N.04
Luglio/Agosto 2000

Comunità cristiana e società dei bambini

La ricorrenza del decennale della Dichiarazione dei Diritti del fanciullo ha meritato, di recente, un’attenzione di rilievo. Il riconoscimento dei diritti del fanciullo è stato, infatti, una conquista nella storia dell’umanità, il punto di arrivo di un grande ripensamento culturale. Arrivare a riconoscere il fanciullo come portatore di diritti ha significato portare l’umanesimo fino alle sue estreme conseguenze, ha significato capire che una società che si voglia definire tale non può non farsi carico di chi è più debole, di chi non può difendersi, di chi si affaccia alla vita con gioia e curiosità.

In realtà, non bastano le celebrazioni delle ricorrenze per sentirci soddisfatti. Viviamo in una società che pone il profitto, il successo, la carriera, il raggiungimento del massimo di benessere economico possibile con qualunque mezzo, come propri ideali: la società consumistica. La legge di mercato sembra essere la legge eminente, l’unica da considerare: in questo contesto i diritti dell’infanzia, pure solennemente proclamati, rischiano di essere quotidianamente disconosciuti. Si pone il problema di “una riflessione sull’infanzia, la cui sorte ha una drammaticità proporzionale solo al silenzio con cui la si copre, se è vero che solo in Italia, quest’anno, sono stati contestati agli adulti 624 reati su bambini contro i 267 dello scorso anno. A ciò si aggiunga che ogni giorno quattro-cinque bambini sono vittime di infortuni sul lavoro; ogni settimana tre minori tentano di togliersi la vita e uno ci riesce; ogni ventiquattro ore vengono depositate sei denunce di scomparsa di bambini e dieci di maltrattamento, e sempre nelle ventiquattro ore si registrano ottanta reati commessi dai minori” (da U. Galimberti, “La Repubblica”).

Accanto a questi aspetti macroscopici di maltrattamento e di disagio dell’infanzia, ce ne sono altri, meno appariscenti ma non meno significativi e molto più diffusi. Si tratta di quelle forme di maltrattamento fondate sul mancato rispetto dell’integrità psicologica del bambino e del suo diritto a crescere in un clima di sicurezza, di stabilità, di partecipazione emotiva: l’incapacità di trasmettere al bambino significative parole di affetto, di costruire in lui quel sentimento di sé che è fondamentale punto di riferimento per ogni passaggio difficile della sua vita, di accogliere le sue domande di senso.

Per i bambini della nostra società evoluta esiste, infine, un’altra forma di violenza, un altro clamoroso sfruttamento: è quello effettuato dal mondo della pubblicità. È una vera e propria forma di persuasione occulta ai danni di chi non si può difendere. I bambini, di fronte alla seduzione che essa esercita quotidianamente e con estrema capacità, non sono in grado di decodificare i messaggi, ne sono sedotti ed, in un certo modo, schiavizzati.

Le “favole” proposte dalla pubblicità, in modo pressante e ripetitivo, determinano falsi bisogni, una sorta di manipolazione della fantasia, per cui ciò che è relativamente importante diventa assolutamente necessario. Gli psicologi stanno lanciando un vero e proprio allarme e segnalano dati preoccupanti: si parla addirittura di una sorta di “bulimia psicologica” stimolata dai messaggi in cui la fantasia dei più piccoli viene manipolata perché desiderino sempre di più.

Che cos’è dunque che non funziona? È la nostra società che, lanciata in un progresso continuo, ci trova impreparati, ci pone conflitti e limiti, acuisce differenze e problemi? Sono i bambini cresciuti troppo in fretta in un mondo in cui sembra scomparire l’infanzia, che fanno domande troppo pressanti? È l’indifferenziazione proposta dall’odierna cultura di massa che rende così difficile i percorsi educativi?

Queste domande non devono condizionare in modo negativo o pessimistico gli interventi posti in atto dalle varie agenzie educative; devono far capire, caso mai, che una società che voglia affrontare in modo provveduto le sfide del terzo millennio non può fare a meno dell’educazione, nell’accezione più ampia e comprensiva del termine.

Si tratta di mettere in atto percorsi educativi condivisi dalla famiglia, dalla scuola e dalla comunità cristiana, volti ad affrontare le sfide di un cambiamento da promuovere, con gli strumenti dell’informazione, della scienza, della sapienza, ma anche della testimonianza e dell’impegno; si tratta di capire che il bambino è qualcosa di più e di diverso del suo sviluppo fisiologico: è anche tensione e progetto, è capace di atteggiamenti nuovi, è creatura relazionale, è un “ospite” prezioso e irripetibile che deve essere accolto con stupore e rispetto.

Prendersi cura dell’educazione è un atto di amore per l’uomo ed insieme un gesto di fedeltà al Maestro divino che ha dato la sua vita per tutti e che vuole incontrare ed accompagnare ciascuno in ogni momento significativo dell’esistenza. La famiglia, la scuola, la comunità cristiana sono fortemente interpellate nei confronti dei bambini e richiamate al loro intervento educativo che per essere veramente leggibile e produttivo, deve avere connotazioni ben precise in ordine alla coerenza e all’esemplarità. Gli educatori non hanno da eseguire compiti speciali o da elaborare strategie differenziate: devono essere testimoni in ordine alla possibilità di amare, di comunicare, di fare libera ed aperta comunità, di sperare la salvezza e di costruirla serenamente in tutta solidarietà. Si tratta di porsi davanti ai bambini, in modo concreto e coerente, come persone che, pur collocate in una fitta serie di rapporti, hanno energie proprie che ne costituiscono il valore e la dignità. Sono le energie dell’intuizione, del pensiero, dell’amore, della capacità di donazione, dell’espressione, della vita spirituale; sono i poteri che non perdono di valore neppure quando sono coperti da condizionamenti, da pregiudizi, da abitudini.

Si tratta di porsi davanti a loro in spirito di servizio, con la precisa volontà di promuovere in ciascuno una reale capacità di autonomia e di realizzazione del proprio potenziale educativo, secondo la legge del maggior dono. Si tratta di saper cogliere le domande di senso che essi esprimono in modo chiaro e coerente per farli procedere sulle vie della conoscenza verso gli orizzonti dell’autentica libertà. Si tratta di sviluppare, attraverso una ricca gamma di proposte formative, le potenzialità che ogni bambino possiede, affinché sia in grado di esprimere le proprie abitudini.

Si tratta di orientarli a compiere scelte personali rispondenti alla loro vocazione e alle proprie inclinazioni in modo da poter essere “dono” per la società in cui sono chiamati a vivere. Le ricerche scientifiche, le conquiste psicologiche aiuteranno gli educatori a capire meglio le dinamiche degli apprendimenti, a stabilire le strategie delle conoscenze, a dare risposte più esaurienti ed efficaci ai bambini di oggi, “nuovi” di curiosità, di interessi, di stimoli e di bisogni. Tutti i progetti educativi saranno veramente credibili ed efficaci se avranno le caratteristiche comuni dell’accoglienza e della testimonianza: accoglienza, fatta di gesti e di parole, ripetute e condivise, che contribuiscono a costruire, fin dai primi anni dell’infanzia, un atteggiamento di piena fiducia e recettività; testimonianza, filtrata dagli atteggiamenti degli adulti, che consenta al bambino di imparare tutto “vedendo” i comportamenti degli altri, che si faccia linguaggio immediato ed essenziale, apprendimento ed esperienza di vita.

I bambini, oggi, ci interpellano con insistenza e con puntualità, richiedendo risposte chiare e coerenti che non possono essere né deluse, né rimandate: è in queste risposte che si decidono i percorsi formativi e i progetti di vita.