N.02
Marzo/Aprile 2000

L’Eucaristia genera e sostiene le condizioni per la scelta della vita consacrata

Un Dio che si fa uomo e condivide la nostra storia, i nostri bisogni, la nostra sofferenza è già qualcosa di straordinario, è l’apice del “compatire”: come se volesse entrare in noi per vedere con i nostri occhi, toccare con le nostre mani amare con il nostro cuore, pensare con la nostra mente. Ma un Dio che si fa addirittura nostro cibo, per assimilarci a sé, questo è veramente al di sopra di ogni nostra capacità di comprensione. Non vogliamo certo dilungarci su tutte le definizioni dell’Eucaristia, quello che ci preme far emergere è che l’Eucaristia non è uno strumento come tanti: è Cristo stesso, presente realmente nelle specie del pane e del vino e come tale, diventa essa stessa proposta vocazionale. La chiamata e la capacità di rispondere, seppur Dio non obblighi mai ad una scelta, sono opera della Trinità, che continua incessantemente ad attirare ogni uomo nel suo “circolo d’amore”.

 

Fonte e alimento

Lungo i secoli non sono mai  mancati uomini e donne che, docili alla chiamata del Padre  e alla mozione dello Spirito, hanno scelto questa via di speciale sequela di Cristo, per dedicarsi a Lui con cuore indiviso[1].

Il Padre ci attrae a sé nel Figlio, è il Padre che, prende l’iniziativa e, per mezzo dello Spirito ci rende capaci di rispondere il nostro fiat, ci forma e ci plasma come in una nuova creazione fino a configurarci a Cristo e a riprodurre in noi i lineamenti dello Sposo. Allora l’Eucaristia diventa la fonte e l’alimento indispensabile per assumere in noi i sentimenti e  la forma di vita del Signore Gesù che pur essendo di natura divina  non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo (Fil 2, 6-7)  e umiliandosi si fece obbediente fino alla morte e alla morte di croce.

Abbracciando la verginità, il  consacrato fa suo l’amore verginale di Cristo e lo confessa al mondo quale Figlio Unigenito, uno col Padre; imitando la sua povertà, lo confessa Figlio che tutto riceve dal Padre e nell’amore tutto gli restituisce; aderendo, col sacrificio della propria libertà, al mistero della sua obbedienza filiale, lo confessa infinitamente amato ed amante, come Colui che si compiace solo della volontà del Padre, al quale è perfettamente unito e dal quale in tutto dipende[2].

 

È il mio corpo è il mio sangue

Quando nell’Eucaristia offriamo il pane e il vino, in verità impariamo ad offrire noi stessi in un singolare scambio, in cui rendiamo al Padre ciò che Lui ci ha donato e gli chiediamo di dare se stesso, Egli ha tanto amato il mondo da dare il suo  Figlio Unigenito (Gv 3, 16): in Gesù abbiamo ricevuto tutto, è Lui la vera ricchezza di ogni consacrato e, paradossalmente, solo quando siamo ricchi di Lui siamo veramente poveri, perché poveri finalmente di noi stessi e del nostro “io” ingombrante e presuntuoso. Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti (1 Cor 1,27), Dio ha scelto la povertà di una piccola ostia perché noi imparassimo ad entrare in questo mistero di debolezza e di annientamento.

Investiti, poi, dalla potenza dello Spirito che trasforma quel pane e quel vino nel corpo e nel sangue del Signore Gesù, anche noi veniamo cristificati e resi quasi un prolungamento storico del Signore risorto. È lo Spirito che suscita in noi il desiderio di essere uno con Dio, di essere a Lui legati con cuore casto e di poter dire come la sposa del Cantico dei Cantici: Il mio diletto è per me e io per Lui (Ct 2,16). È lo Spirito che liberando la nostra libertà ci insegna a farne un sacrificio, per aderire alla volontà del Padre in un’amorosa e gioiosa obbedienza.

“Oblatus est quia ipse voluit”, così nella consapevolezza di una risposta sostenuta dalla grazia divina, anche noi possiamo dire: Questo è il mio corpo… è il mio sangue… spezzato e versato per tutti i miei fratelli affinché in noi operi la morte, ma in voi la vita (2 Cor 4,12). Nell’Eucaristia il Signore Gesù ci associa al suo sacrificio redentore e ci rende immacolate vittime di pace sull’altare della croce; nello stesso tempo ci coinvolge nella sua azione di grazie, perché, per Lui, con Lui e in Lui siano resi al Padre l’onore, la lode e la gloria.

Madre Mectilde de Bar, fondatrice delle Benedettine dell’adorazione perpetua del S. Sacramento, consiglia alle sue figlie di vivere come Gesù ha vissuto per il Padre, di vivere di Lui e per Lui, di accostarsi al SS. Sacramento con queste disposizioni che sembrano arrivare direttamente al cuore dei santi voti: non ritenere nulla (povertà), non desiderare nulla (castità), non potere nulla (obbedienza), ma solo abbandonarsi totalmente alla potenza di Gesù nel SS.  Sacramento, per essere rivestite della sua misericordia e di Lui stesso[3].

L’Eucaristia si pone necessariamente al centro della vita consacrata, Per noi claustrali, poi, scaturisce da essa anche l’esigenza di uno spazio circoscritto in cui vivere la nostra consacrazione,  il desiderio di imitare Gesù non solo nella forma dei consigli evangelici, ma anche in questo suo stare in un luogo fisicamente limitato, come esprime bene l’esortazione apostolica Vita consecrata al n. 59: …la clausura risponde all’esigenza, avvertita come prioritaria, di stare con il Signore. Scegliendo uno spazio circoscritto come luogo di vita, le claustrali partecipano all’annientamento di Cristo, mediante una povertà radicale che si esprime nella rinuncia non solo alle cose, ma anche allo spazio, ai contatti, a tanti beni del creato. Questo modo particolare di donare il corpo le immette più sensibilmente nel mistero eucaristico.

Ogni particolare vocazione ha la sua sorgente nel Sacramento dell’Altare, che è mistero d’amore e di comunione, in cui Dio comunica e dona se stesso e in cui è presente tutto il Cristo, di ieri, di oggi e di sempre. Celebrando l’Eucaristia siamo inseriti nell’eternità di  Dio, in cui passato, presente e futuro vengono ricapitolati nell’unico mistero di salvezza. O santo banchetto – ci fa pregare la santa Chiesa – in cui si riceve il Cristo,in cui si celebra la memoria della sua passione, rendendola presente e ci è dato il pegno della gloria futura! Mentre ci nutriamo già qui nel presente, si rinsalda anche la nostra speranza e pregustiamo la festa eterna alla quale il Padre ci ha invitati e da sempre ci attende. Concludiamo con le parole di Karl Rahner che, parlando dell’Eucaristia , dirige il nostro sguardo a questa realtà: E, (i discepoli) mentre mangiano il giudizio della misericordia di Dio, anticipano il banchetto eterno, là dove, non più sotto segni terrestri, ma nella pienezza della gloria rivelata, Dio fa di se stesso eterno cibo ai redenti.

 

 

 

Note

[1] Giovanni Paolo II, Vita Consecrata, n. 1.

[2] Ivi, n. 16.

[3] Cfr. Mectilde De Bar, Il vero spirito, VI.