N.03
Maggio/Giugno 1999

Diaconi per il servizio vocazionale

Sulla identità e sul compito dei diaconi nella Chiesa e nel mondo l’approfondimento degli studi continua, aperti sempre al magistero ecclesiale autentico. A tutt’oggi non mancano solidi punti di riferimento che sono altrettanti fari di luce per tutti coloro che sono insigniti del diaconato. Ne richiamiamo sommariamente un paio che servono a orientare le considerazioni che verranno proposte.

 

Sacerdozio o servizio?

Occorre anzitutto richiamare Lumen gentium 29 dove si precisa: “(ai diaconi) sono imposte le mani non per il sacerdozio ma per il servizio”. Sacerdozio qui è ovviamente quello ordinato. Nel testo si intende dire – come esplica il Catechismo della Chiesa Cattolica, 1570 – che i diaconi sono configurati a Cristo nella “linea della partecipazione ministeriale o gerarchica al suo sacerdozio, non in quella propria del sacerdozio comune. Tale partecipazione però non li costituisce sacerdoti del nuovo testamento; e ciò si può spiegare perché, avendo il sacerdozio eterno di Gesù Cristo una dimensione di servizio, può essere partecipato in un modo che privilegi siffatta dimensione”.

In altre parole si è diaconi perché partecipi della diaconia di Cristo che, pur essendo “Signore”, è il “servo del Padre” che dà la vita per i redenti. Nel servizio sta la dignità e l’autenticità dal diacono. Citiamo ancora la Ratio fundamentalis ossia le Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti (Congregazione per l’educazione cattolica, 1998, n. 9) dove si afferma:

“Il ministero del diacono si caratterizza per l’esercizio dei tre munera propri del ministero ordinato, secondo la prospettiva specifica della diaconia”. 

I compiti (munera) sono quelli classici (insegnare, santificare, servire). A proposito del compito ultimo (munus regendi) si chiarisce: 

“Il munus regendi si esercita nella dedizione alle opere di carità e di assistenza e nell’animazione di comunità o settori della vita ecclesiale, specie per quanto riguarda la carità. È questo il ministero più tipico del diacono”.

Segue una postilla che ci sembra di rilevante importanza: 

“Le linee della ministerialità nativa del diaconato sono dunque, come si evince dall’antica prassi diaconale e dalle indicazioni conciliari, molto ben definite. Tuttavia, se tale nativa ministerialità è unica, sono però diversi i modelli concreti del suo esercizio, che dovranno essere suggeriti di volta in volta dalle diverse situazioni pastorali delle singole Chiese” (n. 10).

A modo di sintesi si può dire che i laici non sono più “laici comuni”, ma non sono “mezzi preti”. La questione si sposta sulle modalità concrete del loro servizio. 

 

 

Via sacramentale, via secolare

Tra i diversi modi di esercitare la ministerialità nativa dal diaconato va inserita, a buon titolo, l’animazione della comunità ecclesiale nel suo aspetto di “comunità vocazionale”, comunità di vocazione e per le vocazioni. La figura del diacono animatore suscitatore ed educatore di vocazioni sta prendendo una sua fisionomia, anche se serviranno ancora esperienze e chiarificazioni. A proposito di queste ultime, può avere un suo senso precisare che duplice è la modalità con la quale viene attuata la salvezza portata da Cristo e consegnata a coloro che ne sono “ministri”. Le due modalità interpretano, in un certo senso, la linea discendente della salvezza, quella di Dio che agisce con la sua grazia, e la linea ascendente, quella dell’uomo che accoglie e offre la partecipazione che gli viene chiesta.

Per amore di comodo chiameremo la prima modalità sacramentale e la seconda modalità secolare (o laicale). Ebbene, il diacono concorre con il suo ministero alla salvezza delle persone con la modalità sacramentale che gli è propria (sono enumerate nel n. 29 della Lumen gentium le sue responsabilità). Ma, in forza della sua esperienza e, per i diaconi permanenti, in forza della condizione di vita coniugale e familiare (è quella della maggior parte dei diaconi), contribuisce anche con la modalità secolare che comporta il partire dalle situazioni umane discernendo, purificando, consolidando e perfezionando.

Nell’ambito vocazionale appare evidente che il diacono ha una particolare sensibilità per tutte le vocazioni, in particolare per quelle che servono a “ordinare a Dio le cose terrene” (LG 31). Pensiamo alle vocazioni coniugali e familiari, a quelle che elevano l’azione sociale e politica a “forma esigente di carità” (Paolo VI) o l’azione culturale a “carità dell’intelligenza”. La particolare sensibilità va affinata con la debita competenza (con l’apporto delle scienze umane) e con una forma di esemplarità che esprimono la testimonianza data al Cristo servo del Padre e dell’umanità. Non ci sembra fuori posto, ad esempio, vedere nella vita coniugale e familiare di un diacono la figura di riferimento per tante giovani (o meno giovani) coppie e famiglie. Così può essere esemplare il servizio di solidarietà di un diacono che, per animare la carità della comunità ecclesiale, offre anzitutto la sua dedizione.

 

 

Carisma, competenza e professionalità

Certo, l’apporto del diacono non si limita all’esemplarità. S’è già detto della competenza e, all’occorrenza, della specializzazione che può venire da un’attività professionale esercitata prima dell’ordinazione o ancora in atto (medico, psicologo, psichiatra, funzionari o dirigenti, ecc.). Si può aggiungere un compito tipico dell’esperienza secolare ossia la mediazione, la capacità sapienziale di connettere fra loro le ragioni di Dio e quelle dell’uomo in un ambito delicato e prezioso come è il cammino vocazionale. È abbastanza frequente una scivolata in un versante spiritualistico (cioè astratto) quando si tratta di formazione e discernimento; manca, in altre parole, un senso storico che appartiene (ovviamente non in esclusiva) all’esperienza laicale.

Apporto vocazionale del diacono ci sembra ancora una migliore visione del matrimonio e della famiglia come “luoghi” sia di santità sia di autentico ministero ecclesiale. La presenza di diaconi nella preparazione al matrimonio e nell’ambito di gruppi familiari può essere di positivo contributo alla fatica della Chiesa in un momento cruciale per la concezione cristiana del matrimonio e della famiglia.

Quanto è stato annotato finora può servire soltanto di stimolo per altri contributi diaconali. Alla base sta una convinzione teologica da far emergere meglio di quanto è avvenuto finora: il servizio ecclesiale, ad “imitazione” della diaconia di Gesù, ha bisogno sia del ministero ordinato sia di quello laicale. In simbiosi, non in alternativa. Nel diacono sono compresenti non i due ministeri ma le due modalità di esercizio.