L’Eucaristia come perenne celebrazione missionaria della vocazione e delle vocazioni
Anno 2000. Nuovo millennio. Tempo di grandi sogni e inaspettate domande. Occasione di nuovi incontri e rischio dell’incognito. 2000! Anno Giubilare dove il Sogno di Dio per la realizzazione del suo Regno tra noi diviene il pane quotidiano da cui trarre nutrimento e ispirazione. Sogno non ancora pienamente realizzato; per questo l’Eucaristia lo celebra e lo rilancia in continuazione. Il prefazio della Messa di Cristo Re lo sintetizza cantando: Regno eterno ed universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace.
Siamo vicini o lontani da quest’obiettivo? Ognuno di noi ha la sua risposta che probabilmente dipende dalla sua esperienza di vita, dall’ambiente in cui vive e dalle sue inclinazioni personali a sottolineare più il bello che il brutto o viceversa. Di fatto uno ha mille motivi per dire che il sogno si sta avverando, che il Regno di Dio è presente e ne ha altrettanti per dire il contrario. E tutti hanno ragione! Nella vita d’ogni giorno vediamo mille segni della presenza di Dio e altrettanti che la mettono in discussione.
Denuncia di un’assenza: “Annunciamo la tua morte”
Noi siamo abituati all’Eucaristia fra due candele, con un altare ben adornato di fiori freschi e tovaglie bianche. Quest’apparato può tremendamente tradire l’Eucaristia vera che è la celebrazione della morte di Cristo e della sua resurrezione. Morte è assenza di vita, di relazioni, di rapporti, di futuro. Tanto più quando la morte che celebriamo nella Messa e che proclamiamo essere presente nel mondo è una morte tragica. È la morte di un innocente, Gesù Cristo, ammazzato dal potere religioso e politico personificato in Caifa da Pilato ed Erode che si sentivano minacciati dalla sua presenza e dalla sua azione. Cristo scuoteva le fondamenta della cultura religiosa e politica del popolo ebraico. Coloro che erano a capo e che ci vivevano sopra non trovarono di meglio che disfarsene.
Pilato, il Sinedrio ed Erode erano nemici tra di loro e si mandavano all’inferno reciprocamente mille volte al giorno. Certamente non si sarebbero mai messi d’accordo per un’opera di bene, ma per far fuori Gesù Cristo sì! Celebrando la Messa denunciamo le assenze sofferte da Cristo nella morte: quella del Padre, degli amici, del suo popolo, della giustizia, della gratitudine, ecc. La morte di Gesù fu veramente il trionfo del peccato sia religioso che sociale. Un abisso di assenza.
Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, dovremmo poter identificare il luogo dove queste assenze avvengono e sono sofferte, altrimenti il rito è vuoto e insignificante, e la routine lo rende impermeabile alla nostra comprensione e coinvolgimento. L’Eucaristia è questa denuncia pubblica del peccato del mondo dove Dio sembra assente, e dove si risente il grido di Cristo sulla croce : “perché mi hai abbandonato?”. Questo è l’urlo dei milioni di Giobbe di fronte al silenzio di Dio. L’Eucaristia implica la coscienza di una tragicità. Chi partecipa e non se ne accorge, fa soltanto devozione privata. Alienazione da tutto il dramma umano vissuto da innumerevoli fratelli e sorelle. Il “maledetto” della croce si moltiplica milioni di volte nei crocifissi di oggi. L’Eucaristia è mettersi ai piedi delle loro croci con il cuore di Maria.
Celebrazione di una presenza: “Proclamiamo la tua Risurrezione”
Pasqua è l’apice dell’Eucaristia. Il sole sorge sul mondo. Quel sole che era stato oscurato! Il Venerdì santo e la tomba volevano eliminarlo per sempre. Ma il Signore della Storia è più forte di ogni azione di morte e la presenza del Padre, generatore di vita senza fine, si manifesta gloriosamente nella Risurrezione di suo Figlio. In questa fioriscono in pienezza le varie forme di presenza che il Padre ha firmato per l’umanità nel creato. Nella risurrezione, il corpo umano che è il segno e lo strumento per eccellenza della presenza e della relazione, entra definitivamente nella vita della Trinità. Con la risurrezione il Padre che è invisibile afferma definitivamente il suo piano di diventare visibile in Cristo. L’umanità di Cristo resta per sempre il sacramento del volto del Padre che lo rivela e lo comunica. Il Padre invisibile, diventa visibile nelle relazioni e nei miracoli e nell’accoglienza di Cristo verso gli altri, e quindi rivela il Suo cuore paterno e materno. Tutto questo nell’umanità di Cristo. Se la morte l’avesse distrutta, la strategia di Dio di farsi sempre più presente a noi sarebbe stata definitivamente sconfitta.
L’Eucaristia, proclamando la risurrezione, celebra e divulga la presenza del Risorto. È un forte momento di coscienza in questa presenza, proclamata e gridata e gustata. Elemento essenziale della venuta del Regno, Regno che non è altro che il mondo riorganizzato e ristrutturato alla luce di questa presenza. Il Cristo risorto di Emmaus celebra la sua presenza e continua la sua missione là dove due o più persone sono in comunione per attuare il Sogno di Dio. La Pasqua sancisce ogni forma di fraternità, amicizia, amore, solidarietà umane che, proprio perché segni della vita nuova di Cristo, vincono le varie forme di assenza e di morte.
Pane e vino: danza di una triplice presenza
Li abbiamo ogni giorno sulla tavola, sintesi gioiosa del creato. Rendono presente la bontà del Creatore e la sua provvidenza che ci accompagna. Sono il segno della risposta alle molteplici nostre fami e seti. Pane e vino sono il segno di un’attenzione ai nostri bisogni più essenziali e fondamentali: il mangiare, il bere, il sedersi assieme alla mensa, e quindi l’amicizia e il calore del rapporto interpersonale e della condivisione fraterna. Ma il pane e il vino sono più di questo. Come dice la preghiera offertoriale, sono anche il segno del nostro lavoro. Dio non provvede se anche noi non ci diamo da fare. Per cui sono anche il segno di milioni di uomini e donne impegnati nel lavoro quotidiano, co-creatori con Dio, sognatori con lui di un giorno nuovo per tutti. Questo è il lavoro che crea vita ogni giorno e che quindi, a modo suo, sconfigge la morte ed ogni tipo di morte. Questo è il lavoro che diventa liberazione, sviluppo, progresso e trasformazione per i poveri della terra.
Sì, Dio si fa presente al di dentro di questo lavoro umano. Gesù chiama questo lavoro umano, il mio corpo, il mio sangue. Gesù consacra il lavoro umano facendolo diventare strumento della sua presenza a servizio della solidarietà e della condivisione. Infatti verrà distribuito nella comunione. Ricevendola, si farà un’esperienza allo stesso tempo della presenza di Dio e della presenza di fratelli e sorelle. La comunione non è mai comunione solo con Dio, ma incontro verticale ed orizzontale con Dio e l’umanità. Se manca uno dei due, il simbolo è distrutto o non è capito. Anche per questo, parte di ciò che è raccolto nell’offertorio, quando il pane e il vino sono presentati, devono diventare dono gratuito per i deboli e per i poveri, vicini e lontani.
Il pane e il vino trasformati nel corpo e sangue di Cristo sono il simbolo di tutta la creazione che San Paolo descrive come “in doglie”, in attesa della piena esperienza della gloria a cui è chiamata attraverso la liberazione da ogni tipo di assenza e di morte. Il pane ed il vino ci ricordano che tutto è divino perché tutto è assunto nel Corpo e nel Sangue di Cristo. Ogni pagina del Vangelo ci parla di come Cristo conosceva la natura e faceva uso dei suoi simboli per rappresentare la realtà del Regno: la perla, i fiori, l’acqua, gli uccelli, il grano, ecc. Da qui l’importanza di rapportarsi a tutta quanta la creazione con riverenza e con senso di partnership per collaborare al comune divenire di ogni realtà uscita dal cuore amante di Dio e nella quale si è profondamente rallegrato.
“In memoria di me”: venuto per dare vita in abbondanza
È su questo pane e vino, già così carichi di contributo alla vita individuale e sociale, che Gesù ordina ai suoi discepoli: “Fate questo in mia memoria”. In altre parole: “ripetete lo stesso gesto per ricordarmi, per continuare nel tempo ciò che ho fatto in mezzo a voi”. Fare memoria è l’arte del ricordare e la capacità di riconoscere nel gesto la presenza misteriosa di chi lo ha compiuto e il significato del suo operare. Fare memoria è riportare al cuore per trovare le motivazioni per vivere la liberazione sperimentata in un incontro di libertà. Fare memoria è imparare a compiere lo stesso gesto che ha trasformato la nostra esistenza di timidi spettatori in entusiasti protagonisti della vita.
Fare memoria è un concetto biblico caro ad Israele. “Ascolta, Israele…, ricordati delle grandi opere che hai visto compiersi davanti ai tuoi occhi… così da rendere presente alle generazioni a venire ciò che JHWH ha compiuto per te”. La Pasqua ebraica, dunque, doveva essere celebrata e raccontata per fare memoria delle grandi gesta di JHWH per il suo popolo. Mosè ne aveva sperimentato l’intensità davanti al Roveto Ardente e il suo ricordo lo energizzava davanti al faraone e di fronte alla testardaggine del suo popolo. Maria, la Madre di Gesù, ricordava tutto nel suo cuore anche quando non capiva e i discepoli di Emmaus si ricordarono allora di ciò che aveva detto mentre era con loro. Paolo nelle grandi crisi e momenti difficili della sua vita, attualizza la presenza della chiamata facendo memoria di tale momento. Così pure tantissime persone lungo i due millenni della esperienza cristiana hanno vissuto e vivono la loro vita come risposta all’incontro vivo con Gesù, morto e risorto, col suo Spirito che spinge sino ai confini della terra per rendere presente lo stesso evento.
La Chiesa, dunque, ha ricevuto il mandato di annunciare ciò che ha visto e udito di Gesù e di rendergli testimonianza – farne memoria – attorno alla mensa eucaristica e attraverso tutta una serie di ministeri che traducono nella vita le parole e i fatti compiuti da lui. E lo fa dentro la realtà complessa del nostro mondo, dove, come dicevamo all’inizio, molti fattori si intersecano così da rendere a volte difficile la comprensione di come il Regno di Dio si sta compiendo in mezzo a noi.
L’Eucaristia sorgente del coinvolgimento missionario
La comunione con il Cristo glorioso attraverso il pane e il vino sarebbe solo ritualistica se non generasse e motivasse la comunione con i “cristi” crocifissi di oggi per portarli tutti alla risurrezione. L’Eucaristia è perciò un evento, un grande momento di solidarietà. Chi va in chiesa per la Messa la domenica deve mettere in bilancio un’offerta per andare incontro ad una situazione di bisogno. L’offerta concreta è il segno della propria coscientizzazione, del sentirsi coinvolti con il destino di chi è oppresso, di chi non sente più la voglia di vivere, di chi ha perso il senso della sua dignità perché calpestato nel profondo del suo essere.
Di fatto, l’Eucaristia, che denuncia l’esistenza peccaminosa degli slums di Nairobi o di Rio de Janeiro, o che celebra il successo di un progetto di una cooperativa messa in piedi dalle donne Rwandesi rifugiate politiche in Kenya, diventa anche il momento in cui passiamo dall’indifferenza anonima al coinvolgimento attivo per una causa comune. Sì! L’Eucaristia è il luogo privilegiato dove siamo chiamati a connettere il religioso e il sociale nella nostra vita. Sono migliaia le missionarie e i missionari che hanno sentito la chiamata di Dio all’impegno radicale alla missione nella comunione eucaristica. Lì hanno sentito che Gesù voleva continuare il suo compito di Buon Pastore venuto per dare la vita a tutti, e questa in abbondanza, in loro e attraverso di loro. Nell’incontro eucaristico sono diventati un “un solo corpo” per dirla con San Paolo. In altre parole, il cuore di Cristo continua a manifestare la sua compassione e solidarietà con tutti i poveri attraverso il cuore, le mani i piedi, la voce di coloro che entrano in comunione eucaristica con lui. Una comunione il cui primo obiettivo non è la consolazione personale dentro una religione intimistica e devozionale. Si riceve il Corpo di Cristo per diventare Corpo di Cristo sulle strade del mondo.
Ora comprendiamo quanto ha affermato il Vaticano II che l’Eucaristia è la sorgente da cui in continuazione sgorga la missione. È quanto hanno sperimentato, per esempio, i primi missionari in Alaska 150 anni fa. Questi non potevano tenere accesa la lampada di fronte all’Eucaristia a causa del freddo glaciale in cui si trovavano e che gelava tutto. I missionari ricorsero al Papa per ottenere la dispensa di poter gioire dell’Eucaristia senza la tradizionale lampada. Il Papa negò il permesso ed essi dissero che avrebbero abbandonato la missione. Sentivano che non potevano affrontare le difficoltà della vita missionaria senza essere rigenerati dal contatto con questa. Il Papa capì, diede il consenso e li lasciò liberi.
“Nell’attesa della tua venuta”: sognando con Dio
Abbiamo iniziato questa nostra riflessione rifacendoci al Sogno di Dio per il mondo. Sogno che ogni giorno Dio ci propone e che noi facciamo nostro nella preghiera del Padre Nostro: Venga il Tuo Regno. Sogno del Padre che ha costantemente illuminato la vita di Gesù Cristo e che egli ha consegnato agli apostoli nell’Ultima Cena dicendo: …non berrò più del frutto della vite finché non venga il Regno di Dio (Lc 22,18).
L’Eucaristia, perciò, fin dalla sua prima celebrazione, è stata vissuta da Gesù ed offerta agli apostoli in funzione della venuta del Regno di Dio. L’Eucaristia, da una parte ne celebra la presenza proprio perché è il sacramento della presenza di Dio nella storia; d’altro canto però, denunciando le varie assenze di Dio in tante situazioni umani tragiche, ci ricorda che la pienezza del Sogno di Dio si realizzerà nel futuro. È importante per noi mantenere viva l’attesa, coltivando sogni di un futuro migliore e diverso, non poggiato su una speranza umana fragile, ma sulla volontà di Dio di attuare cieli nuovi e terra nuova.
La nostra non è un’attesa passiva e inerte. Entriamo nel terzo millennio motivati dalla attesa attiva che ci viene dall’Eucaristia, e come artigiani del Regno, le nostre mani sono pronte a imprimere il Sogno di Dio nella storia dell’umanità e del cosmo.