N.04
Luglio/Agosto 2000

Quale annuncio vocazionale fa crescere il bambino dentro una storia d’amore?

Molto spesso si pensa che i bambini non siano in grado di capire il mistero profondo di Dio e, quindi, che non sia opportuno proporre loro un’amicizia piena con Gesù che arrivi fino ad annunzio vocazionale. Si dice: “faranno le loro scelte quando saranno grandi”. Credo invece, per le motivazioni che dirò, che i bambini siano nella situazione più favorevole per capire, accogliere e dare risposta alla pienezza dell’amore di Dio.

 

La condizione di “piccoli”

Si può dire che proprio la loro realtà esistenziale, la loro età, li rende idonei all’incontro con Gesù. Ce lo dice Gesù stesso in un momento in cui fa la verifica della sua attività (cfr. Mt 11,1-24). Egli valuta le reazioni del Battista, della gente della sua generazione e delle città in cui ha compiuto il maggior numero di miracoli e da tale valutazione redige un bilancio che non è a suo favore, non è positivo. Chi ha accolto il suo annuncio? Chi è pronto per il Regno di Dio? Nei versetti successivi però (cfr. Mt 11,25-27) Gesù rivolgendo al Padre una preghiera di benedizione e di lode constata con stupore che il bilancio va completato, che esso non è più del tutto negativo: il Padre gli ha dato dei “piccoli” che hanno creduto in lui. Non tutti sono rimasti sordi al suo annuncio, ma i semplici, i piccoli, quelli come i bambini, sono entrati nella logica del suo Regno, mentre i sapienti e i grandi ne sono rimasti fuori. Gesù lo capisce e per questo loda e ringrazia il Padre. In quel tempo Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).

I piccoli e chi diventa come loro sono in grado di accogliere la sua Parola. In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?”. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18, 1-4)

Gesù in questo brano ci vuole dire che proprio la realtà esistenziale del bambino, le caratteristiche dell’essere piccolo sono propizi all’accoglienza del Regno. I bambini infatti sono il prototipo della non autosufficienza, dell’incapacità di bastare a se stessi e di stare in piedi da soli; essi se non hanno qualcuno che li sostiene, che li nutre e si prende cura di loro non arrivano a sera.

Queste caratteristiche sono proprio quelle esaltate da Gesù nel discorso della montagna quando dichiara “beati i poveri in spirito”. Sono “beati” coloro che nel profondo di sé ammettono la propria povertà, coloro che riconoscono la propria radicale indigenza, coloro che non bastano a se stessi e si abbandonano pieni di fiducia a Dio. Come i bambini appunto. Per questo i bambini, a motivo della loro debolezza e della loro imperfezione, appaiono dei privilegiati davanti a Dio e sono resi capaci di accogliere favorevolmente un annuncio e una proposta esperienziale di Dio.

 

La loro “santità” di vita

Un altro motivo che mi fa sottolineare la possibilità e anzi l’opportunità di un annuncio pieno ai bambini è la loro santità di vita. Attraverso il Battesimo (che hanno ricevuto da pochissimo tempo) lo Spirito Santo ha fatto irruzione nella loro vita, ha preso dimora in loro e li ha resi “cosa” cara e preziosa davanti a Dio. È molto difficile che nell’età dell’infanzia un bambino sia capace di commettere un peccato veramente grave, al punto di rompere la comunione con Dio. Si può allora dire che davvero gli angeli di questi piccoli vedano sempre la faccia del Padre che è nei cieli e li sistemano sulle sue ginocchia: Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli (Mt 18,10).

Si può davvero pensare che lo Spirito suggerisca loro i sentimenti più limpidi e più sinceri verso Dio e che in un qualche modo avvertono e ricambino la sua tenerezza. Chi allora più di questi fanciulli può essere nella condizione ottimale per ascoltare la voce dell’Amico ed appoggiare il capo sulla sua spalla?

 

Il loro inserimento nel Corpo mistico di Cristo

Ma c’è ancora un motivo che mi fa propendere per un annuncio completo ai bambini. Essi per il battesimo ricevuto, sono membra vive del Corpo di Cristo, incorporati a Lui sono a pieno titolo parte della Chiesa. Nella Chiesa lo Spirito Santo fa crescere e tiene unito questo Corpo. Egli fa sì che tutti siano uno e che l’unità sia moltitudine; che il passato sia presente e che il futuro escatologico sia in qualche modo anticipato nel presente. Così che da Abele il giusto, all’ultimo eletto, la Chiesa della terra e quella del cielo, sono uniti nell’unico Corpo di Cristo, come il Capo alle membra, perché lo stesso Spirito è in tutti.

In questo circuito di comunione in cui l’unità esistente tra il Capo e le membra, si prolunga anche nell’unità dei cristiani fra di loro, le persone sono legate da strettissimi vincoli di solidarietà ed esiste una vera comunione tra i loro beni spirituali. Se il peccato dell’uno nuoce ai fratelli, la sua santità accresce la vitalità del corpo e giova agli altri ben al di là del danno che il peccato ha potuto arrecare. Ora i bambini in questo Corpo lasciano un sovrappiù di amore, di purezza, di semplicità, di Grazia che coinvolge e sostiene gli altri. Dobbiamo molto all’arricchimento che i bambini portano al “tesoro della Chiesa” attraverso la loro santità di vita.

Nello stesso tempo però, poiché le membra comunicano davvero tra loro e si trasmettono i doni spirituali della redenzione operata da Cristo, sappiamo che questi tesori si riflettono anche sui bambini. Essi attraverso il sostegno e l’aiuto di tutta la Chiesa, sono in grado di percepire l’abbraccio di Dio e di rispondere positivamente alla sua chiamata vocazionale. Così attraverso queste brevi riflessioni ho desiderato esprimere la mia convinzione che l’età dell’infanzia è, per così dire, il terreno più fertile, il più adatto per accogliere il seme della Parola di Dio. Il problema semmai sta nella cura da apportare a tale terreno, perché esso non secchi e, se cresciuto, non resti soffocato dalle spine.

L’esperienza m’insegna che un autentico cammino di comunione con Dio compiuto nell’età dell’infanzia, fatto di dialogo e di confidenza, di preghiere spontanee, di ricerca per una conoscenza sempre più personale di Gesù, non si dimentica. Le strade della vita possono allontanare dalla vera Via, ma il ricordo dell’infanzia prima o poi riaffiorerà e potrà essere occasione per un ripensamento e una conversione. Ora ci chiediamo invece, come si fa ad accompagnare i bambini ad incontrare Gesù. Propongo alcune piste dettate solo dalla mia esperienza personale, che non si rifanno perciò a studi pedagogici o di altro tipo.

 

Far sperimentare l’amore del Padre

Innanzi tutto occorre tenere presente l’amore preveniente di Dio, che è Padre: prima ancora che noi possiamo rivolgerci a Lui, Egli ci cerca, ci chiama, ci afferra, ci sorregge e ci guida. Anche nel caso dei bambini è Dio che prende l’iniziativa e li invita a sé. Parlare loro di Dio Padre è allora possibile perché già nella vita misteriosa dello Spirito essi gli appartengono, Lui li tiene stretti a sé ed essi in un qualche modo avvertono ciò, sono certissimi che Dio è buono e vuole solo il loro bene. Più di una volta ho avuto occasione di ascoltare la preghiera fiduciosa di bambini che si rivolgono a Lui con naturalezza, proprio come ad un padre o ad una madre.

Io stessa da bambina (6 o 7 anni) ho avuto una esperienza straordinaria della paternità di Dio. Durante l’estate i miei genitori mi mandarono al mare, in colonia, assieme ad altre bambine che non conoscevo. La prima sera nessuna di noi riusciva a prendere sonno, anzi io e molte altre piangevamo con angoscia perché sentivamo la mancanza della mamma, della casa e della nostra cameretta. All’improvviso però (proprio per quell’amore preveniente di Dio di cui parlavo prima), pensai: “qui con me ora c’è qualcuno che mi era accanto anche a casa: Dio”. Provai una gioia immensa, smisi di piangere e comunicai la “lieta notizia” alle mie compagne. Poco per volta ci calmammo tutte e ci addormentammo sicure di avere un Papà vicino.

Quest’esperienza mi fa dire che anche nell’età dell’infanzia è possibile essere annunciatori di speranza, essere testimoni, essere evangelizzatori. Ai bambini è possibile e bisogna parlare di Dio, ma è necessario parlarne come di “Uno di casa”, di Uno che è presente e agisce accanto a noi. Occorre far capire loro che da sempre siamo nel cuore di Dio: Egli ci conosce e ci chiama per nome. Per noi, per la nostra gioia e perché potessimo lodarlo Egli ha creato i fiori e si è sprecato nel tinteggiarli di una moltitudine di colori…

 

Fare sperimentare l’amicizia con Gesù

I bambini anche piccolissimi credono davvero che Gesù è presente qui oggi fra noi, gli parlano, gli donano i loro giochi, si preoccupano che non prenda freddo, come è successo il giorno di Natale, quando una bambina di pochi anni, davanti a Gesù coperto solo di pochi panni, dentro alla culla, ha detto: “Gesù ha freddo”, e voleva dargli la sua sciarpa. È importante parlare di Gesù come di un amico, del vero amico che ci vuole bene, che non ci fa i dispetti, che non ci tradisce e con il quale si può parlare di ogni cosa, perché ci ascolta sempre e, come sa fare lui, “a modo suo”, ci risponde.

Durante una missione popolare sono andata in una scuola elementare e in una classe di III, dopo aver parlato “col cuore” di Gesù, di quello che lui ha fatto per i suoi amici e di quello che il popolo e i capi hanno fatto a lui, li ho invitati a scrivere una letterina all’amico Gesù. Ecco il testo:

Caro amico mio,

non devi perder tempo a bussar: la chiave è pronta e il mio cuore aspetta che tu entri dentro al calduccio della stufa. O amico mio tu sei il più buono di tutti però fammi un piacere lascia una volta il ciel e vieni a giocar a giocare con me.

Vedrai che ci divertiremo anche senza giochi. O fa’ che sono sempre buona e gentile e fa’ che se non può tornare il mio papà in persona fa’ che torni almeno la sua anima e il suo cuore, e per entrare nel mio cuore prendi l’ascensore.

Questo capolavoro di semplicità e di tenerezza dimostra come i bambini riescano a comunicare con Gesù come con un amico. Essi lo considerano vivo e presente accanto a loro, tanto che desiderano giocare con lui. I bambini sono sensibilissimi e sanno amare davvero Gesù, sanno soffrire con lui. Ricordo che alcuni piccoli (7-8 anni) dopo aver visto una cassetta sulla vita di Gesù, che comprendeva anche la sua passione e morte, si sono messi a piangere. Una bambina si è avvicinata e mi ha detto: “voglio dire a Gesù che non pianga, perché ci sono io vicina a Lui e gli voglio tanto bene e gli voglio togliere le spine dalla testa”.

Ancora quando prima di andare nella classe di catechismo, ci troviamo per un momento di preghiera in Chiesa, molti bambini sono impressionati dal fatto che Gesù “abita nel tabernacolo” da solo e al freddo, e spesso dicono di volergli offrire il loro cuore, come casa calda ed accogliente. I bambini sentono che Gesù ancora oggi, come quando camminava per le strade della Palestina, li accarezza, li prende in braccio e li benedice.

Gli presentarono dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”. E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva (Mc 10,13-16).

 

Guidarli nella preghiera

La Scrittura c’insegna che Dio si prepara una lode dalla bocca dei bambini e dei piccolissimi. Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli (Sal 8,3). È importantissimo insegnare ai bambini a pregare, ma soprattutto pregare con loro. Essi capiranno che la preghiera è necessaria alla vita dell’uomo come il loro respiro e il loro cibo solo se vedranno gli adulti in atteggiamento orante e fiducioso.

È commovente ascoltare le loro preghiere piene di fiducia, di amore e di attenzione verso tutte le necessità non solo della famiglia ma di tutti i bambini del mondo. A volte, quando i genitori guidano i bambini nella preghiera, i primi a trarne vantaggio, ad essere sollecitati ad una riflessione, sono proprio essi. Per ultimo rimane da chiedersi: chi deve condurre i bambini da Gesù?

 

La famiglia

I primi educatori della fede sono i genitori, ma accanto ad essi anche i nonni, che in questi ultimi tempi stanno assumendo un ruolo importantissimo nella cura e nella guida dei bambini. Solo se Dio è uno di famiglia, se lo si crede presente e operante, se gli si parla di ogni cosa – a voce alta – se ci si abbandona a Lui nei momenti di difficoltà e se ci si fida dei suoi progetti, naturalmente, spontaneamente il bambino “respirerà” l’amicizia di Dio e crederà che Lui è per tutti i membri della famiglia l’Unico, il più importante.

Se invece Dio appare come un “dovere” da assolvere (bisogna pregare, bisogna andare a Messa), e lo si presenta come una realtà per bambini o per anziani, anche i fanciulli cresceranno con l’idea di un Dio superfluo, “pesante” o da “accontentare” con dei riti esteriori da compiere. Ancora i bambini potranno “immaginare” l’amore di Dio solo se in famiglia ci si vuole bene, ci si rispetta, se si ha attenzione gli uni verso gli altri, se ci si perdona. L’amore poi dovrà estendersi ad un’accoglienza e ad una ospitalità verso tutti, in modo particolare verso gli ultimi, verso i più deboli sia bambini che adulti.

Non dovrà mancare la preghiera, la partecipazione comunitaria alla S. Messa, l’ascolto della Parola di Dio. I bambini sono attentissimi alla parabole, ai miracoli di Gesù, agli incontri di Gesù con i vari personaggi, ma anche si appassionano ad alcuni personaggi e fatti dell’A.T. (Giuseppe, Mosè, Davide). Circa la correzione dei propri figli, credo che più della repressione e della durezza del rimprovero, abbia efficacia l’aiutarli ad ascoltare la loro coscienza (sanno perfettamente quando sbagliano), e l’invitarli a ricominciare da capo con forza e coraggio. 

 

La comunità parrocchiale

La comunità parrocchiale, sia nelle persone concrete degli altri sposi, dei catechisti, dei bambini, sia nel luogo concreto su cui è posta la chiesa, deve diventare per essi un ambiente conosciuto, familiare e frequentato. I catechisti della catechesi pre-battesimale prima, e dopo i catechisti della scuole elementari devono essere figure e punti di riferimento costanti e degni della fiducia e della simpatia dei piccoli. 

La prima cosa che il bambino avverte in un catechista è se questi gli vuole bene, poi se crede a quello che dice, se ama Gesù e infine se sa parlare di Lui con entusiasmo e con metodi aggiornati. Il catechista non deve proporre delle idee, perché anche se queste fossero ravvivate con mezzi di comunicazione efficaci non avrebbero significato per una educazione alla fede, ma deve presentare la Persona di Gesù. Deve parlare di quel Gesù che ama, raccontare quello che ha detto e quello che ha fatto, ma soprattutto deve annunciare Gesù presente oggi nell’Eucaristia e nella realtà dell’unico Corpo del quale tutti facciamo parte. Il bambino deve arrivare a considerare Gesù il suo migliore amico. E il catechista deve farsi compagno di viaggio in questa ricerca appassionante.

A volte si pensa che i bambini non memorizzino ciò che diciamo, invece ascoltano anche quando sembrano distratti: anche a distanza di molto tempo ricordano particolari importantissimi. Se l’incontro con Gesù è vitale, non se lo dimenticheranno più e se anche durante gli anni successivi vi saranno esperienze buie, esso riaffiorerà come il ricordo più bello della loro vita. Credo anche che ad alcuni bambini particolarmente toccati dall’amore di Dio (e si vede), si possa già fare una proposta vocazionale vera e propria.