La mano benedicente. Il Sacramento della Riconciliazione come luogo ideale per il discernimento vocazionale
Credo che non ci sia gesto più rappresentativo della misericordia del Padre della mano alzata del sacerdote nell’atto di assolvere un penitente. Un gesto semplice che, inserito nella realtà sacramentale della Riconciliazione, ha valore rigenerante, riportando la persona alla sua “unità originaria”: creata per essere ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1, 27). Ho sempre avuto una particolare predilezione per la mano, questo organo del corpo protagonista del fare e disfare umano; abile nel dare vita così come nel toglierla, spinto sempre ad agire rispecchiando i sentimenti che abitano nel cuore. Non ho dubbi, considerando la mia tendenza pratica, che quanto ho deciso di svolgere nella mia attività professionale sia stato influenzato da questa preferenza per la mano. Infatti, buona parte delle mie energie le ho impiegate studiando per conoscerne sempre più le sue funzioni e per valorizzarla in ogni circostanza, sia a livello personale che sociale.
Arte, Musica, Scienza, Medicina, Letteratura, così come ogni altra disciplina umana, si esprime e viene tramandata tra generazioni, grazie all’uso sapiente e adeguato che si fa di questo organo meraviglioso, allorché è agito sullo, sfondo della somiglianza divina. Una somiglianza che stimola, prima di tutto, ad essere docili a se stessi, alla propria condizione creaturale, per poter successivamente esprimere la propria dignità di Figli di Dio, nella modalità e con le caratteristiche personali, tipiche di ciascuno. Dio fa grandi cose sempre, particolarmente agisce in colui che risponde con docilità alle sue ispirazioni.
“Il Signore tuo Dio ti rinnoverà con il suo amore” (Sof 3, 17). Il mio Signore, il nostro Signore è veramente il “grande restauratore”! É certamente un’esperienza di restauro quella che ogni volta mi viene concessa di fare nel Sacramento della Riconciliazione.
Ogni volta, è stato ed è ancora una nuova conoscenza, un passo avanti, almeno spero di non illudermi, sul cammino della conversione. Ogni volta che riesco a guardarmi e a mettere il mio modo di vivere in discussione nella prospettiva evangelica, mi rendo conto che è un’Occasione di Grazia che non devo mancare. Ogni volta è come aggiustare la mira, è come mettere meglio a fioco il mio modo di essere, di pensare, di dire, di fare, … per orientarlo a Dio l’“Alto e glorioso Dio – che – illumina le tenebre del cuore mio…” (cfr. san Francesco d’Assisi).
Ho iniziato questo cammino di crescita verso la conoscenza di Dio, e perciò di conversione, a circa dieci anni come avviene per molti bambini. L’ho percorso portandomi dentro caos di interrogativi, emozioni e sentimenti. Ho perseverato, grazie a Dio e grazie al mio confessore e padre spirituale, a cui ho voluto e tuttora voglio un gran bene. Oggi, adulta, comprendo e apprezzo riconoscente l’atteggiamento paterno di questo sacerdote, gliene sono molto grata; mi ha accompagnata con ammirevole discrezione, facendosi di volta in volta strumento di quanto suggeritogli dallo Spirito Santo.
Mi ha insegnato ad avere sempre un sincero atteggiamento di ricerca della Luce Vera, di amore per la Parola di Dio, di rispetto della vita e del modo di viverla secondo Dio. Nel ripetuto tentativo di ridimensionamento di me stessa, che ha trovato nell’ambito del Sacramento della Riconciliazione il luogo ideale di verifica e confronto, comprensione e nel contempo apertura alla vita cristiana, un giorno il padre spirituale mi ha lanciato un messaggio che ha espresso più o meno in questi termini.. “Pina, considerando l’età che hai, dovresti cominciare a pensare cosa vuoi fare della tua vita, se sposarti o che altro?…”.
Avevo 28 anni ed ero molto gratificata dalla mia attività professionale. Non avevo messo in conto altri programmi su di me. Ero più che soddisfatta del mio lavoro; fra l’altro, trattandosi di un’attività rivolta a persone con disabilità, mi sembrava che si trattasse di un impegno che avesse l’approvazione anche da parte del Signore. Il sacerdote, vista la mia perplessità, mi rassicurò circa la bontà della mia professione. Aggiunse però che, se pensavo di indirizzare la mia vita verso il matrimonio era un conto, se invece avevo qualche altra idea forse poteva essere il momento giusto per cominciarne a discutere.
Proprio in quel tempo avevo messo da canto ogni altra idea relativa al mio futuro. Il lavoro mi riempiva; mi sentivo catapultata nel mare di problematiche correlate alla sofferenza umana; avevo continue opportunità per fare del bene; ritenevo perciò che così facendo avevo assicurato il benestare da parte di Dio. Il Signore non poteva non condividere ciò che stavo facendo. “È vero stai facendo bene, – mi fu detto – ma non credi che potresti fare di più? Forse potresti aggiungere qualcosa alla tua vita, al tuo modo di parlare, di consigliare, di toccare i tuoi pazienti siano essi piccoli che grandi, al tuo modo di essere in genere, al tuo modo di vivere da cristiana?…”.
Mi incuriosì. Non avevo idea di che cosa comportasse quella sollecitazione nel contesto sacramentale. È probabile che non ne avrei tenuto conto se mi fosse stato detto da qualcun altro e/o in altri luoghi. Per la prima volta, dopo 18 anni di direzione spirituale, sentii menzionare il termine “Istituto Secolare”.
Le uniche cose che seppi e che mi suscitarono una profonda emozione furono a proposito di un certo Frate Minore che aveva fondato un Istituto la cui spiritualità era basata sulla Parola di Dio: l’Istituto Secolare delle Missionarie del Vangelo; un Istituto dove tutto sembrava ruotasse intorno al Vangelo, vedi la stessa denominazione. Alla parola “Vangelo” mi sentii illuminare il cuore. Mi porto ancora un’affermazione che mi risuona dentro da quando ero bambina, detta dal mio stesso padre spirituale ai ragazzi, una domenica durante la celebrazione della Santa Messa: “Il Vangelo si ascolta stando sull’attenti”. Con quell’espressione egli mi inculcò intensamente la solennità dell’evento “ascolto del Vangelo” sottolineando il linguaggio del corpo.
Ora che lo stesso Vangelo mi veniva riproposto, forse per un coinvolgimento personale più ravvicinato, mi sentivo assolutamente garantita da questa Parola, comunque andassero le cose. Mentre ancora una volta la mano del confessore era alzata sul mio capo per l’assoluzione, completato il formulario della benedizione, senza esitare chiesi di cercare l’indirizzo del Frate Fondatore di cui mi aveva parlato per saperne di più sull’Istituto Secolare delle Missionarie del Vangelo…
A distanza di parecchi anni di vita consacrata, riconosco la verità di quanto voleva dire il mio confessore quando mi propose di aggiungere qualcosa al mio modo di essere. In verità io non ho aggiunto niente, è il Signore che mi ha qualificata con il “DOC” di sua proprietà. Non mi devo preoccupare d’altro.