N.02
Marzo/Aprile 2000

Eucaristia e ministero ordinato: una relazione che si fa annuncio e proposta vocazionale

Esiste una relazione profonda tra il sacerdote e l’Eucaristia, il sacramento per eccellenza. L’Eucaristia non c’è senza il presbitero celebrante, il prete non può fare a meno dell’Eucaristia. La missione sacerdotale si comprende, come su un libro aperto, quando si cerca di capire il senso profondo e la funzione sublime della celebrazione eucaristica.

 

L’Eucaristia, scuola di vita cristiana

Tutto in essa inizia con un appello rivolto alla comunità perché si raduni per ascoltare la Parola di Dio, per invocare, lodare e ringraziare il Signore, per adorare il mistero della sua presenza. Tale appello è indispensabile perché ci sia la Chiesa, come sottolinea il Concilio Vaticano II: “Non è possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della Sacra Eucaristia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi  educazione tendente a formare lo spirito di comunità”[1].

Segue la Parola di Dio con l’invito ad entrare nel circuito della relazione con Dio, rivelato pienamente dal Signore Gesù. Il sacerdote cattolico è per sua natura un  evangelizzatore. Il suo annuncio riguarda il Regno di Dio. L’attuazione già avviata del Regno, infatti, si commemora e si adora nella celebrazione della Eucaristia. I testi dell’Antico e del Nuovo Testamento, proclamati nel corso della celebrazione, sono le testimonianze ispirate dell’azione efficace e benefica di Dio nella storia degli uomini, che ha raggiunto il punto più elevato e la pienezza nella incarnazione del Figlio di Dio. Ciò che l’ascolto orante della Parola rievoca e attualizza, nel pane e nel vino offerti, divenuti Corpo e Sangue di Cristo, si ripresenta con inedita novità, come presenza reale donata per la salvezza dell’uomo. “Infatti, nella Santissima Eucaristia è racchiuso  tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo […]. Per questo l’Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione”[2].

Presentare il Vangelo vuol dire dichiarare con  ferma sicurezza e con motivata convinzione che il Signore Gesù è Dio incarnato per offrire ad ogni uomo la via della perfetta realizzazione di se stesso in una prospettiva definitiva. La proposta di Gesù Cristo si rivolge personalmente a ciascuno. Esige anche il diretto e impegnativo coinvolgimento personale; che si prolunga con la condivisione della fede nella comunità cristiana.

 

Educare la vocazione di ciascuno

Quando il sacerdote celebra l’Eucaristia, soprattutto nel Giorno del Signore, rinnova a se stesso e ai fratelli nella fede l’appello di Cristo: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e  oppressi da un peso, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso, leggero” (Mt 11, 28-30). È l’invito ad entrare in comunione con Lui in forma stabile, a trovare nella propria vita le ragioni di questo rapporto, che stabilisce un nesso singolare con Dio e modella i collegamenti con il prossimo nel senso della solidarietà, della comunione e dell’amore fraterno, così come sono stati espressi da Gesù in forma esemplare nel gesto della lavanda dei piedi e nell’intero rito dell’ultima Cena.

Ogni cristiano convinto della importanza della adesione alla fede e implicato nella appartenenza ecclesiale, attraverso l’Eucaristia e la guida del sacerdote che la celebra, può scoprire  il proprio personale e inconfondibile modo di seguire Cristo; può comprendere la sua vocazione nella vita.

È sempre il Vaticano II ad insegnare che: “Spetta ai sacerdoti, nella loro qualità di educatori nella fede, di curare, per proprio conto o per mezzo di altri, che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica secondo il Vangelo, a praticare la carità sincera e operativa, ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati (Gal 4, 3; 5, 1 e 13). Di ben poca utilità saranno le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti, se non sono volte ad educare gli uomini alla maturità cristiana”[3].

 

Le condizioni per una giusta risposta

Esistono alcune condizioni necessarie per raggiungere la giusta collocazione nel piano di Dio ed acquisire la certezza di essere in linea con la sua volontà. Spetta al sacerdote educare i fedeli ad acquisirle. Tutte sono indispensabili alla autentica realizzazione di ogni  vocazione cristiana.

La prima condizione fondamentale è  lo spirito di orazione. Chi lo vive veramente attribuisce la priorità a Dio, riconosciuto con gratitudine creatore e con gioia redentore. L’Eucaristia è la grande scuola della preghiera dove i sacerdoti, maestri nella fede, aiutano ad apprendere gli atteggiamenti personali e i modi interni ed esterni di intrattenersi con Dio nella preghiera profonda. I sacerdoti infatti: “Insegnano ai fedeli a partecipare così intimamente alle celebrazioni liturgiche, da poter arrivare anche in esse alla preghiera sincera; li spingono ad avere per tutta la vita uno spirito di orazione sempre più attivo e perfetto, in rapporto alle grazie e ai bisogni di ciascuno”[4].

La consuetudine alla preghiera accende una penetrante capacità di scoprire gli appelli di Dio, lanciati nel vissuto quotidiano. Non è facile captarli con sicurezza; ancora più difficile è interpretarli. Eppure è questa la seconda condizione per scoprire e vivere in pienezza la propria vocazione. Per padroneggiarla è necessario un allenamento costante ad andare oltre le apparenze dei fatti e delle parole per scoprire il significato profondo che contengono. I maestri di vita cristiana lo chiamano discernimento e con questa parola intendono la presa diretta dello Spirito di Dio, che agisce nei cuori degli uomini e nel mondo, da parte dello spirito dell’uomo, raffinato dalla abitudine alla preghiera. Un buon sacerdote sa insegnare la capacità sapienziale di “scorgere negli avvenimenti stessi la volontà di Dio”[5].

La terza condizione si basa sulla constatazione che se il cristianesimo fosse soltanto un affare interiore, inciderebbe poco sulla vita. Al contrario, l’adesione a Cristo comporta degli impegni coraggiosi di servizio e di amore verso il prossimo, che non nascono spontaneamente ma esigono una seria educazione, un esercizio costante  e un’applicazione concreta. Infatti, sempre il Concilio insegna che: “i cristiani devono essere educati a non vivere egoisticamente, ma secondo le esigenze della nuova  legge della carità”[6]. In termini reali tale esigenza si soddisfa quando non si bada al risparmio di sforzi e di energie per aiutare il prossimo e quando nelle occupazioni e nelle attività di lavoro si opera sempre secondo lo spirito del Vangelo.

Come il sacerdote trova nell’Eucaristia la fonte della propria fede, la lucidità per leggere in maniera sapienziale gli avvenimenti della vita, la generosità nel servire la propria comunità, così da lui i fedeli si attendono gli insegnamenti per imparare a pregare, a giudicare con intelligenza religiosa il vissuto quotidiano, ad agire nel mondo come testimoni di Cristo, capaci di incidere nell’esistenza, ciascuno secondo la propria vocazione.

 

 

 

Note

[1] Presbyterorum Ordinis, n. 6.

[2] Ivi, n. 5.

[3] Ivi, n. 6.

[4] Ivi, n. 5.

[5] Ivi, n. 6.

[6] Ivi.