L’età della scelte: direzione spirituale vocazionale nella giovinezza
Siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura delle proprie creature. Come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportavi in maniera degna di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria (1 Ts 2,7.11-12). Per analogia, le parole di Paolo suggeriscono che la Direzione Spirituale implica un cuore intelligente a tutto campo e si attua in un clima di illimitato rispetto e profonda discrezione per il mistero racchiuso nel vissuto di ogni giovane e di appassionato interesse affinché il giovane credente si apra liberamente al dono di Dio, faccia propria la Parola ascoltata, cresca e maturi secondo la sapienza di Cristo.
Vita come vocazione
Il tema così delineato rievoca l’affermazione precisa e chiara della Populorum Progressio (n. 15), Ogni vita è vocazione per cui “la parabola dell’esistenza è contrassegnata da alcuni precisi appelli di Dio: la chiamata al banchetto della vita, come partecipazione alla pura gratuità dell’amore creativo di Dio, la chiamata alla fede, attraverso il battesimo, come partecipazione alla famiglia dei figli di Dio nella chiesa, la chiamata, nella chiesa, a testimoniare un preciso dono dello Spirito per condividere l’unica missione . Ed infine la chiamata ad entrare nel Regno compiuto, attraverso la partecipazione alla condizione del Risorto nella visione oltre la fatica della fede”[1].
Tale asserto Ogni vita è vocazione, si può tradurre nell’equazione vita come vocazione per cui ogni dono particolare, ogni scelta di vita, per un cristiano, va interpretata e vissuta quale espressione dell’universale chiamata alla santità che scaturisce dal battesimo. Ne deriva che la Direzione Spirituale (D.S.) particolarmente nella giovinezza, non può essere disgiunta dal discernimento vocazionale in senso lato. Nessuno probabilmente lo metterebbe in dubbio o avrebbe obiezioni contrarie. Tuttavia la D.S. così intesa non rappresenta ancora un dato acquisito, una convinzione diffusa. Si verifica talora una specie di scissione fra teoria e prassi, per cui in eventuali incontri programmati o occasionali il termine vocazione è usato a senso unico.
La D.S. richiede un “cuore intelligente a tutto campo”, ossia attento ai segni che potrebbero risultare, con sorpresa, molto diversi da iniziali sentimenti, desideri, attrattive, o da una conclamata vocazione. Ad es. la ragazza che giura alle amiche che sarebbe disposta a tutto fuorché “diventare suora”, a breve o lungo termine può scoprire, con suo grande stupore, un nascosto richiamo che si traduce in decisione per tale scelta, portata avanti con profonda convinzione e soddisfazione. Al contrario il giovane presente all’Eucaristia quasi quotidianamente e affascinato dalla figura del giovane prete della parrocchia non rappresenta necessariamente una certezza di vocazione in tale direzione.
Alcune caratteristiche dei giovani che si avvicinano alla D.S.
Se diamo uno sguardo ai giovani che gravitano intorno all’area parrocchiale e in modo sistematico o episodico fanno esperienza di preghiera, di volontariato, partecipano a incontri biblici, marce e simili oppure sembrano non porsi la domanda su Dio, si scopre che nel loro orizzonte sono presenti alcune sensibilità, proprio in ordine ai valori vocazionali: il bisogno di essenzialità[2], il sogno di realizzare qualcosa di grande, di diverso dalle esperienze epidermiche, effimere, il desiderio di rischiare la vita su modelli persuasivi per andare oltre le misure mediocri, la capacità di riconoscere i testimoni e il desiderio, talora timido, di imitarne l’esempio, altre volte il bisogno cocente di riferimenti per mettere fine a un vagare incerto e oscuro o un preciso bisogno di paternità spirituale, di un amico che indichi loro percorsi anche impegnativi, che non coincidono unicamente con la Vita Consacrata e/o il presbiterato; in certa misura , si riscontra pure una crescente stima o per lo meno, una valutazione positiva della vita sacerdotale, missionaria, consacrata nelle sue varie forme.
Tali valori si inseriscono in un clima di diminuito timore della ricerca vocazionale, in quanto, meno evocativa di un’unica scelta, suggerisce la possibilità di un discernimento, fatto di attenzione e intelligenza spirituale su una prospettiva ampia dalle molteplici possibilità, e fondato su un bisogno di assoluto, di relazione con Dio, di senso dell’esistenza. Non possiamo certo supporre che tali valori siano nitidi, precisi, pienamente consapevoli o apertamente proclamati, talora sono appena abbozzati o nebulosamente intuiti. Risentono positivamente di una dirompente vitalità[3] in crescendo e negativamente della mancanza di esperienza della realtà, nelle sue varie sfaccettature, tanto più, oggi, che la giovinezza, per un insieme di fattori, si è prolungata e l’iter universitario si protrae anche fino ai 27/30 anni. Risente pure di un certo idealismo che in senso positivo funge da trampolino di lancio nel prendere decisioni talora determinanti la vita futura del giovane.
QUALITÀ DELLA RELAZIONE NELLA DIREZIONE SPIRITUALE
Relazione umano – spirituale[4]
Gesù Cristo oggetto essenziale della D.S.
L’oggetto essenziale della D.S. è Cristo stesso, Cristo in noi, speranza della gloria (Col 1,27), che nello stesso tempo è unico e vero maestro per cui lui stesso dice: Non chiamate nessuno maestro, perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo (Mt 23,9-10). Questi brevi riferimenti indicano che la D.S. si gioca tutta sulla qualità della relazione.
Fede: realtà relazionale
Se la fede cristiana consiste nell’amore di Dio accolto, nella risposta dell’uomo al dono di Dio in Cristo Gesù, per lo Spirito Santo, ne risulta quindi che i concetti fondamentali, centrali della fede sono concetti relazionali: salvezza, perdono, riconciliazione, grazia, pace, morte, risurrezione, ecc. non indicano oggetti o idee astratte quanto piuttosto realtà relazionali, che interpellano e sollecitano la libera risposta e adesione personale a “Qualcuno”.
Tre protagonisti della D.S.
I protagonisti della D.S. risultano perciò tre: colui che ha sempre l’iniziativa per primo è lo Spirito del Signore operante sia nell’accompagnatore come nel giovane e infatti, L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5). Per tale ragione la D.S. può risultare un’esperienza sorprendente e maturante per entrambi. Infatti insieme alla gioia, alla gratificazione, alla sorpresa di constatare il progresso del giovane, il superamento di ostacoli, l’acquisita capacità di scelte talora coraggiose, l’accompagnatore viene a trovarsi di fronte a sfide che lo interpellano, a istanze che richiedono una risposta personale. In certo qual modo la D.S. non si disgiunge dal proprio cammino nello Spirito. Non rappresenta un’arte, come vedremo, solo in relazione ad altri. Non è sufficiente conoscere, mettere in atto delle strategie, individuare percorsi, approfondire la conoscenza del mondo giovanile, necessita una consapevolezza derivante, nel contempo, dal vissuto personale in merito alla lotta spirituale, all’impegno di seguire Cristo, di lasciarsi interpellare e guidare dalla sua Parola, di vivere in relazione con il Dio di Gesù Cristo, di esperimentare l’implicazione delle molteplici sfumature insite nel comandamento dell’amore.
Direzione Spirituale: un dono dall’alto.
La D.S. così intesa viene accolta e vissuta come un dono dall’alto, innestato nella paternità di Dio. Una forma privilegiata di relazione che può risultare in paternità – maternità spirituale in cui si rendono visibili e quasi toccabili i tratti del volto misericordioso del Padre.
Capacità di relazione interpersonale: indice di maturità
In campo psico-pedagogico un indice di maturità è rappresentato dalla capacità di relazione interpersonale nei vari ambiti di vita, familiare, sociale, lavorativo, amichevole, ecc. e per un credente anche quello religioso. La crescita umana e la crescita spirituale non possono essere intese come entità nettamente scisse, separate, sebbene seguano alcuni criteri propri, al contrario si intersecano, interagiscono ed esercitano un influsso reciproco. La persona umana è olistica e quindi si evolve e agisce costantemente come un tutto unitario e non a piani separati. Ad es. la capacità di relazione basata sulla fiducia, sulla lealtà, sulla certezza di essere amabili e amati, predispone maggiormente al passaggio dalla visione di Dio, giudice punitivo alla convinzione di Dio quale Padre e il sentirsi figli amati illumina la certezza del proprio valore, il senso dell’esistenza umana e della storia e predispone alla fraternità, al rispetto per ognuno, all’accettazione delle diversità, alla tolleranza, al senso di giustizia, ecc.
Dunque il nucleo paradigmatico e di verifica del proprio e altrui cammino è rappresentato dalla qualità della Relazione: con il Tu (relazione con il Dio di Gesù Cristo); con un tu (con le singole persone e con le varie forme di gruppo); con il creato (l’ambiente circostante, il proprio habitat ecc.); con il proprio io (identità, immagine di sé, sessualità, interessi ecc.). Se l’uomo è creato a immagine di Dio, non di un Dio solitario, ma di un Dio che è Trinità d’amore ed è chiamato ad assomigliarli, questo significa che l’uomo e la donna trovano senso, espansione, crescita, realizzazione tanto quanto diventano a loro volta capaci di relazione, di comunione secondo i valori evangelici, in tutti gli ambiti di vita.
Questi criteri possono fungere da guida per non disperdersi in meandri che non offrono sbocchi e intralcerebbero un processo omogeneo. È vero che non spetta alla D.S. offrire ad esempio un cammino psicoterapeutico, in senso stretto, per risolvere eventuali conflitti a livello psicologico, ma, se presenti, non si possono ignorare anzi bisognerà interrogarsi sul da farsi. In ogni caso è di notevole importanza che tali ambiti relazionali siano presi in considerazione tutti, evitando il rischio di focalizzarne uno o più a scapito di altri con la conseguenza di vedere “giovani zoppicanti”. Risulta poco efficace focalizzare, ad esempio, il servizio in parrocchia, il volontariato, la preghiera, ignorando quasi totalmente la modalità di relazione in famiglia, eventuali disaccordi, ribellioni, insofferenze, e talora purtroppo traumi, privazioni, se non addirittura violenze. Oppure incentivare una partecipazione al gruppo, più attiva e generosa se a monte c’è una stima di sé vacillante e il confronto con gli altri si risolve quasi sempre in autosvalutazione.
Due aree che non vanno disattese sono quelle della stima di sé e del bisogno di essere amati e di amare. Se tali problematiche non si risolvono, almeno in certa misura, finiranno per ostacolare il cammino nel suo insieme, e influenzare anche la stessa percezione di Dio[5]. Questo richiamo ci rinvia a prendere in considerazione un argomento ormai noto e trattato ampiamente da diversi autori anche in merito alla D.S.
Fenomeno del Transfert[6]
Grazie al processo della terapia psicoanalitica, oggi abbiamo una maggiore comprensione di quel fenomeno relazionale denominato da Freud transfert. L’amalgama di sentimenti positivi e negativi provati nei confronti dei genitori o sostituti ha dei prolungamenti anche nella vita adulta. Il giovane tende quindi a trasferire sull’accompagnatore gli stessi sentimenti e aspettative vissuti da bambino anche se lo scenario è mutato, usa le stesse tinte di allora quando il quadro non è più lo stesso. Se ha o ha avuto dei genitori molto protettivi, facilmente si aspetterà delle risposte rassicuranti o delle indicazioni precise su ciò che deve fare. Se al contrario vive una distanza affettiva da essi, la neutralità del D.S. è facilmente interpretata come freddezza, incomprensione ecc.
Va da sé dedurre l’importanza di saper riconoscere e affrontare tale realtà, diversamente si rischia di lasciarsi provocare da eventuali reazioni di collera, contestazioni, durezze, o richieste, più o meno velate, di attenzione speciale. Questi stessi sentimenti si possono trasferire su Dio. Il giovane coscienzioso e responsabile, ligio alle norme, apparentemente sereno, più o meno consapevolmente può vivere tormentato dal senso di colpa, dal timore di sbagliare. Dice e canta il Padre nostro quando invece a livello emotivo esperisce Dio quale Giudice. Anche il D.S. non sfugge a tale fenomeno, che non rappresenta una tentazione ma un dato di fatto. Può accadere che i sentimenti, gli eventi, le paure che il giovane confida o l’impeto con cui li esprime possano toccare profondamente o turbare, provocare disagio oppure ci si può sentire minacciati, spaventati, insicuri, timorosi di fronte a certi contenuti. Le ferite dell’altro possono riaprire le proprie segrete ferite e non resta che difendersi, se non si è consapevoli di tale impatto, ignorando o rifiutando, più o meno apertamente, i desideri dell’altro.
ALCUNI PRINCIPI BASILARI
Lungi dalla pretesa di essere esaustiva vorrei richiamare alcuni principi e possibili realizzazioni.
La D.S. un’arte affascinante insieme conosciuta e da acquisire
Alcuni sono dotati di una propensione particolare, di un carisma, di un’attitudine quasi spontanea alla D.S. ed altri meno, comunque agli uni e gli altri urge un apprendimento costante. Non mi riferisco soltanto a opportuni studi, convegni, letture su questo tema, pur necessari, quanto piuttosto alla consapevolezza “serena” che non esiste la D.S. confezionata a formato standard, sebbene grazie alla saggezza e all’esperienza di maestri spirituali, siano stati enucleati dei principi generali. Così non esiste il D.S. formato standard, anzi è auspicabile che ognuno elabori uno stile con modalità e strategie sulle quali però si interroga per individuare, di volta in volta quali risultino più opportune, adatte, efficaci. Necessita coniugare insieme il proprio stile, quel “quid” di personale, che ci caratterizza, ma che resta nel contempo duttile, dinamico, in ricerca e la disponibilità a lasciarsi illuminare da maestri insigni attuali e del passato. Ma soprattutto saper restare in attento ascolto per comprendere il modo diverso di procedere di quel preciso giovane, scoprire, inventare, per così dire, le modalità di approccio, di intervento, di proposta e di confronto adatte e opportune per lui.
Questo ministero, perché di ministero si tratta, richiede un interesse, un certo gusto, una passione nell’accompagnare un altro nella ricerca vocazionale, nel cammino spirituale. Se viene svolto unicamente per senso di dovere, come un compito dal quale non ci si può esimere perché le circostanze lo esigono, il Vescovo o il Superiore lo propongono o lo richiedono, a lungo andare può risultare frustrante e fastidioso. Accenniamo ora ad alcuni principi. Rispetto e stupore verso il mistero racchiuso nella vita di ogni giovane. Attenzione creativa, personalizzata: ciascuno ha in suo passo. Arte della “maieutica”. Accettazione dei limiti. Elementi di struttura: luogo, durata, scadenza dei colloqui. Relazione asimmetrica. Vicinanza e neutralità.
Rispetto e stupore per il mistero di ognuno
La D.S. permette di avvicinarsi e quasi di “toccare” il mistero della persona, è come una finestra che si apre sulle realtà più personali, più profonde, sulle pieghe riposte di certi eventi ed esperienze che hanno segnato, inciso acutamente. Tale mistero sospinge ad accostarsi quasi in punta di piedi, di sostare in rispettosa accettazione e benevolenza non del “giovane” in generale ma “di questo preciso giovane che mi sta di fronte”, riconoscendo il suo essere “diverso da me”, con il suo modo di sentire, di valutare, con il suo bagaglio di esperienze, sapendo apprezzare e godere della fantasia di Dio, dell’averci creati nel contempo così simili e così unici.
Seri problemi possono convivere con delle intuizioni spirituali e finezze d’animo sorprendenti. Un gruppo di giovani può esplicitare aspirazioni, sentimenti, paure, gioie, esuberanze molto simili, tanto che le problematiche appaiono ripetitive, eppure le circostanze, le intensità, le reazioni, le soluzioni adottate risultano assai diverse gli uni dagli altri, da dire spontaneamente con il Qoélet (1,9): “nulla di nuovo sotto il sole” e con altrettanta verità “mai visto nulla di simile”. Concedersi dunque del tempo per capire e non presumere di aver già, con assoluta certezza individuato il da farsi, il problema sotteso, il cosa proporre e la vocazione che seguirà.
Attenzione creativa, personalizzata
Questa attenzione all’individualità di ciascheduno è di singolare importanza, diversamente anche, con le migliori intenzioni, si rischia di imporre un cliché, oppure offrire quei suggerimenti a partire dal proprio percorso spirituale, dalle proprie preferenze relative la spiritualità, il tipo di missione, il modo di pregare e così via. Se una giovane dimostra un certo interesse per la Vita Consacrata e il D.S. è missionario viene spontaneo immaginarla e indirizzarla alla vita missionaria, tanto più se esiste il rispettivo Istituto femminile, così vale per chi è prete diocesano. Se un’altra comincia a frequentare un monastero di clausura si possono nutrire delle aspettative e dare per scontato che sia quella la sua chiamata . Emotivamente non è spontaneo accettare che un giovane, a lungo accompagnato, alla fine scelga un Istituto diverso dal proprio o da quello che gode maggiore apprezzamento o simpatia da parte nostra. Il tentativo e l’attenzione a cogliere il disegno di Dio su un giovane richiede libertà di cuore, umiltà e amore che mirano al bene dell’altro, pronti a rinunciare alle proprie aspettative, se tale bene lo richiede.
Il giovane non sempre riconosce i moti più profondi, le domande che faticano ad affiorare alla coscienza o non osa porsi direttamente. Talora non sa nemmeno identificare, esplicitare le proprie preferenze. Una scoperta molto bella e rassicurante è scoprire ad es. che ha un suo modo di pregare, di relazionarsi con il Signore che non coincide esattamente con l’andare in chiesa o partecipare agli incontri. Gli diviene più facile apprezzare e godere la preghiera liturgica, se ha scoperto questo mondo interiore. L’adolescente che vive l’identificazione al gruppo è più attratto ai momenti di insieme con i coetanei, il giovane invece è proteso all’unificazione del proprio io, ha bisogno di affinare il senso di identità che gli permetta di esperire una certa consistenza, compattezza interiore, la sua individualità, il suo essere “diverso”, tra uguali. Questa attenzione personalizzata mira non solo a individuare i punti vulnerabili, ma soprattutto a capire come il giovane si sta muovendo, da che cosa è attratto, affascinato, cosa suscita interesse, quali valori lo interpellano.
L’arte della “maieutica”
Quanto detto finora viene ulteriormente precisato facendo appello al metodo pedagogico proposto da Socrate col nome di maieutica. Il termine come ben sappiamo fa riferimento all’abilità dell’ostetrica nell’assistere al parto di una nuova vita. Non è lei a dare la vita, semplicemente assiste, perché tutto proceda nel migliore dei modi è pronta a prevedere ostacoli, a intervenire per superarli. Per analogia il D.S. accompagna il giovane perché possa scoprire la verità su ciò a cui è chiamato. Non gli offre delle risposte ben confezionate e tanto meno prende le decisioni al suo posto. Questo significa che non si può essere troppo direttivi nel senso di dire esattamente cosa deve fare. Purtroppo, in buona fede, ma si verifica. Così ad es. di fronte al giovane titubante se continuare o no con una certa ragazza si può indebitamente rassicurare che meglio di così non può sperare, e una volta sposati non si sopportano più. Oppure alla giovane che manifesta una attrattiva per la vita consacrata e nello stesso tempo riconosce un innamoramento ancora in atto, assicurare che col tempo tutto si appianerà e invece una volta fatta la Professione si ritroverà con lo stesso interrogativo. E ancora al ragazzo che affascinato dalla teologia, frequenta un gruppo vocazionale, sa disquisire con intelligenza su vari argomentazioni, ma non si decide per il seminario, controbattere “ma se non entri tu…”. Purtroppo all’origine di un abbandono si constata, più volte, la mancanza di serio discernimento o comunque una decisione affrettata.
Certo il restare fianco a fianco, seguendo il passo del giovane richiede pazienza, tempo, dispendio di energie, ma il cammino lo deve fare lui, la decisione deve sgorgare dalla sua interiorità. Si possono verificare ugualmente degli errori, ma per lo meno è stata rispettata la libertà della persona.
Accettazione dei limiti
Bisogna riconoscere che la D.S. è un’avventura di luci e di ombre, non solo perché il giovane è suscettibile di alti e bassi, di rallentamenti e arresti, anche perché gli interventi del Direttore stesso possono risultare talora meno azzeccati, oppure qualcosa risulta poco chiaro, non ben definito. Vedere il giovane progredire dà maggiore sicurezza di essere sulla pista giusta e rinforza il senso di capacità personale, al contrario constatare degli indugi, o ritrovarsi al punto di partenza non lascia indifferenti e può suscitare ansia. Un possibile rischio è quello di sentirsi in dovere o in potere di risolvere ogni nodo e dato che non accade, sentirsi più o meno in colpa o incapaci. Dimenticando che l’altro si muove solo se lo vuole e che nessuno ha il potere di cambiarlo.
Oppure se ci sono dei risultati attribuirli unicamente alla propria bravura, privandosi della gioia e dello stupore di fronte a cambiamenti che verrebbe spontaneo definire “miracoli”, e perché no, se crediamo che l’azione di Dio pur misteriosa e insondabile è in atto nel giovane. E ancora non riconoscere che, per alcune problematiche, non si hanno gli strumenti adatti mentre il bene del ragazzo richiederebbe, per quanto possibile, di rivolgersi a competenti.
Alcuni elementi di struttura: luogo, durata, scadenza dei colloqui.
Evitando i due estremi di lasciare tutto all’improvvisazione o essere troppo rigidi, il concordare, in linea di massima, il luogo di incontro, la durata e una possibile scadenza degli incontri invia un messaggio di serietà e di impegno per ambo le parti. Il giovane intuisce che non si tratta di qualcosa di banale, superficiale o episodico e si sente preso sul serio.
Luogo: per quanto la situazione lo permetta è preferibile un luogo accogliente, dove il giovane possa sentirsi a suo agio. Una stanza disadorna o poco linda suscita repulsa o comunque è meno invitante, e questo non solo per le ragazze che, al riguardo, possono essere più esigenti, anche per i maschi. Queste particolarità, a livello emotivo lasciano un segno. Le situazioni impongono talora dei compromessi, ma non possono costituire la norma. Ricordo di un giovane che al primo incontro esordì: “Meno male che lei è lì seduta”. E proseguì dicendo che l’incontro con il D.S. avviene camminando e non gli piace affatto perché ha l’impressione di non essere ascoltato. Di certo non è esattamente così, comunque il luogo e il modo di stare con il giovane hanno la loro importanza. Dobbiamo ricordare che non si comunica solo verbalmente. Tutto il proprio essere, il modo di relazionarsi e il contesto stesso inviano messaggi.
Durata del colloquio: due modalità negative, un colloquio sbrigativo o comunque un tempo così esiguo con l’implicito messaggio, seppur involontario: “non ho tempo da perdere per te”, e dall’altra “sedute fiume”, dove il giovane parla per ore con l’amara impressione di prendere sempre la tangenziale senza approdare a nulla. Se in particolari circostanze o all’inizio può essere opportuno dare più tempo affinché il giovane possa esprimere ciò che lo preoccupa, acquisire una certa fiducia, e intanto avere modo di comprendere la sua storia, gli eventi salienti e suoi stati d’animo prevalenti, di regola un colloquio di circa un’ora può rappresentare un tempo congruo, opportuno e sufficiente. Può sorprendere, eppure anche questo assume una valenza educativa, è il caso di un giovane che stava attraversando una fase burrascosa e ogni volta che veniva avrebbe parlato, credo, anche per una giornata intera riluttante quasi sempre a concludere il colloquio. Un giorno arriva soddisfatto. Aveva imparato a “stare a galla”, a non sentirsi affogare nelle difficoltà persistenti. Richiesto in che modo vi fosse giunto, precisa che innanzitutto in qualsiasi situazione lui risultava “vivo” e inoltre visto che il colloquio terminava benché i suoi guai non fossero risolti, significava che poteva convivere con tali difficoltà.
Orario: meglio evitare le ore della sera e tanto più della tarda notte. Dopo certi incontri il giovane ha bisogno di tempo per elaborare i contenuti emersi, i problemi sollevati, le emozioni suscitate. E questo vale talora anche per il direttore stesso.
Scadenza dei colloqui: evitando di essere rigidi o intransigenti è opportuno, se il giovane dimostra di essere intenzionato a fare un cammino, esplicitare una possibile scadenza, ad esempio un incontro ogni due/tre settimane o una volta al mese ecc. secondo le opportunità. Se un giovane va dal D.S. 5/6 volte in un mese e poi per 5/6 mesi sparisce c’è da interrogarsi. Pedagogicamente, lasciare che sia il giovane stesso a prendere l’iniziativa per il colloquio, risulta più efficace perché lo responsabilizza. Lo aiuta a prendere coscienza che spetta a lui camminare, e senza la sua collaborazione non si procede. Il D.S. non possiede la bacchetta magica e tanto meno il potere di cambiarlo. Se poi è il giovane stesso a iniziare il discorso c’è l’opportunità di verificare se approfondisce certe tematiche, se tralascia argomenti di rilievo, se evita realtà spinose, oppure quali sono gli ambiti di vita su cui insiste maggiormente, quali desideri esplicita, quali valori ricerca e così via. Questa modalità di relazione può predisporre il giovane a interrogarsi, a lasciarli interpellare e confrontare.
Relazione asimmetrica
Inoltre questi elementi evidenziano che nella D.S. si vive una relazione asimmetrica, dove direttore e giovane non si pongono sullo stesso livello, come avviene tra amici. Non sembri superfluo questo richiamo. Pensando di favorire il dialogo, di appianare la strada perché il giovane si senta accolto e abbia il coraggio di confidarsi si rischia di mettere in atto talora dei comportamenti da buoni compagni, che apparentemente sembrano abolire le distanze, in realtà tolgono sicurezza. Al giovane necessita, una guida che lo aiuti a districarsi tra i possibili meandri per individuare la strada, discernere tra lo stordimento dei messaggi quelli che meritano di essere ascoltati e presi in considerazione, individuare nel tumulto dei desideri e sentimenti quelli che rispondono al suo Io più profondo, agli ideali per cui è bello e vale la pena vivere. Ad es. è più rispettoso restare di fronte al giovane che seduti entrambi sul divano, perché esplicita visivamente e plasticamente l’intenzionalità di ascolto, di accoglienza, di disponibilità, inoltre permette al D.S. non solo di ascoltare le parole, ma di cogliere da un gesto, dall’espressione del volto, da un sorriso, da una smorfia, dal cambiamento di colore, certe sfumature inerenti a titubanze, timori, soddisfazioni, gioie, collere, tristezze, ecc. L’asimmetria sta nel fatto che mentre il giovane può parlare di qualsiasi realtà che lo riguardi, il D.S. non può concedersi delle confidenze personali relative alla sfera privata, che possono talora disorientare il giovane. Gli amici vanno cercati altrove. Risulta inopportuno condividere preoccupazioni o problematiche riguardanti altri giovani o comunque persone conosciute o meno dal giovane. Oltre che compromettere la fiducia, in quanto più o meno consapevolmente suscita l’interrogativo: “Se parla a me di questa persona che cosa dirà di me ad altri?”, può sollecitare delle false aspettative quali ad esempio di essere ritenuto il migliore o sentirsi il prediletto. E poi nel tentativo di mantenere tale immagine non sentirsi più libero di manifestare apertamente il suo vissuto, specie nelle pieghe più riposte e meno piacevoli, rinforzando una resistenza, in parte certamente presente, a lasciarsi interpellare e mettere in discussione.
Vicinanza e neutralità
Si tratta di coniugare insieme dolcezza e fermezza, di saper offrire comprensione scevra da iperprotezione. Un ambito particolare dove si gioca questo equilibrio è rappresentato dal colloquio. Il clima è di estrema importanza. Deve instaurasi un clima di ascolto e di non giudizio, che significa assenza di qualsiasi giudizio, negativo o positivo. Non si deve assolvere, né condannare e neppure incoraggiare. Questo tipo di reazioni possono intralciare la comunicazione o renderla inefficace. Non basta d’altronde una assenza di giudizio verbale. Più importanti delle parole di accoglienza e di non giudizio sono i sentimenti che si nutrono nell’avvicinare il giovane. Si tratta di un’accoglienza empatica, dove ci si lascia toccare anche emotivamente, si viene coinvolti pur restando neutrali, al fine di essere obiettivi nella comprensione degli eventi, dei contenuti espressi e nel valutare soluzioni, suggerimenti, interpellanze ecc.
POSSIBILE TIPOLOGIA E RELATIVE PROBLEMATICHE
Abbiamo accennato ad alcune caratteristiche, tuttavia il mondo giovanile non si presenta omogeneo a ragione della provenienza culturale, l’educazione familiare e religiosa la personalità tipica di ognuno. All’interno di questa gamma possiamo focalizzare alcuni stili. Il quadro non intende essere esaustivo tanto più che la persona in genere e in particolare nell’età giovanile, non può essere incasellata o etichettata. Si intende evidenziare alcune problematiche, l’urgenza di saperle riconoscere e individuare le strategie più opportune per affrontarle. Ogni stile è accompagnato da una citazione evangelica, quale possibile analogia che esula da qualsiasi intento esegetico. Certe immagini permettono una sintesi più immediata di una lunga descrizione.
L’incerto al rallentatore
Un altro discepolo gli disse: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli rispose: “Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Mt 8,21).
Si incontrano giovani sempre incerti, specie in merito alla scelta di vita, sia che si tratti del matrimonio, del sacerdozio e/o della vita consacrata. Rinviano la decisione alle calende greche. Sovente sono giovani sostanzialmente buoni d’animo, talora presenti ai campi scuola, agli esercizi spirituali, a giornate di preghiera o impegnati nella catechesi, nel gruppo missionario, nel volontariato ecc. Si avverte in essi una delicata sensibilità al discorso religioso, con delle intuizioni che sorprendono. È una realtà che ha del paradossale, da una parte sembrano molto attivi e dall’altra al contrario risultano paralizzati, arenati, ancorati, manca il coraggio di prendere il largo, di avventurarsi, di rischiare.
Quasi sempre sussiste un sottofondo di insicurezza con il timore di sbagliare, che non riflette necessariamente una patologia. Per quanto possibile è di estrema importanza comprendere cosa spaventa o inquieta. Molte volte è riconducibile a una relazione parentale conflittuale: genitori troppo esigenti e a loro volta insicuri. Altre volte si scopre un timore eccessivo di sbagliare, con difficoltà ad accettare i loro limiti, insuccessi. Vanno condotti a riconciliarsi col passato ad esperimentare il limite, l’errore come parte della vita, diversamente si caricano di un peso ansiogeno insopportabile.
Rischio: il D.S. stanco di aspettare finisce col prendere la decisione o diventa troppo direttivo. Esempio: Questa ragazza va proprio bene per te… Se non vuoi fare l’Università, cosa pensi di concludere… Un ragazzo migliore di questo non lo troverai di certo… Sono sicuro che tu hai la vocazione a essere prete, religiosa, monaca… Sconfinando talvolta nel ricatto involontario facendo appello alla parola di Dio: Chi mette mano all’aratro e poi torna indietro… O facendo leva sulla stima personale: Ma tu hai sempre avuto questo interesse…
Talora la riluttanza a decidersi nasconde velatamente la consapevolezza di non farcela, se nonché l’indecisione rinforza l’autosvalutazione: sono un buono a nulla… e il senso di colpa: spreco il mio tempo… Esempio: laureato con ripetute crisi depressive, carattere mite, desideroso di fare qualcosa per gli altri, in parte consapevole delle sue vulnerabilità. Lascia la ragazza perché un eventuale legame lo fa sentire imprigionato. Si domanda se non sia chiamato al sacerdozio, ma anche questa prospettiva lo mette in angoscia, la responsabilità lo spaventa. Si sente comunque obbligato a scegliere diversamente è colpevole di sprecare il suo tempo. Chiarito che non sussisteva un aut-aut, il senso di colpa si è ridimensionato e ha potuto guardare alla sua situazione con più positività e accettazione.
In altri casi il giovane va aiutato a convivere con la sua incertezza, come parte dei suoi limiti e a scoprire che non costituisce un impedimento assoluto che può ugualmente comprendere cosa desidera e prendere la relativa decisione. È fondamentale che sia convinto che la decisione spetta a lui e nessuno lo spinge. In qualsiasi situazione, anche la più complessa, cercare di identificare l’aspetto positivo. Di recente una giovane tormentata dalla sua indecisione, con sentimenti quasi di odio verso se stessa, alla domanda di esprimere l’aspetto positivo di tale situazione, mi rivolse uno sguardo interrogativo e sorpreso come a dire: e tu pretendi che in tutto questo caos io ci veda qualcosa di buono… Le ripetei la domanda quasi a conferma che era possibile. Quando ha potuto constatare ad esempio che era riflessiva, che ponderava, che non era impulsiva ecc. il suo volto si è illuminato, come a dire: allora non sono proprio uno sgorbio… Altro esempio. Il timore di deludere. B. vuole capire cosa il Signore desidera da lei. Non esclude una scelta di vita consacrata, ma ci sono tanti dubbi. A causa di una proposta di lavoro ci si rivede dopo alcuni mesi ed esordisce col dire che ha timore di deludermi supponendo che io abbia delle aspettative alle quali non sa rispondere perché resta dubbiosa. Fortunatamente aveva compreso che poteva condividere questo timore senza essere rimproverata. Resta comunque la possibilità che il giovane non esprima fino in fondo i suoi desideri e i dubbi per timore appunto di deludere. C’è la possibilità che sia il D.S. a lasciar trapelare, più o meno apertamente e più o meno consciamente la sua delusione o il suo disappunto. È una questione molto delicata. Il D.S. non è certamente un robot impassibile e di fronte a un giovane molto promettente, serio, impegnato, intelligente spontaneamente elabora qualche previsione. Occorre molta libertà interiore per non lasciarsi pilotare unicamente da tale aspettativa e restare invece attenti a cogliere altri segnali, affinché il giovane stesso giunga a optare per la scelta consona alle sue aspirazioni e che avverte qualche vocazione per se stesso.
Altre volte il giovane stesso, stanco della sua indecisione, cerca una conferma nel direttore. È il caso di uno studente universitario con un fratello ricoverato per seri problemi psichiatrici ed è tormentato dal dubbio che un giorno possa succedere pure a lui. Per lungo tempo insiste di dirgli apertamente cosa penso di lui e della sua capacità di diventare missionario, la non risposta viene interpretata dapprima come tattica per condurlo a convincersi che non è adatto. Quando finalmente comincia ad avere più fiducia in se stesso e in chi l’accompagna scioglie da solo l’enigma: adesso ho capito perché non mi rispondeva, semplicemente perché non lo sapeva esattamente, ma era attenta a vedere come procedevo…
La freccia gassosa
Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te” (Mc 5,18-19).
La figura dell’indemoniato ci rinvia, per analogia, all’esperienza inquietante e tremenda di chi non avverte la padronanza di sé, e vive la sensazione di non avere un contatto stabile col proprio Io, che risulta insicuro, come diviso in se stesso. Non si deve pensare necessariamente a una situazione patologica. Certi giovani stanno attraversando ancora la crisi adolescenziale. L’età evolutiva è in atto e quindi non hanno ancora preso contatto col proprio Io più profondo e la padronanza di sé è vacillante. Questo stato d’animo si riflette nell’incertezza di non sapere cosa fare, nel non intravedere uno sbocco che dia senso, che offra una direzione di marcia. È come camminare nella nebbia, non vedere a contorni chiari ciò che vuole, chi è, chi vuole essere.
Questa fase nebulosa si può ispessire per mancanza di valori sia naturali che religiosi. Il giovane che vive tale realtà se incontra qualcuno che lo invita, supponiamo alla giornata mondiale della gioventù, alla marcia per la pace, alla scuola della Parola o comunque per altri eventi scopre la bellezza del Vangelo, resta affascinato dalla figura di Gesù, può avvertire un cambiamento di interessi, dove la dimensione religiosa è al centro della attenzione e con soddisfazione definirsi “un convertito”. Tale conversione e l’attrazione a qualche forma di vita consacrata sono vissuti talora come sinonimi e con tale carica di entusiasmo è facile il passo decisivo ad es. di entrare in seminario, in monastero e, poco dopo l’Ordinazione o la Professione, altrettanto facile entrare in crisi e mettere in dubbio il tutto. Che cosa si verifica da un punto di vista psicologico? La scoperta dei valori cristiani e la loro realizzazione in una forma di vita offre inizialmente sicurezza, senso di valore personale, uno stato d’animo che non ha confronti rispetto all’indeterminazione precedente ed emotivamente è estremamente rassicurante. Passata la fase entusiastica, la responsabilità assunta diviene onerosa, riemergono le vulnerabilità precedenti, rimaste soltanto nascoste ma non risolte, anzi si aggiunge la spiacevole sensazione di fallimento o di malessere generale. Gli esempi al riguardo non mancano. Il moto impulsivo a realizzare immediatamente certi desideri appena affiorati si verifica pure in altri contesti, ma il dato originante sta nell’incertezza, nella mancata chiarezza del proprio Io, nella nebulosità circa le mete da raggiungere e avvertite come consone a sé. Ciò può essere dovuto a un processo evolutivo più lento, o per conflitti irrisolti.
È comunque tipica del giovane la fase della ricerca, del discernimento dove non tutto è chiaro, sicuro. Per taluni tale fase genera ansia, timore o è vissuta come debolezza, incapacità, inferiorità e pur di uscirne prendono delle decisioni immediate, impulsive. Danno l’impressione di essere delle frecce sicure, in realtà sono fumose e non centrano affatto il bersaglio. Gli esempi non mancano. Vediamone alcuni. A un giovane universitario, già orfano di padre, viene a mancare la madre e si ritrova a vivere con il fratello maggiore che ha sempre ostacolato il suo interesse religioso. Qualche mese dopo decide di interrompere gli studi per entrare in un Istituto religioso, che conosceva da tempo. Il responsabile gli propone di fare almeno un anno di Probandato, dopo qualche tempo lui insiste per entrare in noviziato. Intelligentemente il Superiore resiste alle sue pressioni. In occasione di una festività va in famiglia, dopo di che non ritorna più. Una ragazza dopo anni di allontanamento dalla chiesa, in un giorno di ritiro resta “fulminata”, abbandona gli amici della discoteca, entra in monastero, dopo la Professione la clausura le risulta stretta. Resta la decisione per la vita consacrata, ma non claustrale.
Il trascinato dagli eventi
Chi invece ascolta e non mette in pratica è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e il disastro di quella casa fu grande… (Lc 6,29).
Questa breve citazione stigmatizza quanto accade a quei giovani che procedono seguendo l’onda senza domandarsi dove vogliono arrivare e perché. È come se seguissero pedestremente ciò che fanno altri, se nonché appena subentra qualcosa che costringe a prendere posizione, o restare saldi sulle proprie convinzioni, vengono travolti, e quelle che sembravano convinzioni, ma non lo erano, svaniscono nel nulla.
È il giovane apparentemente impegnato, presente alle varie iniziative, ma senza convinzioni personali. Sembra vivere una relazione con Dio, optare per scelte di servizio, instaurare legami con i compagni, in realtà si lascia trascinare dagli eventi, arriva pure a sposarsi, diventare prete, entrare in comunità senza riuscire a fare una scelta profondamente motivata e appena si presenta un evento che lo interpella fortemente o richiede determinazione lascia tutto e i valori precedentemente proclamati perdono la loro forza motivante. Può capitare che alcuni scoprano delle serie difficoltà che interferiscono pesantemente con la scelta fatta e siano costretti a pensare ad una alternativa, con una ricerca dolorosa e sofferta. Altri, invece, abbandonano quasi improvvisamente al sopraggiungere di normali difficoltà, attriti, incomprensioni ecc. Sono rimasta impressionata della impassibilità con cui un giovane prete ha lasciato la parrocchia dopo quattro anni di ordinazione. Era come se avesse fatto un lungo sogno, che ormai non aveva niente a che fare con la sua vita. Durante gli anni di seminario nessuna particolare difficoltà, tutti lo ricordavano come un ragazzo tranquillo. Andando più a fondo è risultato che l’apparente serenità nascondeva un distacco emotivo. Non disturbava nessuno, nemmeno il Rettore, ma non partecipava con tutto se stesso. Bisogna prestare attenzione ai tipi troppo tranquilli, e verificare se si tratta di personalità equilibrate, serene o passive, che talora , risultano più problematiche dei giovani esuberanti, effervescenti, vivaci.
Il cuore pensante[7]
Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola (Lc 10,38-39).
“Cuore pensante” è l’autodefinizione di Etty Hillesum, ebrea olandese, morta ad Auschwitz. Mentre la vita del campo provocava in molti avvilimento fisico e psichico in lei sembrava ottenere l’effetto contrario. La sua consapevolezza si faceva sempre più limpida e serena e la relazione con Dio si approfondiva fino a giungere a pensieri di contemplazione così alti da sembrare impossibili in una giovane donna qual era. In quel “pezzo di brughiera recintato da filo spinato”, nelle ultime pagine del suo diario annotava: “Su, lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca”.
L’altra donna è presentata da Luca nel tipico atteggiamento del discepolo ai piedi del Maestro, in attento ascolto, né solo intellettivo, né solo emozionale. Anche a lei possiamo attribuire questa sintesi mirabile di cuore pensante. Sintesi che si evolve costantemente lungo l’esistenza, ma può avere un primo abbozzo, un avvio nell’età giovanile.
Il giovane va guidato a riconoscere e saper dirigere la forza dell’entusiasmo, la prepotenza dell’amore, la generosità spontanea e insieme a riflettere, a lasciarsi interpellare a saper rielaborare personalmente i contenuti appresi, a vivere le piccole e grandi decisioni con tutto se stesso, ad apprezzare la realtà quotidiana intessuta da gesti, incontri, scambi, condivisioni, da piccole o grandi lotte, dalla relazione con Dio che dà senso al tutto, e individuare in questo vissuto il filo rosso che gli indica lo stile di vita e la vocazione entro cui concretizzarlo. In sintesi l’accompagnamento di un giovane ha come obiettivo due movimenti: uno ad intra e uno ad extra, che non sono contrapposti anzi conducono all’unificazione di vita. Il primo mira alla coesione dell’Io, per cui il giovane gradualmente esperimenta la capacità e la soddisfazione di vivere. Il secondo lo conduce a esperire la bellezza e l’intenzionalità di vivere per un altro diverso da sé e per un Altro quale sorgente e ragione del tutto.
Note
[1] E. Masseroni, Relazione alla XLVI Ass. Gen. CEI, maggio 1999.
[2] Ibidem.
[3] R. Guardini, Le età della vita, Vita e Pensiero 1992.
[4] In questo paragrafo ho riportato alcune idee di A. Louf in Generati dallo Spirito, Qiqajon 1994.
[5] In merito alla visione distorta o riduttiva di Dio cfr. T. H. Green in, Il grano e la zizzania, discernimento punto di incontro tra preghiera e azione, Ed CVX 1992 e N. dal Molin, Verso il blu: lineamenti di psicologia della religione, Messaggero, in particolare il cap. 16. E ancora A. Louf in op. cit.
[6] In relazione al Transfert cfr. A. Louf op. cit. e F. Imoda, Sviluppo Umano: psicologia e mistero, Piemme 1993.
[7] E. Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi. Ultime parole del diario: “Si vorrebbe essere un balsamo per tutte le ferite”.