, vicini e lontani, perché tutti sono oggetto di un disegno di Dio. Ma la fraternità deve essere utilizzata anche come criterio vocazionale: senza accettare la condizione fraterna (il senso di appartenenza, il senso di alterità e di diversità, la gratitudine e la gratuità, la responsabilità verso la comunità) non è possibile camminare in una vocazione di speciale consacrazione. Alla fine sarà proprio la fraternità il luogo cardine del discernimento vocazionale.Gli interventi del Cardinale Pio Laghi, dei Vescovi Ennio Antonelli, Alessandro Plotti, Enrico Masseroni, hanno confermato come nella coscienza della Chiesa universale, e di quella italiana, il valore della comunione che si alimenta di diverse vocazioni e di forme antiche e nuove di fraternità sia al centro del loro insegnamento e della pastorale.
In conclusione, come CNV crediamo di aver reso un piccolo servizio alla pastorale della Chiesa italiana rimettendo sotto l’attenzione degli operatori di pastorale vocazionale la vita fraterna. Anche se sappiamo che di fatto è un valore forte e debole insieme, per la distanza dall’ideale delle sue realizzazioni: sarà sempre un dono e un compito insieme. Ma ci è sembrato comunque uno dei principali punti critici della nostra pastorale per la sua fecondità vocazionale e la sua potenzialità costruttiva, se verrà attualizzato. Anche oggi comunque il compito non è affatto esaurito: quando ritorneremo al senso del presbiterio diocesano saldato attorno al Vescovo dalla partecipazione al sacramento dell’Ordine che solo lui ha in pienezza? Quando gli istituti di vita consacrata antichi e nuovi si decideranno a spendere più energie e più formazione per realizzare le forme di vita comune prevista dal loro carisma con più autenticità e radicalità, con più collaborazione reciproca e con le Diocesi? Quando i nuovi movimenti ecclesiali, che hanno forme di vita consacrata, si decideranno al salto di maturità che li metterà a testimoniare il Vangelo insieme agli altri carismi nella Chiesa universale e locale, rinunciando alla tentazione dell’autosufficienza? Ma non c’è da scandalizzarsi. La Chiesa come fraternità nuova, ma di peccatori, si rinnova costruendo e ricostruendo la sua comunione, attraverso il perdono. Il cammino ci vede coinvolti con tutti i fratelli cristiani, con altri uomini religiosi, e con molti altri di buona volontà. Il Giubileo sarà una grazia potente in questo cammino.