20 anni di diaconato nella Diocesi di Livorno
Premessa
Per rispondere a quanto mi è stato richiesto, ritengo significativo condividere alcune suggestioni che scaturiscono dall’esperienza ventennale che la mia Chiesa ha fatto in merito al diaconato. Il diacono rende presente sacramentalmente Cristo Servo nella comunità, questo ne differenzia e caratterizza il ministero in modo sostanziale rispetto alle funzioni espletate dai laici e dai religiosi, ma anche dai vescovi e dai presbiteri (sappiamo infatti che la diaconia è di tutti i battezzati). Direi che in sintesi il diacono, con la sua presenza, confortata ovviamente dall’esercizio coerente del proprio ministero, arriva ad essere amorevole “richiamo” per tutti gli altri ministri (ordinati e non) a compiere il proprio specifico servizio come ha fatto Gesù, che non è venuto per essere servito ma per servire.
Il diacono appartiene al vescovo
L’affermazione è confermata anche dal fatto che durante il rito di ordinazione soltanto il vescovo impone le mani sull’ordinando, contrariamente a quanto accade per il presbitero. Il diacono è chiamato a rendere presente il vescovo, ed intendo in tutte i suoi specifici carismi (penso in particolare alla dimensione ecumenica ed alla passione per l’apostolato biblico, alla pastorale giovanile e familiare che hanno caratterizzato il ministero del mio vescovo), lì dove è chiamato a svolgere il suo ministero.
Questa affermazione si traduce in due modi: ovvero, animare la comunità con particolari nuove iniziative o sottolineando quanto già è presente nella vita della chiesa (penso alla liturgia così ricca e varia che invece corre il rischio di essere appiattita), rendendo quindi presente il vescovo nella periferia, ma anche facendo partecipare i fedeli ad iniziative di carattere diocesano presiedute dal vescovo (bisogna far crescere sempre più il senso dell’appartenenza ecclesiale al popolo di Dio). Prima tutti i diaconi ricevevano un doppio incarico, l’assegnazione ad una parrocchia ed un servizio a livello diocesano che sottolineava lo stretto legame esistente con il vescovo, così come espresso dai decreti rilasciati post-ordinazione.
In una parrocchia dove il vescovo manda il presbitero ed il diacono, entrambi lo rendono presente, e devono farne sentire la voce, ciascuno per il suo specifico, in quanto entrambi partecipano ciascuno pro-sua parte del ministero dell’ordine la cui pienezza è solo del vescovo; mi è cara in proposito l’immagine del trittico, ovvero il vescovo la tavola centrale ed il diacono ed il presbitero quelle laterali, come le due braccia del vescovo. Questo aprirebbe tutta una riflessione sulla relazione fra gli appartenenti al ministero ordinato, tenuto soprattutto conto del fatto che il diaconato è stato ripristinato da 30 anni ed il “suo fare” è stato assorbito nei secoli dai presbiteri. Ora, con il diffondersi delle diaconie trasversali, il legame con la parrocchia diventerà meno significativo ed anche la comunità eucaristica di riferimento non sarà sempre la solita.
Diaconie trasversali
Quando dissi che il futuro del diaconato sarebbe passato attraverso le “diaconie trasversali”, i membri della commissione regionale per il diaconato costituita dai delegati delle singole diocesi, rimasero perplessi e domandarono il significato che davo alla parola “trasversale”. Oggi, a distanza di due anni, il termine è diventato patrimonio comune, se ne parla liberamente, non solo ma durante l’ultimo convegno sul diaconato della Regione Toscana si è parlato durante i gruppi di studio di “diaconie trasversali”.
La geografia diocesana vede la presenza delle parrocchie dove si concretizza in genere e prevalentemente la pastorale, ma forse i tempi di oggi chiedono di raggiungere settori geografici o segmenti di persone in un modo trasversale, ovvero non coincidente con l’organizzazione territoriale storica. Sempre più numerosi sono i diaconi che svolgono il proprio servizio pastorale in un territorio che non coincide con la parrocchia, senza dover necessariamente fare riferimento alle unità pastorali, che sembrano riscontrare molte difficoltà per poter decollare.
Ormai due sono le parrocchie rette da un diacono, in tal caso tutta la pastorale è affidata al diacono ed il presbitero è presente, non sempre, per la celebrazione eucaristica domenicale (due parrocchie per una diocesi piccola come la mia è un dato significativo) e devo affermare che l’esperienza è nettamente positiva, anche se a prima vista questo servizio si presenta come un servizio di supplenza e da sempre si alza il grido che il ripristino del diaconato non è dovuto alla carenza di presbiteri, ma al fatto che una Chiesa senza diaconi non la si può ritenere costituita, come affermano i Padri. L’esperienza dico è positiva in quanto tutta la famiglia si è messa a servizio, il diacono e la moglie in un caso, il diacono con la moglie ed i figli nell’altro, coinvolgendo anche attraverso la testimonianza un numero crescente di famiglie della parrocchia, impostando una pastorale a dimensione familiare (non è forse un’attesa del nostro tempo?).
Il diacono ed il servizio della presenza
Viviamo in un tempo di tante parole, fiumi di parole scritte e pronunciate scorrono, ma sembra che la comunicazione non ne tragga beneficio e che l’uomo continui a trovarsi più solo di prima, nel vivere quotidiano e soprattutto di fronte ai grandi problemi esistenziali, penso in particolare al dolore, alla sofferenza, alla morte. Il diacono si fa prossimo con la sua presenza, essere accanto sovente in silenzio è quello che tante persone di fede non ci richiedono. È un comportamento diverso dalla testimonianza, anche se silenziosa; essere accanto vuol dire farsi carico e “portare insieme”, nel rispetto dell’altro.
Anche Maria “stava” ai piedi della croce e in quello “stava” è detto tutto. Non so se può essere teorizzato questo aspetto, ritengo però che dal momento dell’incarnazione, il Figlio di Dio si è fatto presente in mezzo agli uomini, una presenza non di parole in quanto Lui era ed è la Parola fatta uomo, ma una presenza di condivisione portata alle estreme conseguenze; ha preso su di sé il peccato dell’umanità, morendo sulla croce (l’apice del servizio di Gesù, conseguente alla lavanda, da leggere eucaristicamente come memoriale). È così stato reso perfetto, forse perché il vero Dio essendo divenuto vero uomo ha fatto esperienza di sofferenza e di morte. Quindi, se Dio ha fatto la scelta di essere “presente” in mezzo agli uomini, penso che la Chiesa non possa esimersi dal fare altrettanto: il diacono realizza anche così il suo essere segno sacramentale di Cristo servo. Penso a Piero che opera in mezzo ai familiari dei carcerati ed all’altro Piero che si fa prossimo dei malati terminali di AIDS.
La sposa del diacono
Al di là del fatto che l’ordinazione di uomini sposati stia dando un contributo significativo alla chiarificazione necessaria della distinzione esistente fra stato di vita e ministero, anche le scelte pastorali ne trarranno certamente beneficio, ponendo attenzione alle esigenze della famiglia, vista nel suo duplice ruolo di destinataria e protagonista di pastorale all’interno della Chiesa.
Dal momento che nella persona del diacono si assiste all’incontro di due sacramenti (il matrimonio e l’ordine), sin dalle origini abbiamo ritenuto opportuno coinvolgere la sposa ed anche i figli se in tenera età; un coinvolgimento indispensabile per quanto riguarda il periodo propedeutico (non sono stati accettati infatti quegli aspiranti la cui sposa non partecipava sistematicamente agli incontri), durante il quale si esercita in modo proprio il discernimento, ma anche per il periodo di formazione.
Si è riscontrata pertanto una crescita anche di coppia e dell’intero nucleo familiare, che continua a portare i suoi frutti: posso affermare che l’attenzione avuta in tanti modi alla sposa ha fatto sì che il diacono potesse esercitare più pienamente il proprio ministero (ritengo che si possa tradire il proprio coniuge anche con l’esercizio di un ministero ecclesiale se questo non è armonicamente, consapevolmente e amorevolmente supportato).
Diaconi e missione
Il diacono Rolando con la moglie Carla nell’autunno 1998 ha soggiornato nella missione di Forte Iguacu, in Brasile, retta da Padre Arturo Paoli per realizzare un laboratorio/scuola per saldatori alfine di aiutare i ragazzi a trovare un mestiere, un progetto sostenuto dalla diocesi ma che era nato l’anno avanti, quando al termine del II Congresso Mondiale della Famiglia tenutosi a Rio de Janeiro, al quale avevamo partecipato in rappresentanza della diocesi, avevamo visitato quelle favelas, rendendoci conto della miseria in cui si trovano tanti ragazzi, quasi senza futuro. Rolando era stato capo saldatore al cantiere navale ed aveva sentito l’esigenza di rispondere mettendo a servizio la propria professionalità accanto al ministero.
Rolando e Carla partiranno di nuovo la prossima estate per realizzare un nuovo laboratorio di saldatura nella missione di Bahia in Brasile. Durante la loro assenza dalla parrocchia una famiglia si farà carico di tutte le problematiche pastorali.
Esistono i preti fidei donum e perché non anche i diaconi? Ritengo quello del diaconato un ministero veramente profetico, se saremo capaci di accogliere le sollecitazioni dello Spirito ci affacceremo al nuovo millennio con maggiore speranza!
E fa’ che non cadiamo nella tentazione
La realtà non è però mai perfettamente aderente all’elaborazione teorica anche se teologicamente fondata (penso alla Scrittura ed alla Tradizione, ai documenti conciliare ed al magistero recente!), direi che nell’esercizio del nostro ministero di diaconi dobbiamo essere sempre in una continua ricerca di gesti e forme che permettano una crescita della comunione e del senso della ecclesialità.
È stato detto che il diaconato è segno e fattore al tempo stesso di rinnovamento, ovvero del cammino di una Chiesa che diventa Chiesa del Concilio, per cui siamo in un continuo divenire; non ci ritagliamo pertanto nicchie, cari fratelli diaconi, anche se fossero nicchie di santità, ma cerchiamo di andare sempre oltre, tenendo i piedi in terra e lo sguardo fisso al Servo, Colui che è il fondamento del nostro ministero.