N.03
Maggio/Giugno 1999

Il diaconato a Reggio Emilia

 

 

 

 

1. Il diaconato espressione e fattore del rinnovamento ecclesiale

La Chiesa locale di Reggio Emilia è il luogo in cui ha avuto origine la Comunità del diaconato in Italia, la cui opera di promozione del diaconato permanente è nota a tutti. Il fatto non è casuale, perché nell’ultimo cinquantennio in questa Chiesa lo Spirito ha suscitato iniziative profetiche di grande rilievo che giustificano l’accoglienza convinta del diaconato permanente come “segno dei tempi”. Don Dino Torreggiani e don Alberto Altana sono i fondatori dell’Istituto secolare dei Servi della Chiesa, la cui spiritualità pone al centro il servizio ai più poveri ed emarginati secondo un principio di condivisione della vita, che esige di farsi poveri con i poveri; essi hanno pure dato origine alla Comunità del diaconato e alla rivista “Il diaconato in Italia” (1968). Ma il quadro dei “profeti” va completato con don Mario Prandi fondatore delle Case della carità, che accolgono gratuitamente, grazie alla presenza di religiose e religiosi (Sorelle e Fratelli della carità), gli emarginati per malattia, handicap e vecchiaia che la società non prende a carico; e il notissimo don Giuseppe Dossetti fondatore di un ordine religioso monastico maschile e femminile la cui spiritualità è fondata sulla Parola e sulla preghiera.

Comune ai tre movimenti è la convinta adesione al Concilio Vaticano II per tutto ciò che riguarda il rinnovamento della vita ecclesiale secondo lo Spirito e la partecipazione, in Gesù Cristo, alla vita di Dio. Su questo terreno è sorto il diaconato a Reggio Emilia. La Comunità del diaconato fin dalle origini ha preso quale punto di riferimento l’ecclesiologia del Concilio, che ha inserito il diaconato nel disegno teologico e pastorale della Chiesa come grazia costitutiva e necessaria, rendendolo segno di una rinnovata missionarietà, fatta di comunione, servizio e testimonianza. È una prospettiva di portata eccezionale, perché esclude in partenza che il diaconato debba essere restaurato per una sorta di motivo pastorale estraneo al discorso della grazia, quale può essere quello della supplenza dovuta alla mancanza di preti. La visione conciliare di grazia è possibile solo se si esce da una concezione ecclesiale fondata unicamente sul discorso dei poteri; infatti un “potere” più grande annulla un potere inferiore. Si provi a considerare quale differenza passa nell’interpretazione del concetto di “gerarchia” se la si considera sotto il profilo dei “poteri” (il “potere” inferiore è sempre meno necessario di quello superiore e soprattutto manca di originalità) oppure sotto il profilo della grazia (una grazia non può mai fare a meno dell’altra, perché non ne annulla l’originalità; la presenza attiva di tutte le grazie rende piena la comunione nella Chiesa e adempie la volontà di Dio). In questi termini è stato accolto e ripristinato il diaconato a Reggio Emilia, cioè come “espressione e fattore del rinnovamento ecclesiale”.

Di questa originaria impronta rinnovatrice del diaconato permanente reggiano sono rimasti tre segni qualificanti: 

– la partecipazione della comunità al discernimento della vocazione; 

– le iniziative di “pastorale d’insieme”; 

l’annuncio del vangelo ai poveri.

 

 

 

2. La partecipazione della comunità al discernimento della vocazione

Nello “Statuto diocesano per il diaconato permanente”, al n. 11 si legge: “Dopo un adeguato cammino di catechesi su questo ministero, da svolgersi nei tempi e nei modi più opportuni (messe festive, assemblee, centri di ascolto, ecc.), sotto la guida del parroco o del suo responsabile, la comunità è chiamata ad individuare coloro che, godendo della sua fiducia, già esercitano una concreta responsabilità pastorale nell’annuncio della parola di Dio, nella liturgia, nella carità”.

Pertanto fino ad oggi le parrocchie che si prefiggono di presentare al vescovo le persone che devono intraprendere il cammino di preparazione al diaconato permanente (i cosiddetti “aspiranti”) danno luogo ad un iter di coinvolgimento della comunità nell’opera del discernimento, che inizia dal Consiglio pastorale. Questo, presieduto dal parroco, in primo luogo deve interrogarsi sul fatto se esistano le condizioni pastorali per proporre alla comunità l’introduzione del ministero diaconale. In caso positivo, inizia la catechesi alla comunità: in una o due domeniche, in tutte le messe, un sacerdote esperto del diaconato o possibilmente un diacono ordinato tengono l’omelia per presentare gli aspetti essenziali del ministero diaconale ed il ruolo che deve rivestire la comunità nella scelta dei candidati.

Là dove già esista un’articolazione della parrocchia in gruppi minori (diaconìe, centri di ascolto, gruppi del rosario ecc.) si organizzano incontri guidati da diaconi ordinati per un’esposizione e un approfondimento del problema, in modo che la gente possa intervenire direttamente con richieste di chiarimenti sui diversi aspetti del diaconato. Questa catechesi ha il duplice scopo di preparare la comunità a scegliere le persone idonee da proporre al vescovo come aspiranti e di preparare le stesse persone ad un’accettazione consapevole della designazione della comunità e del vescovo. Il momento culminante della catechesi è rappresentato dalla elezione, che avviene durante tutte le Messe di una domenica prestabilita, in cui su un’apposita scheda tutti i cresimati indicano i nominativi delle persone che ritengono idonee al cammino diaconale.

I nomi che emergono da tale elezione vengono presentati al vescovo. L’incontro successivo di ogni designato con il vescovo rende possibile da un lato la conferma o meno del vescovo e dall’altro l’accettazione o meno di ogni interessato. A fronte di una chiara designazione della comunità e della conferma del vescovo, soltanto gravi motivi personali possono giustificare un rifiuto degli interessati ad intraprendere il cammino di preparazione.

 

 

 

3. La pastorale d’insieme come espressione del servizio al vescovo

I diaconi sono ordinati al servizio del vescovo e da lui dipendono per la pastorale e l’evangelizzazione. Da questo principio discende l’iniziativa di una parrocchia di Reggio di estendere il campo di azione dei diaconi alle parrocchie confinanti. La costituzione di un servizio diaconale interparrocchiale ha posto in termini concreti il problema di una pastorale di evangelizzazione impostata da sacerdoti e diaconi in forma globale per una determinata area. L’inizio di tale esperienza ha un valore esemplare perché pone al centro del servizio al vescovo la preghiera. Infatti nell’area delle parrocchie interessate alla pastorale d’insieme è posta una chiesa vescovile nella quale quotidianamente si assicura la continuità della preghiera comune da parte di chi è disponibile e con l’aiuto di una piccola comunità di contemplativi, quale base per l’opera di evangelizzazione. La riscoperta della preghiera non tanto come fatto personale ma come unica e concreta fonte di una pastorale di evangelizzazione, di concreto aiuto ai poveri del popolo di Dio, di amore per tutti gli uomini ai quali il Signore invia i cristiani per l’annuncio della buona novella, affonda le sue radici nella più pura tradizione cristiana: chi infatti, se non i cristiani, sono chiamati a pregare incessantemente per tutti gli uomini per i quali il Signore è morto e risorto?

La presenza dei diaconi consente di porre in atto un’evangelizzazione capillare estesa soprattutto alle zone dove più difficile è una penetrazione basata sulle tradizionali strutture parrocchiali, sia propriamente ecclesiali che di opere sociali. Normalmente nella zona sud della città, dove si attua questa pastorale d’insieme fra parrocchie limitrofe in uno scambio fecondo di carismi e di aiuti, per provvedere alle parrocchie ancora senza diaconi si procede al sorteggio fra i diaconi ordinati, alfine di destinare i sorteggiati alle parrocchie prive di diaconi.

 

 

 

4. Il Vangelo annunciato ai poveri

Riportiamo la testimonianza di un diacono reggiano

– Tutti i martedì in via del Carbone, nella sede della mensa Caritas, ci incontriamo per pregare con i nostri fratelli stranieri. Leggiamo le letture della domenica successiva. Il vangelo, oltre che in italiano, lo leggiamo in arabo, russo, albanese, rumeno, inglese e francese, con l’ausilio di un foglio che prepariamo in anticipo, fotocopiando il testo dalle rispettive bibbie in lingua. L’esperimento, a cui noi per primi non credevamo, ha meravigliato e continua a meravigliare tutti coloro che in qualche modo vi partecipano. Marocco, Albania, Tunisia, Magreb, Algeria, Ghana, Romania, SryLanka, Germania, Russia sono alcune delle terre di appartenenza dei nostri fratelli del martedì. Vorrei poter dire loro, ma non ne ho il coraggio: noi ricchi abbiamo bisogno di voi: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio; beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati; beati voi che ora piangete, perché riderete”… Ma guai a noi ricchi perché abbiamo la nostra consolazione; guai a noi che ora siamo sazi, perché avremo fame.

Dopo la lettura della parola di Dio, un breve commento e alcune preghiere dei fedeli applicate alle situazioni contingenti. Si recita il Padre Nostro in diverse lingue, tenendosi per mano. Un canto accompagnato dalla chitarra conclude la preghiera.

Non abbiamo mai voluto accertare la provenienza religiosa dei nostri fratelli stranieri. Certamente alcuni sono mussulmani che osservano il digiuno e il ramadan, l’astinenza dalle carni di suino e dalle bevande alcoliche. Certo è che la loro partecipazione non è passiva e la preghiera a Dio che ci rende uguali e fratelli è da loro accettata con grande rispetto nei momenti di meditazione.