N.03
Maggio/Giugno 1999

Il diaconato nella Chiesa di Napoli

Ho avuto il privilegio di essere ordinato diacono permanente il 4 aprile del 1986 nella Parrocchia di Sant’Antonio a Posillipo, che mi accolse quando mi trasferii a Napoli con la mia famiglia. La comunità parrocchiale è stato il terreno dove è maturata la mia “chiamata” al servizio nella Chiesa, quella sorta di intima tensione a … fare qualcosa, che sentivo dentro di me e tuttavia non riuscivo ad esprimere.

Negli anni ‘80 la Chiesa di Napoli si interrogava sulla sua identità e celebrava un Sinodo che coinvolgeva tutte le forze ecclesiali. Furono anni pieni di fervore, di impegno, di preghiere, di riflessioni, di studio per la conoscenza più approfondita dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano secondo. Tutto ciò non solo riguardava me, ma coinvolgeva tutta la comunità parrocchiale e tutta la Chiesa di Napoli.

Gli impegni di lavoro e le responsabilità connesse, mi prendevano ovviamente molto del tempo disponibile, ma di pari passo cresceva il desiderio di continuare a procedere nella preparazione, al fine di poter testimoniare e rendermi utile. Le tappe del Lettorato e dell’Accolitato hanno rafforzato il desiderio di raggiungere la conferma dell’ordinazione diaconale. Dal giorno dell’ordinazione ho fatto mie le parole di Luca: “Sto in mezzo a voi come colui che serve” ed ho dato la mia disponibilità ai Parroci che si sono succeduti alla guida della comunità parrocchiale, la comunità che mi aveva fraternamente accompagnato per 4 anni nel cammino di preparazione e formazione.

La testimonianza andava però ben oltre i confini parrocchiali, poiché il mio lavoro mi teneva a contatto con moltissima gente non solo all’interno della banca dove lavoravo ed a tutti, – quando potevo – parlavo delle cose di Dio. La comunità dei diaconi permanenti di Napoli, cioè il Collegio diaconale, ha consentito di inserirmi maggiormente all’interno della Chiesa, ponendomi a contatto con altre esperienze di apostolato, nelle zone più diverse della città con problemi e difficoltà di ogni genere. Ho avuto il compito di rappresentare il Collegio quale decano per 4 anni e devo ringraziare il Signore per quanto mi hanno dato tutti i fratelli diaconi, pur rammaricandomi di aver dato poco in cambio.

I primi diaconi, quelli ordinati a Napoli nel 1975/1976, mi hanno ricordato quanto sia stato difficile per loro l’inserimento nelle rispettive Parrocchie; inizialmente erano “sopportati”, accolti certamente ma con circospezione, come ministri utili, ma dei quali si poteva anche fare a meno. Lo zelo e l’ardore del servizio spingeva inoltre qualche diacono ad essere poco prudente e spesso anche invadente, alfine però di testimoniare ai sacerdoti la propria diaconia e l’appartenenza allo stesso Ordine sacro.

Nelle riunioni del Collegio (riunioni di studio, di reciproca conoscenza, di formazione e di spiritualità), ho sopratutto conosciuto la varietà degli impegni che i miei numerosi fratelli nell’ordine svolgevano su tutto il territorio diocesano e del come si rendevano utilissimi non solo all’interno delle Chiese nella liturgia, nelle catechesi prematrimoniali, nelle riunioni dei vari “gruppi” di spiritualità ovvero nella celebrazione dei Battesimi e così di seguito, ma mi sono reso conto che essi operavano con tutto lo zelo proprio delle persone “investite” dallo Spirito Santo e libere da condizionamenti od ambizioni carrieristiche, nella vita sociale: all’interno dei luoghi di lavoro, nelle fabbriche, negli uffici, nelle banche (come me), nelle Forze Armate o nelle Forze dell’Ordine, nella scuola, nelle università, negli ospedali, negli studi professionali, nelle attività commerciali, insomma in seno al mondo sforzandosi di illuminarlo con la luce di Cristo. Più di ogni battezzato – ci hanno insegnato – il diacono deve essere “icona di Cristo” e tutti noi, laddove ci siamo trovati, abbiamo operato ed operiamo con in una mano il Vangelo e nell’altra gli strumenti del nostro lavoro.

Nel 1992, avendo anche superato il massimo degli anni di servizio, sono stato collocato in quiescenza. Non mi sono affatto rammaricato pur avendo lavorato in banca per ben 45 anni, ed ho pensato che avrei dedicato il mio tempo al servizio diaconale. Ho avuto poco tempo per pensarci su perché il Vescovo Ausiliario al quale avevo in precedenza dato la mia disponibilità, mi ha chiesto di dedicare qualche mattinata alla Caritas Diocesana nel ramo amministrativo. A quel mio sì, ha fatto seguito una serie di altri incarichi presso l’Istituto Diocesano di Sostentamento del Clero, presso la Fondazione Realizzare la Speranza (per i minori a rischio), presso la Fondazione Camminiamo Insieme (per i non vedenti e portatori di handicap), presso il Servizio di Promozione del sostegno economico alla Chiesa.

Posso ben dire a questo punto di essere stato fortunato nell’esercizio della mia attività diaconale: non ho avuto problemi di inserimento, ho fatto esperienze in seno alla Parrocchia facendo tesoro delle problematiche che si presentano in una comunità, ho celebrato (e celebro) Battesimi e Matrimoni (anche quello di mia figlia), sono stato inserito nel settore della Carità che è quello specifico che caratterizza il diacono per la sua speciale formazione al “servizio”, mi sento insomma utile, ed ho realizzato la mia intima ricerca di cui ho parlato all’inizio, quella appunto di essere utile a qualcuno.

Trovo qualche difficoltà, a volte, nel conciliare il mio tempo con gli impegni di famiglia, e ricordo gli insegnamenti del Cardinale Corrado Ursi, che mi ha imposto le mani: il diacono deve dare la precedenza alla famiglia e quindi al lavoro che consente di mantenere la famiglia e poi può e deve dedicarsi alla Chiesa. Nonostante le difficoltà e le incomprensioni, l’identità del diacono permanente si va lentamente enucleando anche tra la gente e questa particolare figura di ministro della Chiesa comincia ad essere meglio conosciuta, non tanto per quello che fa, ma per quello che è, come elemento di riferimento nella comunità parrocchiale, come via che avvicina al sacerdote, come fratello maggiore che può consigliare, suggerire, accompagnare nel cammino di fede.

Chiudo con le parole di Timoteo: “Rendo grazie a Cristo Gesù, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero” … e continua a darmi l’energia per esercitarlo dignitosamente.

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