N.05
Settembre/Ottobre 1999

Il grande Giubileo del 2000: stile di una risposta

Il Giubileo è un evento della comunità cristiana che vive il memoriale dell’incarnazione e della nascita di Gesù Cristo annunciandolo con i fatti e con le parole e testimoniandolo con uno stile di vita assolutamente originale. Giova fissare lo sguardo sulla realtà profonda ossia sul mistero dell’incarnazione per comprendere appieno la grazia dell’anno giubilare. Staccare il Giubileo dalla sua sorgente vitale espone al rischio di mistificare la realtà e di offrire agli uomini e alle donne di oggi un surrogato di pratiche, adempimenti e devozioni di cui sentono uno scarso bisogno. Di questa verità si fa eco Giovanni Paolo II nel presentare l’anno giubilare:

Con lo sguardo fisso al mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio la Chiesa si appresta a varcare la soglia del terzo millennio… La nascita di Gesù a Betlemme non è un fatto che si possa relegare nel passato. Dinnanzi a lui, infatti, si pone l’intera storia umana: il nostro oggi e il futuro del mondo sono illuminati dalla sua presenza… Incontrando Cristo l’uomo scopre il mistero della propria vita[1].

In Cristo, figlio del Padre e vivente nella storia nello Spirito Santo, la vita umana si rinnova e trova il suo riferimento continuo; ciò comporta che la risposta quotidiana dei credenti in Gesù Cristo sia specchio di vita “altra” da quella che la sapienza umana può chiedere ed esigere:

Il tempo giubilare ci introduce a quel robusto linguaggio che la divina pedagogia della salvezza impiega per sospingere l’uomo alla conversione e alla penitenza, principio e via della sua riabilitazione e condizione per ricuperare ciò che con le sue sole forze non potrebbe conseguire: l’amicizia di Dio, la sua grazia, la vita soprannaturale, l’unica in cui possono risolversi le più profonde aspirazioni della vita umana[2].

Indicendo l’anno giubilare – una modalità storica per celebrare il bimillenario della nascita di Gesù – il Papa esorta uomini e donne del terzo millennio a uno stile di vita radicalmente evangelico. Si tratta della risposta umana, con modalità diversificate, alla chiamata divina di accogliere con docilità e prontezza “l’anno di misericordia e di grazia” (cfr. Lc 4,19).

 

L’anno Giubilare con Spiritualità filiale

Passare dall’enunciazione alla pratica esistenziale è sempre un passo difficile. Lo è tanto più oggi a motivo di una diversità di culture che hanno in comune un riferimento alla soggettività. Una cultura cioè che tende a mettere al centro l’io dell’uomo e della donna, esaltandone l’identità e non di rado enfatizzandone la centralità fino al punto di mettere in disparte Dio. Non una vita incentrata in Dio ma un’esistenza che parte dal proprio io e non riesce ad uscirne: è questa la provocazione o, se si vuole, la sfida che dovrà essere accolta da chi crede nel “Cristo via al Padre” per superarla e andare oltre. Il Giubileo rischia di passare sopra la testa di molte persone che ne accoglieranno i segni (il pellegrinaggio, la porta santa, forse l’indulgenza), ma resteranno con un cuore che Gesù definisce sclerotico e poroso: ascolta ma non trattiene; riceve ma lascia passar oltre.

Nel tentativo di dare una prima forma, quasi una bozza da sgrossare, si colloca il nostro tentativo di presentare alcuni “passaggi” di vita desunti da un’attenta meditazione delle istanze bibliche che sorreggono l’anno giubilare. Quanto vi è di presuntuoso nella nostra proposta sarà facilmente cancellato dalla sapienza personale di ogni lettore; confidiamo tuttavia in una sostanziale fecondità dell’impegno di vivere l’anno di grazia (il Giubileo) con una spiritualità filiale. L’ottica filiale dell’esistenza credente è la imitazione (in senso corretto) di Gesù che vive dal Padre, con il Padre e per il Padre, con l’unzione dello Spirito Santo. Così il Giubileo diventa quel culto spirituale che l’apostolo Paolo ipotizza per i cristiani, figli del Padre e fratelli di Gesù: si legga attentamente Rm 12,1-2 come “logo” di risposta vocazionale all’appello del Padre, il misericordioso che non solo attende il ritorno dei figli ma va loro incontro.

 

1. L’anno giubilare è riscatto e riconciliazione (cfr. Lv 25,8-55 e 26,1-3)

a) L’essere umano non è un possessore. Non lo è di se stesso, né di altri né di beni. Dio solo è “signore”. Occorre riscattare se stessi dall’autosufficienza e ripulire la propria esistenza dagli idoli. Occorre a questo scopo accettare con gratitudine la riconciliazione che il Padre offre incessantemente ai suoi figli (cfr. 2 Cor 5,19-20).

b) L’anno giubilare è occasione favorevole (kairòs, grazia) per diventare poveri. Come lo è stato Gesù di fronte al Padre: ha dismesso se stesso (kénosis). Non c’è spazio per narcisismo (anche nelle sue forme spirituali), protagonismo, sazietà, aggressività mirata al “dominare”. Occorre invece scegliere i mezzi “poveri” (preghiera, ascolto della Parola, sacramenti, elemosina e digiuno) per diventare “poveri” e vivere da “poveri” in una società consumistica. Tornano qui ammonitrici le forti parole di padre Turoldo: “È la roba che ci divide, è la roba che uccide, è la roba la bestia”.

 

2. L’anno giubilare è liberazione degli schiavi e delle schiavitù antiche e moderne (cfr. Lv 8,32-55; Is 61,1-3)

a) L’essere liberati è grazia; come tale comporta l’impegno di liberare e di diventare operatori di liberazione. È fondamentale il ravvivare la coscienza che in Gesù passiamo da servi a figli; ne segue che per essere figli occorre anche essere profeti e missionari. Come Gesù: “Padre, ti do gloria compiendo l’opera che mi hai dato da fare… Io ho fatto conoscere il tuo amore e lo farò conoscere” (Gv 17, 4. 26).

b) Liberarci e liberare non è opera dell’autosufficienza umana. La Chiesa, docile all’insegnamento di Gesù, prega: “Liberaci dal male”. Dio però associa a sé l’opera umana, così che colui che è liberato diventa liberatore. Ci sono schiavitù personali da rimuovere. Ci sono poi quelle sociali che assumono la forma di strutture di peccato: il debito dei paesi “deboli”, la pena di morte, le ingiustizie dei paesi ricchi. Sono macigni da rimuovere.

 

3. L’anno giubilare è profezia compiuta da Gesù/1  (cfr. Lc 4,16-30)

a) Il Giubileo della Chiesa non può ri-dire Levitico 25 (da cui peraltro dipende) se non iniziando da Lc 4 (versetti citati). Nel Giubileo cristiano c’è novità: il passaggio è dai beni al “cuore”. Il disegno del Padre non è più inciso nella pietra, è scritto nel cuore; così Gesù dà compimento ad esso. L’anno giubilare si celebra per coinvolgere le persone (conversione) con un processo di interiorizzazione e di responsabilità assunta come impegno continuo. Non bastano gesti, strutture, manifestazioni e simili.

b) La “novità” perenne è Gesù Cristo. Afferma Giovanni Paolo II: Gesù è la vera novità che supera ogni attesa dell’umanità e tale rimarrà per sempre, attraverso il succedersi delle epoche storiche. L’incarnazione del Figlio di Dio e la salvezza che egli ha operato con la sua morte e risurrezione sono dunque il vero criterio per giudicare la realtà temporale e ogni progetto che mira a rendere la vita dell’uomo sempre più umana (I.M., n. 1). Si tratta di una novità sempre contestata e spesso rigettata: cfr. Lc 4,22-30. Forme di rigetto sono le “prese di distanza” e i ritardi dei cristiani e della stessa Chiesa. I prigionieri, i ciechi, gli oppressi e i poveri esistono ancora a causa dei ritardi dei credenti.

c) Nella novità portata da Gesù è insita la grazia di “ricominciare”. Il figlio dissipatore della “grazia di essere figlio” dice: “Mi alzerò e andrò dal Padre mio…”. Si pensa così poco al dono che ci è concesso di ricominciare dopo i fallimenti!

 

4. L’anno giubilare è per “evangelizzare i poveri”. Così la profezia è compiuta in Gesù/2 (cfr. Lc 4,18; Is 61,1-3; Mt 3,16-17; Sal 2,34)

a) Evangelizzare è opera da persona a persona (comunicazione per contagio, incontro…). Sono da considerare i rischi e gli scacchi conseguenti. Tutto sarebbe più facile se l’evangelizzazione avvenisse con strutture meccanicizzate…

b) Occorre cogliere il senso profondo e l’urgenza del comando di Gesù: “Andate, evangelizzate” (cfr. Lc 10,1-3). Il nostro apporto passa attraverso l’esercizio di alcune virtù che dicono la qualità degli evangelizzatori: obbedienza a Chi invia; accoglienza (attiva e passiva: accogliere e farsi accogliere); saper incontrare (l’altro è sempre persona, amata dal Padre); confronto (i germi di verità sono diffusi); dialogo, ossia ricerca del punto positivo che si ha in comune, e tensione ad andare “oltre” (il dialogo non lascia mai al punto in cui si comincia).

c) Gli ostacoli che si frappongono all’evangelizzazione vengono non solo dal di fuori (culture, ostinazione, indifferenza…) ma anche dal di dentro: superbia, cuore sclerotizzato, sapienza puramente umana (cfr. Mt 11,25). C’è poi il “mistero d’iniquità” che agisce; si vince con la preghiera, l’umiltà e il digiuno.

 

5. L’anno giubilare è “kairòs” per la Chiesa, occasione favorevole per ascoltare ciò che lo Spirito dice (cfr. At 1,6-11; 4,32-35; Ap 2,7)

a) “Chi ha orecchi, ascolti…” (cfr. Ap 2,7 e successive conclusioni delle 7 Lettere). È dono del Padre uno spazio (l’anno giubilare) da dare allo Spirito perché agisca e faccia fiorire la vita. In questa ottica si rilegga la narrazione dell’Annuncio a Maria da parte del Padre: “Lo Spirito scenderà su di te…” (Lc 1,35). Pierre di Craon commenta: “Non tocca alla pietra assegnarsi il posto nell’edificio ma tocca al Costruttore”[3].

Lo Spirito (solo lui) porta alla comunione dei beni (materiali e immateriali) e rende la Chiesa conviviale e sinodale (un traguardo ancora lontano).

b) Lo Spirito rende i discepoli di Gesù figli del Padre ad immagine del “figlio primogenito” (Col 1,18). Siamo figli se vivendo da “risorti” edifichiamo – come pietre vive – la casa comune ossia “la Chiesa del Dio vivente” (1 Tim 3,15). Cristo con la forza dello Spirito esce da se stesso per divenire corpo e fare di noi il suo corpo, la Chiesa.

c) L’anno giubilare è tempo propizio per l’esercizio di una spiritualità “contemporanea”: Gesù vive – ieri oggi e sempre – “nello Spirito”. Chi lo segue e lo “imita” vive a sua volta nello Spirito con una “esistenza spirituale”. Si tratta di dare più spazio nella vita quotidiana alla dimensione carismatica dell’essere religiosi e cristiani, coniugandola con la dimensione laicale. Il binomio spiritualità-laicità segnerà il nuovo millennio? Non è da escludere.

L’anno giubilare – per concludere – ha senso se sarà per tutti come un flusso di vita nuova. Una vita filiale priva di retorica e di astrazione, ben situata nel feriale, aliena dalla ripetizione e dalla noia, perché sollecitata in ogni momento dalla voce di Colui che ha preso la sua dimora tra di noi (cfr. Gv 1,14). La risposta passa attraverso uno stile di vita radicata nel Vangelo. Il Giubileo è, deve essere Vangelo. Vivrà bene l’anno giubilare chi potrà confessare veracemente: “Io non mi vergogno del Vangelo” (Rm 1,16).

 

 

 

 

Note

[1] Incarnationis mysterium, Bolla di indizione del Giubileo dell’anno 2000, n. 1.

[2] IM, n. 2.

[3] P. CLAUDEL, Annuncio a Maria.

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