Cultura vocazionale e cultura della vita
L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente (Redemptor Hominis, 10). L’uomo non può vivere senza amore: i giovani, questo, lo comprendono perfettamente. Essi portano in cuore il bisogno di amare e di essere amati. L’età giovanile è periodo di grossi interrogativi sul senso della vita, sul futuro, sui propri compiti… Ma è soprattutto tempo in cui si ricerca l’amore. Quanti errori sono compiuti proprio per dare una risposta a quel forte bisogno di vivere l’amore che, per motivi fisiologici di evoluzione psico-fisica, quasi “scoppia” nell’età giovanile! Come, allora, parlare di vocazione se l’amore ha, in fondo, tanto potere sui giovani?
È interessante la risposta che Giovanni Paolo II sembra dare a questa domanda, proprio in una sua Lettera ai giovani. Scrive infatti il Papa: “Per mezzo di quell’amore che nasce in voi, e che vuole essere inserito nel progetto di tutta la vita, dovete vedere Dio, che è Amore” (Lettera ai giovani, 1985). Se è vero, infatti, che per alcuni il problema vocazionale può apparire complesso, lontano o sembrare un interrogativo senza risposta, è d’altra parte vero che proprio questo bisogno di amare può diventare per i giovani il segno più chiaro ed eloquente del fatto che sono amati e “chiamati” da Dio. Chiamati come “persone”. E questo, in fondo, significa “vocazione”.
L’amore non è pura teoria, filosofia, sentimentalismo. L’amore è qualcosa che si lega e ci lega ad una persona. È una realtà – potremmo dire – “incarnata”. L’amore è per i giovani la dimostrazione più pura e convincente che ogni essere umano è unico e irripetibile e che ogni vita ha una grande dignità e un immenso valore. A cominciare dalla loro stessa vita. Il primo segno della loro chiamata è proprio il dono della vita che hanno ricevuto. Sì: la vita è la prima vocazione!
Con grande chiarezza ed efficacia, il Documento Nuove Vocazioni per una Nuova Europa rimarca che “la penuria delle vocazioni – le vocazioni al plurale – è soprattutto assenza di coscienza vocazionale della vita – la vocazione al singolare” (NVNE, 13b). Dunque i giovani – e, direi, soprattutto i giovani di oggi – hanno bisogno di “imparare l’amore e la vita”, hanno bisogno di “amare l’amore e la vita”, per poter scegliere di donare la vita per amore. Ma per amare, e per scegliere, hanno prima di tutto bisogno di conoscere. “La cultura vocazionale” è realmente “cultura della vita” (NVNE, 13b).
In un’epoca in cui, come è già stato ricordato, proprio i valori dell’amore e della vita subiscono la maggiore svalutazione, la formazione alla cultura della vita è l’obiettivo principale del cammino di educazione all’affettività, alla sessualità, all’amore, che da alcuni anni abbiamo inserito nella pastorale vocazionale della Diocesi di Reggio Calabra. E credo che questo risponda perfettamente alle istanze del Progetto culturale della Chiesa italiana. L’itinerario si è finora articolato in incontri mensili, che si svolgono in Seminario la domenica pomeriggio, e sono basati prevalentemente sull’esposizione di alcune tematiche seguita dalla possibilità di dibattito e confronto personale. Gli incontri sono introdotti e conclusi da una breve preghiera che richiama in genere il riferimento biblico al quale il tema della giornata si riferisce e che si trova in un foglio-sussidio distribuito per la lettura e la riflessione. L’esposizione del tema si caratterizza per il suo fondamentale contenuto scientifico ma anche per i continui spunti di carattere etico e spirituale che vengono suggeriti. Al termine, i giovani sono invitati a celebrare il Vespro con la comunità del Seminario.
Alcune puntualizzazioni di carattere contenutistico e metodologico possono meglio focalizzare l’inserimento di questo nostro cammino nell’annuncio del Vangelo della Vocazione.
1. La vocazione alla vita
La conoscenza del meraviglioso meccanismo biologico che sta alla base dell’inizio della vita umana ha un prezioso valore per comprendere come ogni persona sia unica ed irripetibile sin dall’istante del concepimento: per giungere a questo fondamentale evento biologico, una serie di meccanismi debbono concatenarsi in un’armonica successione. Compisce molto i giovani, ad esempio, capire che ciascuno di loro è il risultato dell’incontro di due piccolissime cellule, avvenuto in un momento preciso della storia. Solo quell’incontro, in quel preciso momento, poteva generarli alla vita. Sapendo questo, essi possono naturalmente imparare che proprio quel semplice fenomeno, che forse avevano distrattamente appreso dagli studi biologici, è un evento che non può essere completamente spiegato da nessun libro di testo, che non può essere manipolato da nessuna pretesa scientifica, che non può essere regolamentato da alcun arbitrio politico.
Più aumenta la conoscenza corretta, più cresce – è inevitabile – quel senso del mistero dinanzi alla vita, alla cui perdita viene giustamente attribui-ta in parte la crisi vocazionale (cfr. NVNE, 35b). I giovani sono sensibili al valore della vita, sono portati naturalmente a rispettarlo: ma vivono in contesti che ne offendono la dignità (cfr. NVNE, 11b) e troppo spesso vengono ingannati o storditi. Ma i giovani, anche i giovani d’oggi, sono in grado di rimanere stupiti di fronte al dono della vita: di questo noi siamo testimoni. Ed è attraverso questo stupore che cerchiamo di aiutarli a penetrare nel Mistero della Creazione, per leggerlo nella prospettiva vocazionale di una “chiamata alla vita” (cfr. NVNE, 16). Imparare ad accogliere, rispettare, amare la vita – tutta la vita e la vita di tutti – significa lentamente essere condotti verso Dio, da cui la vita umana ha origine. Non è questa, forse, una via privilegiata ed inevitabile di quella “nuova evangelizzazione” che ci chiede di “evangelizzare la vita e il significato della vita” (NVNE, 12a)?
2. La vocazione ad essere persona
L’origine della vita, dicevamo, è un evento che va contemplato anche sul piano biologico, ma che non si esaurisce in esso. La nostra vita è vita “umana”. La dinamica della vocazione, il mistero dell’elezione, riguarda tutta la persona: la sua corporeità, la sua psiche, la sua essenza spirituale che è libertà, volontà, trascendenza.
Non c’è nulla della nostra umanità che non sia stato voluto, amato e redento. Non c’è nulla di sé che la persona debba rifiutare. Aiutare i giovani ad accogliere l’appello vocazionale significa aiutarli a conoscere se stessi (cfr. NVNE, 35a). Non si tratta di una conoscenza puramente biologica o psicologica, ma di una consapevolezza della propria creaturalità. Conoscere e riconoscere di “essere persone”, creature fatte ad immagine e somiglianza di Dio. In questo cammino, un posto veramente importante occupa la riscoperta del corpo, che viene ad essere quasi la “chiave” per entrare nel mistero della persona. Il corpo, secondo una bellissima espressione del Papa, può essere considerato quasi “un primordiale sacramento”, un segno visibile ed efficace del mistero che è la persona, del mistero nascosto in Dio dall’eternità (cfr. Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò, Città Nuova, pag. 91). I giovani devono essere aiutati a riscoprire questo grande valore del corpo, che rivela il valore della persona umana e ad esso conduce.
3. La vocazione alla sessualità
Nell’esaminare i criteri della maturazione vocazionale, la Chiesa chiede oggi una particolare attenzione alla sfera affettivo-sessuale della persona (cfr. NVNE, 37c). E, andando alla radice, ci rendiamo conto che un’autentica e serena educazione alla sessualità e all’affettività pone le basi per una seria antropologia vocazionale. L’identità personale è infatti strettamente legata all’identità sessuale. Essere uomo o essere donna è l’unico modo di essere persona.
La sessualità umana è anch’essa vocazione e, dal punto di vista biologico, coincide con la stessa chiamata alla vita: nell’istante del concepimento è già fissato il sesso cromosomico del nuovo essere umano. È interessante, per i giovani, considerare la mascolinità e la femminilità come una vera chiamata, i cui segni, scritti nel corpo, nella psiche e nello spirito, sono rivelatori di un progetto di Dio che abbraccia tutta la persona.
La sessualità umana va considerata nel suo significato di reciprocità e complementarietà, di unità e fecondità, di amore e vita. Nel mistero della Creazione, la donna è per l’uomo e l’uomo per la donna. Ed è in questa originaria unità che si rispecchia l’immagine di Dio. Dell’immagine di Dio fa parte anche la fecondità, e questo va riaffermato con chiarezza. Ai nostri giorni, tante chiusure vocazionali sono forse causate anche da una cultura che rifiuta la vita, la vocazione alla trasmissione della vita. Riconoscere, accogliere, rispettare la fertilità come parte integrante della sessualità umana e dunque della persona umana è il presupposto per educare al dono della vita. E se la realizzazione della potenzialità procreativa è particolarmente evidente nella vocazione matrimoniale, è però necessario comprendere come ogni vocazione si trovi a sfociare nella maternità e nella paternità.
4. La vocazione alla sponsalità
Nei meccanismi biologici della sessualità umana, nelle dinamiche della sfera psichica, c’è scritta una verità fondamentale che si ritrova nella meditazione del mistero stesso della Creazione: l’uomo è creato per la comunione. E questa comunione può attuarsi, tra le persone, solo mediante una scelta libera che porta al dono di sé. L’uomo non è oggetto, non può essere posseduto: può soltanto essere amato.
La “logica del dono” è, in un certo senso, l’approdo della maturazione umana: è il superamento dell’egoismo e dell’autogratificazione. È la sorprendente scoperta che il senso dell’esistenza è il “per”. Questa scoperta, lo comprendiamo, è l’essenza della vocazione: questa scoperta è, d’altronde, l’essenza della stessa “umanità”. “L’uomo – insegna il Concilio – il quale sulla terra è la sola creatura che Dio ha voluto per se stesso, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé” (Gaudium et Spes, 24).
Sia la vocazione coniugale sia la vocazione verginale hanno alla radice questa unica risposta d’amore: il dono totale e definitivo di sé. In una parola, la sponsalità. In questa dimensione trova spazio e trova anche la giusta direzione ogni sfumatura della corporeità e dell’affettività umana, ogni anelito spirituale di quell’amore che è orientato ad uscire da sé. E questa chiamata all’amore si realizza sempre nella carne, sia che la persona viva in pienezza l’esercizio della sessualità coniugale sia che sperimenti l’attesa viva e vitale della pienezza che sarà il Regno dei cieli. Senza la sponsalità la stessa castità suonerebbe come una privazione: ed è invece essenziale che i giovani imparino ad amare la castità autentica, che è la liberazione dall’egoismo (cfr. Familiaris Consortio, 33), e la vivano anche come attesa della propria vocazione. Perché avranno il dovere e la gioia di viverla in ogni vocazione.
Abbiamo sintetizzato alcuni punti del nostro itinerario formativo, che vuole essere esperienza di conoscenza e di riconoscenza. E ritroviamo, in questa traccia di cammino, quella graduale crescita dalla “gratitudine” alla “gratuità” che, ben lungi dal nuocere alle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, “naturalmente sfocia nella sequela di Cristo” (NVNE, 26 c-d). L’amore umano è la via per penetrare nell’Amore di Dio. E, quasi paradossalmente, lo stesso mistero nuziale diventa il paradigma di una nuova pastorale vocazionale. I giovani d’oggi, ai quali spesso manca il riferimento educativo della famiglia per la crescita nell’amore, hanno certamente bisogno di una verità sulla famiglia e sull’amore alla quale riferirsi. E questa verità la trovano, e non possono non trovarla, nel Progetto di Dio sulla persona e sull’amore.
È interessante sottolineare che i nostri incontri di educazione all’amore si svolgono in Seminario. In questa scelta possiamo leggere la valorizza-zione di quella complementarietà tra le vocazioni che la Chiesa oggi non cessa di sottolineare. E siamo certi che anche la vocazione coniugale che matura in questo modo formerà famiglie consapevoli della loro grande vocazione e sensibili ad una educazione vocazionale dei figli. Ed è importante che il nostro cammino sia vissuto in un clima di preghiera: anche la conoscenza scientifica può e deve essere incontro con la Verità. E la preghiera è il momento nel quale la verità penetra nel cuore. È stata fondamentale, in questo senso, l’esperienza di un intero Corso di Esercizi spirituali a sfondo vocazionale sul tema “Vita, persona, vocazione”, che due anni fa abbiamo potuto proporre ai giovani, insieme con il nostro Vescovo.
Credo sinceramente che la vera forza di tutta la nostra esperienza sia la “bellezza”. La cultura della vita è impregnata di questa bellezza che è la bellezza del Progetto di Dio: che è, in un certo senso, la stessa Bellezza di Dio che l’uomo è chiamato a rivelare. Forse il problema dell’“uomo senza vocazione” (NVNE, 11c) si radica proprio in una mancanza di consapevolezza di quanto grande sia la vocazione ad essere uomo. Perché per l’uomo, per ogni uomo, “essere uomo è la fondamentale vocazione: essere uomo a misura del dono ricevuto. A misura di quel talento che è l’umanità stessa e, soltanto dopo, a misura degli altri talenti” (Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 9). C’è una bellezza della verità sulla vita, sull’amore: della verità sulla persona umana. E quando la persona impara a comprendere questa bellezza che le è stata affidata, questa bellezza che appartiene al suo proprio “essere”, non può che accoglierla e donarla: in una risposta libera, totale, sponsale, alla sua unica ed irripetibile chiamata d’amore.